A cura di Piksi4.
“L’allenatore non conta nulla” (Marcelo Bielsa)
Di lui non si può certo dire che si tratti di un allenatore emergente.
Non di uno che ha vinto per tre volte il campionato argentino (con Newell’s Old Boys e Velez Sarsfield) e si è giocato una Libertadores (1992) contro il San Paolo di Raì e Cafu, perdendola solo ai rigori.
Assorto negli schemi
Certamente non di uno a cui la città di Rosario ha intitolato il suo stadio.
Ma per molti versi, Marcelo Bielsa, detto ‘el loco’, è un personaggio ancora tutto da scoprire.
Uno che a 25 anni ha mollato il campo di gioco, dove evoluiva senza indimenticabili successi, per intraprendere il ruolo di coach che l’ha visto esprimersi dapprima in club della sua Argentina, poi in Messico, e infine approdare al posto di ct nazionale, sempre per l’Argentina e in seguito il Cile.
E’ sulla panchina albiceleste che raggiunge il massimo in carriera conquistando con una banda di ragazzini, futuri fenomeni, l’oro olimpico nel 2004 ad Atene; coi cileni invece vince 34 delle 66 partite disputate diventando una leggenda per quel paese.
Leggenda che si alimenta anche e soprattutto di aneddoti gustosissimi, come gli allenamenti seguiti in cima a un albero, con le mani piene di appunti, alla ricerca della perfezione nel gioco (obbiettivo talmente ossessivo da far dire a Guardiola “Marcelo è il mio allenatore di riferimento”).
Uno capace di lasciare la nazionale nel bel mezzo delle qualificazioni per Germania 2006, letteralmente scomparendo. Ingrassando sino a sfondare i 100 kg, e sfogando la fame compulsiva di calcio, arrivando a vedere centinaia di partite (in tv, ovvio).
Uno che ha fatto del 3-3-1-3 la sua irrinunciabile filosofia, capace di dividere le folle ma farsi adorare dai suoi uomini.
O sei con lui o sei contro di lui. Non ci sono mezze misure.
Come non ne ha lui in panchina, quando (come ora a Marsiglia) si siede sulla valigetta delle bottigliette d’acqua per osservare la partita, o quando trangugia in piena bagarre agonistica un caffè come fosse in un bar degli Champs Elysees.
In rapporti pessimi con la stampa, a volte anche con le società (memorabile il suo sfogo col presidente marsigliese Labrune, reo di non avergli comprato nemmeno uno dei giocatori richiesti), è scopritore di talenti (su tutti un certo Gabriel Batistuta), nonché fuoriclasse nel rivitalizzare ambienti atrofizzati (il Cile preso dal nulla e rivoltato come un calzino fino a condurlo agli ottavi a Sudafrica 2010, l’Athletic Bilbao condotto al primo colpo a due finali nello stesso anno, Europa League e Copa del Rey).
Si dirà: quattro titoli in 24 anni di carriera e nessuno negli ultimi dieci…
C’è chi guarderà i risultati nell’immediato e non lo riterrà mai un grande.
Ma c’è anche chi osserva il suo lavoro sui giovani, la cura che mostra del gioco e il modo in cui soppesa le parole in ogni conferenza stampa. E pensa che quell’uomo venuto da un altro tempo e da un altro mondo sia merce rara per il nostro calcio. Da preservare.
Rari ma non isolati sorrisi
Bielsa incanta e ha ripreso a farlo dallo scorso luglio, quando si è insediato in un altro mondo a parte, quello dell’Olympique Marsiglia.
Partiti con un punto in due partite (ko interno con il Montpellier alla seconda), i biancazzurri si son messi in marcia conquistando sette vittorie consecutive, segnando 20 gol e subendone soltanto due.
Bielsa è andato alla sosta col primato solitario in Ligue 1, 7 punti di vantaggio sul PSG terzo e 5 sul Bordeaux secondo.
E France Football, che a metà agosto si chiedeva in prima pagina chi comandasse a Marsiglia, inizia a interrogarsi se la “Loco-motiva” potrà davvero togliere lo scettro a Ibra e compagni…
Di lui un membro dello staff del Cile si spinse a dire una volta: “Sul campo è un autentico fuoriclasse, un allenatore straordinario. Fuori dal campo sarebbe da internare”.
Semplicemente unico e (come ribattezzato in Francia) magico, El Loco.