Il giudizio di Federica De MasiSummary:
Il tornado Al Pacino ha letteralmente travolto il Lido veneziano con il suo arrivo. Una folla di fan ha atteso il premio oscar, arrivato al 71º Festival del cinema di Venezia per presentare il suo nuovo film da protagonista, Manglehorn, che però non convince fino in fondo.
Angelo Manglehorn è un uomo texano sulla settantina, schivo e burbero, che si rifugia ogni giorno nella sua routine lavorativa e nel lontano ricordo di un amore giovanile finito a causa del suo essere scostante e poco attento alle relazioni interpersonali. Il Sig. Manglehorn è un fabbro, vive da solo con una gattina e molto di rado si vede con suo figlio con cui parla ad intermittenza. L’unica con cui cerca di ricucire i pezzi di un’esistenza fatta di solitudine sono la sua nipotina e un’impiegata di banca che incontra ogni venerdì quando versa i suoi guadagni. Quando le chiede di uscire e vede la possibilità che possa trovare di nuovo un legame d’amore, Manglehorn si trova di fronte ad un bivio: mollare la presa del passato o continuare a vivere nel rimpianto di un presente mai esistito?
David Gordon Green (Strafumati), che lo scorso anno era in concorso con Joe, si avvale di uno dei più grandi interpreti viventi del cinema per portare sul grande schermo un ritratto introspettivo di un uomo che si guarda indietro e vede alle sue spalle una vita di fallimenti e rimorsi. Una messa in scena semplice che pone al centro dell’inquadratura un Al Pacino come sempre in parte. Sentiamo la voce del protagonista che confessa tutte le sue angosce e paure in una corrispondenza interrotta con colei che pensa sia stato l’unico amore della sua vita. Una luce però rimane, la chiave per un’esistenza slegata da ciò che poteva essere e non è stata è ancora possibile forgiarla. A guardarlo com’è oggi è impossibile pensare ad un uomo innamorato, ma la vita è così, è fatta di scelte e Manglehorn sembra aver fatto quella sbagliata che ha creato una corazza contro tutti, anche se stesso. E come il protagonista, anche il film è bloccato in una fissità e ripetitività che gioca a sfavore della narrazione che si fa pesante e a volte noiosa.
Con Manglehorn, Green conferma il suo stile di regia fatto di lenti zoom e primi piani sui personaggi, come se volesse pian piano entrarci dentro per spiegarci quali sono le inquietudini che li attraversano, e approfondisce l’aspetto più psicologico del suo protagonista senza centrare a pieno l’obiettivo. A livello visivo ci sono molti spunti che però non vengono sviluppati approfonditamente: sarebbe bello sapere di più sulla professione del protagonista, dei momenti surreali che vive e della sua storia d’amore con questa donna del passato che lo tormenta. Quella del fabbro è una scelta azzeccata, che però si ferma alla bellissima parete di chiavi stagliata alle spalle del personaggio, simbolo e metafora di un uomo che ha le chiavi della felicità di tutti (si occupa anche di beneficenza) tranne che la sua.
Al fianco del grandissimo Al Pacino, dalla cui interpretazione si raccoglie la cura con cui ha costruito il personaggio, troviamo Holly Hunter e Chris Messina. A 74 anni, e un volo, quello della carriera, ancora non atterrato, Al Pacino si dimostra ancora capace di regalare emozioni anche nei casi in cui la sceneggiatura non aiuta.
Federica De Masi per Oggialcinema.net