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Mani bruciate

Da Sharebook @sharebook1

Silvia è una ragazza di 32 anni, e lavora come cuoca in un grazioso ristorante di Trastevere, a Roma.
La sua conoscenza puoi farla attraverso i piatti che trionfano nel menu del ristorante, il miglior biglietto da visita per una passione che, ad un certo punto della sua vita, ha preso il sopravvento. Anche con una certa prepotenza.
Sì perché Silvia non ha frequentato la scuola alberghiera, come ci si potrebbe aspettare da una giovane cuoca così in gamba, no. Lei si è laureata in Storia e Critica del Cinema al Dams di Roma, dopodiché, dall'organizzazione di eventi cinematografici, è passata all'organizzazione di eventi per la Comunità Europea, assunta in un'agenzia di comunicazione.
Un lavoro sicuro, secondo gli attuali standard sociali, che la vedeva in giro per il mondo, a contatto con culture e lingue diverse. Lavoro nel quale era brava, puntuale, e dal quale traeva anche un certo divertimento, vuoi per i viaggi, vuoi per l'attinenza con le precedenti esperienze lavorative. A completare il quadretto non stona evidenziare il clima sereno che regnava in ufficio, aspetto tanto importante quanto insolito per un luogo di lavoro, fatto di collaborazione e sostegno reciproco, tanto che è proprio in ufficio che Silvia conosce Silvia, quella che ancora oggi è una delle sue migliori amiche.
Tutto questo accadeva qualche anno fa, quando quella che si spianava davanti a Silvia sembrava proprio una bella e lanciata carriera.
Ma cosa accade al termine di una settimana di lavoro, di ritorno da un viaggio quando, stanche e affaticate, potremmo goderci un meritato week end di dolce far nulla e invece no, noi lo impegnano interamente a cucinare, ad impacchettare tutto per trasformarci in chef a domicilio per chi ne faccia richiesta?
Cosa ci spinge a fare tutto questo?
Se le sappiamo ascoltare, loro ci rispondono, quelle vocine, quei languori, silenziose e potentissime leve che annullano il senso di stanchezza e ricaricano attraverso il fare.
Forse aveva bisogno di un lavoretto extra per arrotondare? La domanda è legittima.
Molto legittimamente rispondo: no.
In effetti, vale la pena sottolineare che lo stipendio di Silvia era perfettamente nella media di un lavoratore dipendente della sua età, per cui non aveva necessità di un lavoro extra.
Quello che accadeva nel fine settimana non era altro che la realizzazione dell'altra sua grande passione oltre il cinema: la cucina.
Già la cucina. Fin da bambina Silvia ha questa passione anzi, per usare le sue parole, fin da quando ne abbia memoria.
E' così che, anche quando viaggia per lavoro, la puoi trovare che si infila nella cucina di alberghi o ristoranti anche solo per gettare uno sguardo, sbirciando qua e là, studiando i menu, osservando gli arredi delle grandi cucine industriali. E sta lì che immagina, anzi no sogna, perché a trent'anni la tua vita l'hai decisa ormai, mica puoi ricominciare tutto e gettare all'aria anni di studio, il sacrificio anche economico dei genitori che ti hanno pagato l'iscrizione all'università, poi c'è l'affitto da pagare, le bollette e poi. Poi.
E così scorre la vita di Silvia, una settimana fatta di impegno e concentrazione, il cuore a riposo e la disciplina come regola.
Nel week end, gioia pura.
Avete mai provato a mettere vicino due giorni emozionalmente opposti? Vi siete mai chiesti cosa succede quando vivi un giorno stancante, impegnativo, fatto essenzialmente di doveri e responsabilità e poi, all'indomani, ti svegli (senza bisogno della sveglia) e ti getti totalmente nella vita che fa per te: vai a fare la spesa, cucini e corri via. Ci avete mai pensato a quale effetto possa avere questo alternarsi drastico di emozioni opposte? Soprattutto quando, dopo una domenica di soddisfazione e appagamento, te ne vai a letto distrutta ma felice, e poi, come una doccia ghiacciata, arriva improvvisa la prospettiva del lunedì mattina?
L'accostamento di tali contrasti, che potremmo immaginare come il bianco e il nero, non crea il grigio, ma rende il bianco ancora più bianco e il nero ancora più nero. Momenti così lontani che non si compensano assestandosi su un salubre equilibrio che renda accettabile e tutto sommato gradevole la vita attuale. Non accade questo.
