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Maps to the Stars – La recensione

Creato il 24 maggio 2014 da Drkino

by Elia Andreotti · 24 maggio 2014

Con Maps to the Stars Cronenberg torna nelle sale a due anni dal controverso Cosmopolis, evitando di spegnere interesse, critiche ed elogi dell’eterogeneo pubblico…

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Stelle. La loro essenza e il reticolo che tra di esse si sono costruite sono così eterei e così attrattivi da voler essere incarnati dall’umanità stessa; punto di riferimento per miliardi di individui che posano passi uno in seguito all’altro nell’arco di un tempo infinito. Essere arrivati, figurare alla vetta del potenziale umano, sentirsi indispensabili dispensatori di vita. Il nuovo film di Cronenberg è un’analisi profonda di questo sistema, una mappa all’interno di un’intricata rete di fiammelle che si rubano l’ossigeno a vicenda: Maps to the Stars.

E ovviamente è Hollywood l’alveare di questi semidei intoccabili, al quale giungiamo su uno spartano autobus puzzolente; in nostra compagnia c’è la giovane Agatha, che dopo aver conosciuto Carrie Fisher su Twitter, si ritrova quasi per caso a fare l’assistente personale di Havana Segard, attrice cinquantenne sull’orlo del declino artistico. Sparuto essere umano alle soglie degli angeli, Agatha dimostrerà presto di essere ben più integrata di quanto dia a vedere, andando a far visita alla propria famiglia, nella loro ricca villa da star.

Ed è proprio il rapporto familiare genitori-figli, il nocciolo di Maps to the Stars. La cadenza con cui i secondi sembrano ripetere le azioni dei primi, assumendone i caratteri e il portamento, sono esempio lampante delle cicatrici indissolubili che avvolgono, volente o nolente, questo rapporto. Proprio come nelle frasi della poesia Libertà di Eluard, che i protagonisti continuano a ripetere, ciò che viene scritto permane indelebile e ciclico, “sulla sabbia e sulla neve” e in molti altri posti senza tempo. E infatti sia Agatha che il fratello Benjie sono vittime ed artefici dello stesso destino dei genitori, fautori di un rapporto incestuoso al quale tentano di porre rimedio, allontanando i due fratelli anche con la forza. La violenza espressa dal padre, il dottor Stafford, nei confronti di Agatha, è solo un fragile tentativo di rimediare al suo egoistico passaggio di testimone delle colpe scansate in passato, testimone raccolto e portato con ingenuo onore proprio dalla figlia, con tanto di marchio tangibile sul corpo sfigurato dalle ustioni. E’ lei ad avviare il processo di deperimento della seconda generazione, portato a compimento con il suo ritorno apparentemente involontario ad Hollywood.

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Dal canto suo, Benjie, vero corpo centrale del film, assimila indiscriminatamente le sollecitazioni provenienti dagli innumerevoli parassiti, facendosi così martire e messaggio per il pubblico. Il suo corpo quasi deforme, il suo essere adulto in un corpo d’infante, il suo fuggire dalle promesse e dalle colpe, diventano così incarnazione della conflittualità tra erede e testamentario, che il regista pensa bene di complicare con un sistema di specchi e rimandi anche al di fuori del circolo familiare, sistema tenuto insieme solo dal contesto sociale in cui i personaggi sono inseriti. A supervisionare con sguardo algido il tutto, Havana, con le sue sfortune, porta avanti il discorso cronenberghiano dell’influenza di pubblicità e opinione pubblica sulla psiche umana, costretta ad un martellamento costante di ideologie e costumi, ai quali si può solo soccombere. Hollywood, ancora una volta, non è così luccicante come appare dal basso.

Il risultato della costante fuga dei protagonisti da ciò che non vogliono affrontare, si riversa su di essi sotto forma di fantasmi di persone morte, visioni crudeli cancellabili solo prendendo il testimone ad essi assegnato. La libertà da essi tanto ricercata, la libertà delle frasi di Eluard, è solo l’ingenua possibilità di ripetere i medesimi errori di chi li ha generati.

VISIONARIA MAPPA TESTAMENTARIA

Regia: David Cronenberg – Cast: Mia Wasikowska, John Cusack, Julianne Moore, Robert Pattinson – Nazione: USA – Anno: 2014 – Durata: 111′

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