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Si accendono le luci e pensi: "Mi devo sentire in colpa se questo film mi è piaciuto?".
Sì, dopo aver massacrato Cosmopolis, dopo aver pensato al peggio ad una nuova collaborazione con Robert Pattinson, dopo aver fatto un breve excursus sul passato del regista, il fatto che il suo ultimo film non mi abbia turbato e solo in parte inquietato, è un bene o male?
Difficile dirlo, davvero, perchè alcune cose in Maps to the Stars funzionano alla meraviglia, altre molto meno.
Funziona la trama, che vede tre storie incrociarsi nel segno del fuoco, vede personaggi ai margini simbolo di una Hollywood decadente, vede dialoghi carichi di ironia e di uno humor nero muoversi nel mondo di oggi, mostrando tutto il marcio del cinema e del suo ambiente.
Funzionano ancora di più gli attori, con una Julianne Moore strepitosa, giustamente premiata a Cannes che qui non si risparmia nel mostrarsi e nell'essere fisica nella sua interpretazione, con una Mia Wasikowska che pian piano scala lo star system anche se finisce in progetti sempre ambigui, e funziona pure Robert Pattinson, decisamente più espressivo ma pur sempre relegato in una limousine, senza passo allungato però.
A funzionare meno sono invece John Cusack in un ruolo urlato, e una realizzazione non eccelsa, che culmina in un effetto speciale francamente orrendo e nella ripetizione al limite dell'ossessione della splendida poesia di Paul Eluard, che perde così in efficacia.
Preso nella sua singolarità, Maps to the Star lascia decisamente il segno, dipingendo al pari delle Bling Ring girls di Sofia Coppola e molto meglio di Lindsay Lohan in The Canyons una società dell'apparire che ha nel fastidioso Benjie Weiss e nella narcisista Havana Segrand gli esempi perfetti.
Cronenberg sembra così voler deridere tutto questo, infarcendo il film di riferimenti all'oggi, tra attori affermati (da Emma Watson a Carrie Fisher, nei panni se stessa, da Anne Hathaway a Ryan Gosling) e piccoli divi che crescono parecchio male, tra pratiche new wave e spirituali.
C'è spazio così anche per una psicologia spiccia, per momenti epifanici e traumi da superare simbolizzati senza neanche troppi misteri, all'interno di una storia, o tre storie, che nel misterioso e nel non detto vorrebbero vivere, ma che invece appaiono poco approfondite nei momenti cruciali e lasciate sospese in un finale quasi forzato, in una soluzione pulp e violenta che comunque un po' ci si aspetta.
Preso quindi all'interno del discorso del regista, il film si fatica ad incasellare, soprattutto perchè con gli ultimi suoi lavoro Cronenberg sembra essersi perso, a partire dal quasi didascalico A Dangerous Method e passando per il più soporifero e più ostico Cosmopolis. Nonostante il richiamo ad un cinema della carne ci sia, e ben marcato sulla pelle della Wasikowska e dalle sempre funzionali musiche di Howard Shore, manca decisamente la stessa sensazione estrema delle prime pellicole.
Come detto, però, quando le luci si accendono il film continua a funzionare e a piacere, preso come affresco sprezzante dell'oggi, dimenticando quanto del regista si è visto o si è detto, tralasciando, almeno per una volta, difetti di sceneggiatura e di carattere.
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