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MALTA: Elezioni in vista, sull’isola dove il partito si fa etnia

Creato il 08 marzo 2013 da Eastjournal @EaSTJournal

Posted 8 marzo 2013 in Mediterraneo, Occidenti, Slider with 0 Comments
di Davide Denti

Vls 224832 Malta

C’è un’isola in mezzo al mare, i cui abitanti parlano una lingua araba e la scrivono in caratteri latini. Sono in 300.000, ma si dividono sin dalla nascita in due fazioni politiche contrapposte. Sono tutti patriottici, ma i nomi propri sono tipicamente inglesi, i cognomi siciliani. Quell’isola è Malta, e questo sabato i suoi elettori potrebbero votare per mettere fine a 23 anni su 25 di governo del Partito nazionalista (centrodestra, PPE) e dare una nuova chance al Partito laburista (centrosinistra, S&D).

Sito preistorico megalitico, colonia fenicia e cartaginese, quindi occupata dai romani, dai vandali e dai bizantini; le radici della storia moderna di Malta iniziano con la conquista araba, che dà forma alla lingua parlata ancora oggi. Quindi quattrocento anni di dominazione normanno-siciliana, con la parallela latinizzazione e cristianizzazione. Infine, 300 anni da capitale dei Cavalieri Ospitalieri e del loro ordine multinazionale che aveva l’italiano come lingua franca. Passata ai britannici dopo Napoleone, Malta conosce nella Belle Epoque un revival culturale che pone le basi per il movimento dell’autonomia, guidato dal Partito Nazionalista ancora oggi al governo. Dopo un mancato accordo sull’integrazione col Regno Unito, Malta ottiene l’indipendenza nel 1964, e l’arrivo dei Laburisti di Dom Mintoff al potere negli anni ’70 coincide con la trasformazione dell’isola in una repubblica e con l’assunzione di uno status di neutralità militare e diplomatica. La fine degli anni ’70 porta con sé un’ondata di violenze e deprivazioni economiche. A seguito del risultato inconcludente delle elezioni del 1981 (maggioranza dei voti ai nazionalisti ma maggioranza parlamentare ai laburisti),  viene negoziata una nuova Costituzione. Il Partito Nazionalista torna al potere nel 1987, liberalizza l’economia, ed avvia le procedure per l’ingresso nell’Unione Europea, avvenuto nel 2004. Nonostante un breve ritorno dei laburisti al potere nel 1996-98, i nazionalisti mantengono il potere sull’isola fino ad oggi.

Una società divisa: dove il partito si fa etnia

Le elezioni di sabato 9 marzo vedono sfidarsi il primo ministro nazionalista uscente, Lawrence Gonzi (59 anni) e il nuovo leader dei laburisti, Joseph Muscat (39 anni). Il sistema elettorale è proporzionale con voto trasferibile: si indica l’ordine di preferenza tra i candidati (qui un video esplicativo), un sistema piuttosto raro e tipico dei paesi del Commonwealth (Australia, Nuova Zelanda, Irlanda, contee di Scozia e Ulster). In tutta la sua storia democratica, Malta ha conosciuto solamente un sistema bipartitico. Eventuali altri partiti (Alternativa Democratica, uno spinoff dei verdi, o l’estrema destra di Azione Nazionale e di Imperium Europa) non sono mai riusciti a far eleggere un solo deputato. Tali condizioni hanno portato ad un’altissima polarizzazione politica nella società: la partecipazione alle urne è solitamente maggiore del 90% (unico paese in Europa assieme al Belgio, dove il voto è obbligatorio), e i due maggiori partiti hanno raccolto insieme, nel 2008, il 98,13% dei voti. La mobilitazione dei votanti, infine, avviene con tutti i metodi: dai raduni di massa pre-elettorali, alle telefonate a casa dei “votanti potenziali” che non sono ancora stati avvistati ai seggi.