Il movimento naturale del cervello è di allontanarsi dal dolore e tendere al piacere.
Ergo: abbiamo ancora degli stimoli sani.
Quello che è successo a Silvia ce lo fa capire lei stessa quando mi descrive le attese angoscianti (usa proprio questo aggettivo) alla fermata del 217, autobus che dalla Stazione Termini la portava ogni giorno in ufficio, ai Parioli, altro quartiere che lei, stranamente, definisce "angosciante".
Oggi ci scherza su ripensandoci, perché è ormai consapevole che l'angoscia era solo dentro di lei, che se la portava in giro come un fagotto che preme sul petto e ti opprime in ogni momento di ogni giornata della vita che non vuoi.
Quando le chiedo di esprimermi in una parola come si sentisse, mi risponde: una schiava. La guardo, e mi basta così.
Ma come spesso accade nella vita delle persone, i momenti che sfociano in decisioni importanti attraversano la nostra vita in ogni suo ambito, la determinano e ne sono determinati a loro volta.
Silvia tre anni fa conclude una storia d'amore di quattro anni, finisce in un solo momento la convivenza e la storia più importante della sua vita.
Me ne parla come un abbandono, senza brutture o colpi bassi, ma pur sempre un abbandono: si è sentita spaesata, senza la terra sotto i piedi, ha sofferto come si può soffrire solo quando ti viene amputata una parte vitale di te stesso.
Affronta un'estate di dolore (la definisce un'estate tremenda), si confronta con se stessa, finchè non sente l'esigenza di rimettersi in moto. Esigenza sana, che a settembre si traduce nell'acquisto della sua prima auto usata, che ha tuttora e che le dà finalmente la bella sensazione di rimettersi in strada, di sentirsi autonoma.
Ritrovarsi da sola ha significato inoltre dover fare i conti con se stessa, con chi era e chi voleva diventare. All'inizio, e per un bel po', questo confronto l'ha logorata, ma alla fine le ha aperto gli occhi.
E' stato così che, come spesso accade, da un evento doloroso è nata una meravigliosa presa di coscienza.
La cucina diventa l'ancora di salvezza di Silvia. Sì, si fa soccorrere dalla sua passione, si fa nutrire (e qui è proprio il caso di dirlo) dalla cucina, amore per amore.
Ecco come inizia a dedicarsi alla cucina in maniera ancora più intensa e appassionata, attivando una collaborazione con un chiosco sul litorale di Ostia, dove vive, e inventandosi l'"aperitivo creativo".
Creativo perché nasce dalla volontà di uscire dalla schiera di aperitivi offerti dai numerosi locali del litorale romano.
Silvia vuole dare al suo aperitivo qualcosa che lo distingua, che ne denoti personalità e qualità.
Quindi basta pizzette, tramezzini, basta paste fredde e insalate di riso, avanti tutta con la creatività. La domenica a casa, nella sua piccola casetta, a cucinare per poi assemblare tutto al chioscetto sulla spiaggia. Creatività che alla cucina di Silvia unisce la proposta musicale jazz dei ragazzi della Saint Louis, ogni volta diversa e originale.
Un'estate quindi che trascorre lavorando sette giorni su sette, dal lunedì al venerdì in agenzia, nel week end al chioscetto sulla spiaggia.
Era distrutta naturalmente, ma felice. Sì, con tutti gli ingredienti che sapeva assemblare creando accostamenti gustosi, il sapore semplice e buono della felicità lo stava assaggiando per la prima volta in quel momento.
E' con molta enfasi che a questo punto Silvia mi dice che tanto più era felice il sabato e la domenica, tanto più il lunedì era pesante, soffocante. Al punto che, nella sua testa, ha iniziato ad insinuarsi piano piano il pensiero, il desiderio di poter fare solo "quello", di rendere la cucina il suo lavoro, con la L maiuscola, quello da poter fare tutti i giorni in modo pieno e totale.
