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‘Mai ci eravamo annoiati’ di Renata Adler

Creato il 10 gennaio 2015 da Vanessa Valentinuzzi

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Titolo: Mai ci eravamo annoiati
Titolo originale:
Speedboat
Autore: Reanta Adler
Traduttore: Silvia Pareschi
Editore: Mondadori
Data di uscita: marzo 2014. Prima edizione americana, 1971.
Prezzo:   € 17, 50 euro
Genere: Romanzo
Pagine: 189 pp.

Vladimir Nabokov soleva dire ai suoi allievi che quando si legge un libro bisogna lasciar perdere le contestualizzazioni temporali o sociali, la vita dell’autore, e tutta quella roba che alle scuole medie facevano passare per fondamentale. Secondo Mr N. bisognerebbe tuffarsi nel libro e ascoltare la storia che ci viene raccontata. Dopo aver letto questa teoria in un’intervista al geniale scrittore, ho sempre cercato di seguirla, finchè una settimana fa mi è capitato tra le mani Mai ci eravamo annoiati di Renata Adler.  Ecco, stavolta la regola aurea l’ho infranta, perché per apprezzare quest’opera così moderna è necessario capire tutto del periodo in cui è stata pubblicata. Si tratta di un libro indissolubilmente legato al tempo storico in cui è ambientato e al contesto sociale urbano e bohémien dei primi anni settanta. Narrato in prima persona dalla giovane giornalista Jen Fain, Mai ci eravamo annoiati racconta in modo frammentato, discontinuo e con frequenti salti temporali la vita di una ragazza emancipata che vive da sola e lavora a New York. Feste, incontri bizzarri, taxi, la città, gli uomini che frequenta, la narratrice sembra appuntare tutto ciò che la colpisce costruendo una sorta di diario privato. Renata Adler non ha voluto costruire un romanzo basato sulla trama – come spiega lei stessa nel libro, esistono solo un numero limitato di trame –  né una serie di lunghe riflessioni in stile stream of consciuosness. Si tratta piuttosto di considerazioni sul mondo intellettuale che affolla La Grande Città; galleristi, scrittori, intellettuali vengono scrutati e raccontati con grande senso dell’ironia. La Adler è un’attenta osservatrice dei primi segni di nevrosi di una classe di privilegiati professionisti urbani con le loro aspettative a volte deluse, i riti sociali che generano un nuovo tipo di conformismo. La scrittura della Adler dunque va contestualizzata ed è inseparabile dall’epoca che racconta. Mai ci eravamo annoiati ha difatti il pregio di contenere il respiro del proprio tempo e il difetto di esserne inscindibile.

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La scrittrice, che oggi ha 76 anni, diventò un punto di riferimento per gli intellettuali del periodo e fu una grande frequentatrice della high society newyorchese. Mondanissima, colta e moderna diventò giornalista del New Yorker, fu amica di Oscar de la Renta, dei Von Bülow, del grande fotografo Richard Avedon; conosceva profondamente il mondo che poi ritroveremo in Mai ci eravamo annoiati, verso cui mantenne uno sguardo scettico e ironico.  L’autrice fuggì dall’Italia da bambina  – le leggi razziali le avrebbe riservato una cupa prospettiva per il futuro – , e si stabilì in America con la sua famiglia. Si laureò in Filosofia ad Harvard e divenne ben presto l’emblema della donna intellettuale che lavora nell’ambiente editoriale.
Lo stile della Adler è assolutamente rivoluzionario: un mix tra fiction e non fiction in cui la linea di confine tra reale e surreale, memoir e finzione è molto sottile. Mai ci eravamo annoiati è un libro innovativo, la sua pubblicazione fece scalpore perché scardinava le regole del romanzo con una scrittura nevrotica, veloce, asciutta e frammentata, riprendendo la tradizione inaugurata da Muriel Spark e da Dawn Powell – con cui condivide le ambientazioni nel demi-monde newyorchese. Il suo valore è nel coraggio di osare, di inventare come Joan Didion, un nuovo stile e nell’aver suggerito una nuova strada a generazioni di scrittori. Last but not least, bellissima la traduzione italiana di Silvia Pareschi.


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