L’appartenenza ad un partito piuttosto che ad un altro, a Malta, è infatti una condizione che si trasmette per via genealogica, di generazione in generazione, e la limitata popolazione dell’isola fa sì che un processo di tipizzazione inversa rinchiuda ogni persona all’interno di una identità stabilità dal contesto socio-culturale, che è molto difficile da rompere. Secondo Godfrey Baldacchino (2002: 97), “poiché la polarizzazione della società è così pervasiva, il partito politico assume le caratteristiche di un’etnia, una comunità morale simile a quella di una famiglia“. Un processo che rassomiglia alla polarizzazione su base politica che divide ad esempio la società dell’Albania, e che mostra ancora una volta come le nazioni, le etnie, non sono entità naturali ma costruzioni sociali che derivano dall’approfondimento di marcatori di diverso tipo (religioso, linguistico, sociale, o – come in questo caso – politico).

Continuità nel cambiamento: religione, immigrazione, economia

L’eventuale e previsto arrivo dei laburisti al governo non dovrebbe modificare troppo la politica interna maltese. Nonostante i laburisti, solo dieci anni fa, avessero strenuamente combattuto contro l’ingresso di Malta nell’UE, oggi il partito ha internalizzato l’appartenenza dell’isola al continente. Per quanto riguarda la separazione tra stato e Chiesa, i laburisti non propongono un programma particolarmente innovativo per un paese che rimane tra i più religiosi in Europa (secondo l’Eurobarometro 2010, il 94% dei maltesi sostiene di credere in un dio, la percentuale più alta in Europa), e dove la Costituzione prevede il cattolicesimo come religione di stato. A Malta il divorzio è stato legalizzato solo nel 2011 a seguito di referendum (ultimo stato al mondo, a parte Filippine e Vaticano) e l’aborto resta illegale in ogni sua forma e in ogni caso, di nuovo unico stato in Europa.

Per quanto riguarda il dossier immigrazione, il partito laburista ha un approccio se possibile anche più chiuso dell’attuale governo nazionalista. L’arrivo di klandestini sulla piccola isola alle frontiere di Schengen è prevenuto in ogni sua forma, incluso il rifiuto della guardia costiera maltese di soccorrere le carrette del mare alla deriva, complice anche una controversia con l’Italia sui confini della giurisdizione marittima tra i due paesi, una prassi contraria al principio di diritto umanitario di non-refoulement. Una volta riusciti a raggiungere l’isola, poi, migranti e richiedenti asilo subiscono una procedura di detenzione automatica, per un massimo di 18 mesi come previsti dai limiti UE, politica per la quale Malta è stata più volte criticata da ONG (Human Rights Watch, gesuiti di Malta) ed organizzazioni internazionali (Consiglio d’Europa), anche perchè contraria al principio CEDU di divieto di detenzione arbitraria. Il governo maltese si difende sostenendo che l’isola, per le sue dimensioni, non sopporterebbe l’impatto migratorio, e che l’Europa dovrebbe venire in loro aiuto. Il politico maggiormente responsabile per l’introduzione della detenzione automatica dei migranti e richiedenti asilo, Tonio Borg, è oggi Commissario europeo nominato dal governo maltese uscente. In campagna elettorale i laburisti non hanno proposto alcuna modifica della normativa: d’altronde, si sa, i migranti non votano. 

L’insidia maggiore, per un nuovo governo a trazione laburista, sta piuttosto nel garantire continuità nei risultati dell’economia. Finora, l’isola è riuscita a restare a galla dell’onda della crisi economica e finanziaria, evitando di finire come Cipro e la Slovenia sull’orlo della bancarotta. Il PIL cresce del 2,5% annuo, il debito è al 72% del PIL, e l’inflazione al 2,7%; il bilancio pubblico è in attivo, e il rating del paese è ai massimi. L’economia è fortemente terziarizzata (80%) e la disoccupazione tocca solo il 6% dei maltesi. Tuttavia, Malta dipende al 100% dalle importazioni di petrolio per la produzione di elettricità, malgrado l’alto potenziale di sviluppo di energia solare ed eolica, e il prezzo dell’energia è uno  dei temi della campagna elettorale, nonostante i due partiti propongano semplicemente di costruire più centrali.


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