Insisto, e le chiedo di rappresentarmi con delle sensazioni o delle immagini, la differenza fra le due realtà che viveva. Silvia mi descrive la realtà dell'ufficio fatta di grande concentrazione, attenzione, un lavoro dove tutto deve essere perfetto, lunghe ore davanti al pc. Dall'altra parte il chiosco, il sole, il mare e la domenica a cucinare e a tagliare i cocomeri. Il grigiore dell'ufficio viene soppiantato da luce, calore, colore, profumo e freschezza. Il rosso vivo del cocomero e la faccia sorridente di Silvia con le mani sporche di semi. C'è tutta la tavolozza della felicità.
Ad aprile di quell'anno succede qualcosa: risponde ad un annuncio per una consulenza su un nuovo locale che sta per aprire a Roma, uno di quelli localetti di centrifughe, frullati di ogni genere e cose salutiste. Silvia risponde all'appello e riscrive completamente il menu del locale, prendendo ore di permesso al lavoro per esser presente e dedicando sempre più spesso la sua pausa pranzo alla ricerca di loghi carini su internet.
Anche il suo tempo infrasettimanale inizia ad essere seriamente contagiato dal virus della passione.
Quel piccolo gesto, una semplice consulenza, è riportata da Silvia come il punto dal quale non si può tornare indietro. Le parole che ha utilizzato per descrivermi la sensazione non lasciano dubbi a riguardo e offrono un'interessante immagine mentale del suo stato: "E' come quando ti cresce il piede di tre numeri e tu ti ostini a metterti le scarpe di prima, anche se le hai comprate ieri", mi ha detto.
Naturalmente, questa dedizione di Silvia ad altro, al di fuori dell'ufficio, non passa inosservata e nessuno rimane del tutto sorpreso il giorno in cui lei decide di licenziarsi.
E' incredibile quanto, quando c'è una passione a muoverci, siamo capaci di metterci in gioco totalmente, senza compromessi, senza reti di protezione, come un acrobata folle che si lancia nel vuoto certo che saprà afferrare al volo il trapezio che lo dondolerà libero nell'aria. E così Silvia si licenzia senza avere un altro lavoro. Semplicemente abbandona quella vita, le dice "ciao".
Anche la consulenza termina, ora c'è tutto il mondo da rimettere in piedi, da riorganizzare da zero.
E' una sensazione difficile da vivere e da descrivere, soprattutto quando si lascia qualcosa di consolidato, in cui tutti ti credevano inserita stabilmente, in cui ti vedevano proiettata, perché quello sì, era un posto sicuro.
La domanda era inevitabile, non potevo non chiederle come hanno reagito i suoi genitori, perché conosco quel momento in cui quasi quasi hai paura di tradire le loro aspettative, hai paura di deluderli, o che pensino che sei completamente impazzita per fare una cosa del genere.
E infatti, come previsto, la domanda la fa sorridere pensando alla loro espressione scioccata quando hanno appreso la sua decisione, la decisione di una ragazza che era sempre stata nei ranghi, si era laureata, aveva sempre lavorato, e quindi non si aspettavano quello che a tutti gli effetti appariva come un colpo di testa.
Alla fine l'hanno capita non solo perché sono i suoi genitori, che purtroppo il mondo è pieno di storie di sabotaggio genitoriale ai danni dei sogni dei figli. L'hanno compresa perché prima la vedevano triste, nonostante il bel lavoro e tutto, quando andava a trovarli non sapeva cosa raccontare, se non che un cinese si era perso a Bruxelles mentre era diretto a Bankok. Di contro a questo, la vedevano davvero tanto felice ed entusiasta quando tornava dal lavoro al chiosco e la sentivano raccontare con ben altri colori dipinti sulle guance.
Quando tu sei convinto anche della cosa più folle, convinci tutti.
E questo è quello che è successo, come tutte le persone che vivono da sole da tempo, che sono abituate a fare i conti a fine mese, a vedersela da sole nelle loro cose, Silvia accompagnava la sua naturale positività alla classica tenebrosità e preoccupazione che sottende ogni decisione, uno sguardo prudente sulle ripercussioni e conseguenze.
Lei poi si definisce una sempre piena di dubbi, di scrupoli. E proprio per questo tuttora si sorprende ripensando a quell'incredibile scoppio di ottimismo che l'ha travolta mentre mandava all'aria la sua vita lavorativa.
Se lo ricorda perfettamente anche oggi Silvia: quella era la sua possibilità; lei ci ha creduto e ci hanno creduto anche le persone vicine.
