di David Incamicia |
Le mamme di bambini fino a sei anni di età non dovranno più stare in carcere, a meno di particolari esigenze cautelari di "eccezionale rilevanza". E' quanto prevede una proposta di legge approvata dalla Camera, con 460 voti a favore e 5 astensioni, che innalza appunto da tre a sei anni l'età del figlio della donna detenuta, finora costretto a vivere dietro le sbarre assieme alla madre.
Secondo gli atti esaminati dal Parlamento, a giugno 2010 le donne detenute con prole nelle carceri italiane erano 54 e altrettanti i bambini di età inferiore a tre anni presenti negli istituti di pena. Alla stessa data, inoltre, risultavano funzionanti 13 asili nido su un totale di 25 previsti.
Nell'ambito dello stesso provvedimento approvato dalla Camera nasce anche l'I.C.A.M., l'Istitituto a Custodia Attenuata per detenute Madri già richiesto in passato dai Radicali che pure in questa occasione si sono astenuti obiettando la scarsa copertura finanziaria. Il testo, che passerà all'esame del Senato, prevede che quando imputati siano una donna incinta o una madre di prole di età inferiore a sei anni che conviva con lei (oppure un padre, qualora la madre sia morta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza ai figli), non ne possa essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze cautelari eccezionali.
Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria aveva già da tempo avviato a Milano la sperimentazione dell'I.C.A.M, dove appunto le detenute madri sottoposte a misure cautelari eccezionali possono essere destinate. Il modello è stato realizzato in una sede esterna agli istituti penitenziari, con sistemi di sicurezza che i bambini non possono riconoscere come tali. A breve, stando a quanto annunciato dal governo, dovrebbero essere realizzati altri I.C.A.M. a Torino e Firenze. Si tratterà in ogni caso di "case-famiglia" le cui strutture saranno gestite da enti pubblici o privati, idonee ad essere utilizzate come luoghi di protezione molto sicuri.
Cambiano anche le regole che disciplinano il diritto di visita al minore infermo, anche non convivente, da parte della madre detenuta o imputata (o del padre, nelle stesse condizioni). Il magistrato di sorveglianza, in caso di imminente pericolo di vita o di gravi condizioni di salute del minore, potrà concedere il permesso in via di urgenza alla detenuta o all'imputata per visitare il figlio, a casa o in ospedale a secondea della gravità della patologia.
Ammesso che le risorse per realizzare queste nuove misure, capaci di restituire dignità alla vita dei bambini figli di donne recluse, siano effettivamente reperite non c'è dubbio che l'atteggiamento dimostrato dalle forze politiche, per una volta all'insegna della condivisione, rappresenti un fatto degno di nota che cade proprio alla vigilia della ricorrenza del 150° dell'Unità d'Italia. L'auspicio è che possa costituire il primo passo di un nuovo percorso di responsabilità, anche nella speranza che lo spirito del Risorgimento soffi sulle coscienze del nostro misero ceto politico rendendolo più sobrio e saggio almeno dinanzi alle vere emergenze nazionali.