Qualche mese fa ho letto la biografia dello scrittore e poeta George Mackay Brown (non esiste in italiano). Sono diversi gli spunti di riflessione che si possono trovare quando si entra in contatto con un nuovo autore. Per esempio: esatto, il suo mondo.
Si dice infatti che un autore crea un mondo che assomiglia un po’ a quello “reale”, ma che di questo ha soltanto qualche punto di contatto e niente di più. Non è sempre così, si capisce.
Però…
Celebrare un mondo che non c’è mai stato
Però c’è anche e soprattutto il rifiuto del mondo così com’è. Per crearne un altro, oppure per celebrare, attraverso le storture di questo, la bellezza di quello che non c’è più. Peccato che la faccenda non sia poi così semplice.
George Mackay Brown aveva una grande nostalgia per un certo mondo delle Orcadi. Quello della sua infanzia. Ma… Davvero si poteva apprezzare la vita in quelle isole nel nord della Scozia?
Orsù!
Certo, c’era il tipo che la sera passava ad accendere i lampioni a gas, per poi spegnerli quando arrivava l’alba.
C’era quell’altro che per le strade della città di Stromness “gridava” le ultime notizie, condite con pettegolezzi vari. E se hai 5, 6 anni, queste sono figure che si conficcheranno nel tuo cuore, nella tua anima e lì le conserverai, preziose come un tesoro.
Ma, insomma! La vita era feroce. Per dirne una: tubercolosi (e questo scrittore ne soffrì eccome, subendo anche delle cure “sperimentali” a base di iniezioni di… oro). Depressione. Alcolismo.
Quindi si idealizza spesso e volentieri un mondo che non solo non c’è più: ma che in realtà non c’è mai stato. O almeno, non è mai stato in quella maniera.