In questo vortice di pensieri positivi e ottimismo anche una condizione che normalmente viene vissuta come negativa, cioè la solitudine, la mancanza di una famiglia, di figli, a questo punto diventava un'opportunità: "non dovevo sfamare nessuno, rischiavo da sola, se non lo faccio ora.."
Sembrava proprio che niente avrebbe potuto fermarla.
E come si dice spesso, quando ti muovi verso qualcosa che è giusto per la tua vita, la vita inizia a facilitarti, offrendoti possibilità su possibilità. Dopo il licenziamento, Silvia non ha passato un mese senza lavorare, alla consulenza sono seguiti altri lavori in un ristorante come aiuto cuoco, fino alla decisione di iscriversi alla scuola di cucina. Silvia non è una che si improvvisa, in niente, figuriamoci in una cosa che la appassiona come la cucina. Se devi fare una cosa quindi, che sia fatta bene, con preparazione oltre che passione. E' così che si iscrive alla scuola Tu Chef, un corso intensivo di tre mesi.
Era dicembre, e intanto lavorava come cuoca in un bistrot biologico nel rione Monti, a via Panisperna. A Silvia era stata assegnata la responsabilità del laboratorio, a San Lorenzo, dove preparava i cibi che poi venivano trasportati a Monti, nel bistrot. Quello era, a tutti gli effetti, il suo primo lavoro da cuoca. Un altro mondo davvero, creativo, come piaceva a lei.
Un giorno Silvia finalmente si compra la divisa da cuoca, torna a casa, la prende e con molta cura la ripone nell'armadio, accanto ai suoi vecchi tailleur che usava per il vecchio lavoro.
Arriva così il primo giorno della scuola di cucina e Silvia se lo ricorda bene quando mi racconta la sensazione provata entrando a scuola: gli ambienti spaziosi, due grandi cucine: quello era il suo posto, era lì che voleva stare.
Anche l'esperienza nel bistrot volgeva alla conclusione. Nonostante il contratto a tempo indeterminato, sì avete letto bene, era stata assunta a tempo indeterminato, ironia della sorte, SIlvia è alla cucina di un vero ristorante che punta, con il menu alla carta, la cucina e tutto il resto. E quando desideri davvero una cosa, certe volte devi buttarti, devi perseguire il tuo obiettivo con tutte le risorse che hai, e a Silvia serviva tutto il tempo per poter fare i colloqui che l'avrebbero portata a lavorare in diversi ristoranti fino ad approdare all'Intingo, il ristorante in cui lavora e dove la sto intervistando adesso, dove ci ha stregati tutti con i suoi piatti che esprimono ogni sfumatura della passione.
Io la incontro in questa tappa del suo viaggio che mi auguro la porti ancora a compiere capriole verso nuovi traguardi. Intanto a settembre l'iscrizione al secondo livello della scuola di cucina, ottima premessa visti i risultati del primo, ma come dice lei stessa, in questo lavoro devi sempre studiare.
Oggi è molto più contenta , mooooooolto più stanca, ma è una bellissima stanchezza fisica, la testa e il cuore galoppano.
Penso a me, al momento che sto vivendo io, e mi viene da chiederle cosa ricordi di quel periodo, quando si è licenziata e si è ritrovata senza lavoro, ma soprattutto senza stipendio.
Silvia mi descrive una sensazione di grande libertà , perché, mi dice sorridendo, quando non hai niente, hai tutto. Ti può capitare di tutto, puoi fare tutto. Non sei schiavo di quello che hai, di quello che ti puoi comprare con i soldi del tuo stipendio mensile.
Si era concluso il periodo in cui mi potevo comprare una borsa, il rossetto da trenta euro, ma chissenefrega! Ritorneranno quei momenti…
La ascolto e ci sono io nelle sue parole, mi ci sento totalmente, come se fosse il mio abito, come se Silvia fosse la mia bocca, le mie mani, il mio cuore.
Rimango in silenzio e sorrido perché è proprio così che è, e non potrebbe essere diversamente. E' meraviglioso che esistano queste storie, e sono orgogliosa di poterle raccontare.
Concludo l'intervista con la classica domanda di rito: Tornassi indietro, lo rifaresti?"
"Mamma mia sì! Non dico prima, ma proprio quando l'ho fatto, perché era quello il momento".

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