Marco Bellini - Attraverso la tela – La Vita Felice 2010
per Artemisia Gentileschi
Sono qui solo per incontrare l’odore della terra
il tuo riposo non è stato levigato nel marmo
ma guardando bene
forse quella chiocciola
fra i riccioli ripuliti di un lombrico
ha il tuo testimone.
Mi domando se questo mio sostare reclinato
riveli solo
una difficoltà a cercarti in alto
fra i suggerimenti autorevoli.
Nella tasca trattengo le tue parole chiedendo
a questo posto
un tentativo per farle risuonare
un restauro
dell’inchiostro imbevuto di carta.
E intanto ti porto gli ultimi giorni trascinati
dallo spazzolino da denti
vedi: il mio tempo ancora si muove.
Guardo il badile appoggiato al muro
e la tentazione
ma non si può restituire
non è un castello di sabbia il tempo che ha già percorso
gli ingranaggi dovuti.
Anch’io vorrei essere un viaggiatore dell’incanto
il polso è debole nel racconto
ma sono qui
per fare unico il nostro riposo di oggi seduto
la schiena alla siepe
e le radici che ti fanno da coperta.
Nei piatti di questa cena consumata non restano
altri fiati da ricordare
solo il tovagliolo con le tue iniziali
taciute.
Nel gioco dell’osmosi lì dove sei
avrai trovato l’acqua per un bicchiere?
Non ci sono luci da lasciare accese
ma una richiesta (o forse una preghiera?
A questo non ho risposta)
che il buio sappia essere una cornice buona
per i tuoi anni
chiusi in un riposo d’erba.
…DAL BICCHIERE BUCATO
Sopra la strada il calore scarabocchia l’aria
che ci ospita dentro e attorno
i cornicioni delle case nascondono le stanze
che ci sputano fuori
dalle attese nell’ombra, lasciate
a chi del posto
ha indossato i pantaloni corti.
Al margine dei passi un bar
dove si vendono angoli
e l’aria in un bicchiere bucato.
L’aria che ha tutte queste forme
capaci di confondere le mani
e il fiutare dei polpastrelli.
E’ tutto così difficile da confermare
le ossa dentro il corpo anche domani
e sul crinale la terra
aggrappata al profilo della collina.
E allora, dentro quest’ aria
che non possiamo rincorrere ma soltanto incontrare
servono i nomi, non si può senza i nomi
tengono a posto le cose, le fermano nelle parole
per non dissolvere, per non dissolverci e accompagnano
dentro la mappa, profonda negli anni
dove il braccialetto con il primo latte
il cartellino legato all’alluce (nessuna corsa nella carne)
parlano il labirinto assegnato.
- E’ il nome che fa stare dentro l’aria
il vaso sul davanzale?-
Fosse facile come un cartello stradale, sul palo
il peso di una risposta senza esitazioni.
E allora uno zaino, gli scarponi, salire in alto
dove anche l’acqua è di pietra
e l’aria corre sul vento, salire
per ascoltare dove sentire è possibile
e poi riconoscere le cose
dove le cose sono, ancora distanti
ma disposte nella loro forma chiara
lavate nello spazio freddo, dove
il silenzio rende difficili le bugie.
Fino a sera. Te ne accorgi a sera
dal rumore che fa il buio
quando si riprende tutto
e ti chiude lo sguardo
sul cucchiaino dentro il caffè
che resta solo
poco fango sugli scarponi, lento
a trovare riposo
tra le ciabatte nell’ingresso.
Lo stesso fango che resta
graffiato sui muri:
Questo non può avere
le croste alle ginocchia e gli spigoli della fame
ma talvolta un telaio d’ossa
e la polvere dei vestiti lo invadono
ed è allora che si alza
- bosco di pietra –
in tutto il nostro andare.
Rimane difficile trovare
poche righe in cui siano
quasi tutte le parole
quelle che pesano e sanno stare vicine, formando
con il fango il vaso sul davanzale
e con i nomi
un senso che gli cresca dentro
fino a ricordare che tutto non può essere
che tra parentesi
se cambiato in parole che non sono
ma soltanto dicono.
L’intero scrivere tra due solide parentesi
mentre fuori le cose stanno, muovono
la sostanza dell’agire e dentro
un cantastorie racconta la sua voce, misura
il suono nudo del dire.
DI UN BLU FERMATO CON LE PUNTINE
Quel gesto carico di tutti i giorni
le mani che si giungono con le dita rivolte al cielo
e che non puoi destinare
per un Dio venduto ad ogni spigolo di casa
tutto compreso, confezione speranza.
Quel gesto
appesantisce le braccia quando non incontra
suoni che aprono, capaci di lanciare aquiloni
più in là dei nostri passi
che non sanno guidare il vento
lontano dagli scarabocchi già impressi nell’argilla.
E nella ricerca
provare a mettere a fuoco, a distillare
per tenere e percorrere
il filo teso dell’aquilone senza lasciare
la corda sbiadita alle spalle, capace di tornare
al bambino consumato nell’infanzia
che ora scivola piano tra questi versi:
lo facevo quando ero piccolo
strappare le erbacce con le mani era semplice
ritrovare la terra per i giochi, prepararla
di solchi per i tappi e gli spintoni: “tiro prima io”.
E a dicembre sotto le giovani palpebre
i fiocchi della neve e dei pacchi.
A dicembre sul ripiano della cucina
incisa da un piccolo vomere
la rapidità del muschio
nell’occupare il presepe prima della neve
e la stagnola che non muove il mulino
racimolato di colla
sulla carta oleata della collina che conduce
più su del blu fermato con le puntine
al calendario appeso al muro
il nome di un santo per ogni riga
ogni riga lo spazio per un giorno.
Il venticinque si merita il rosso e l’attesa
del fabbro, il pastore e il falegname
che un pennello ha vestito senza pretese
per una somiglianza che è solo un ricordo.
Nell’angolo
la scatola vuota delle statuine porta
scritta sul nastro per l’imballo
la finzione che il bambino non sa leggere
e le piccole dita spostano veloci la pecora
oltre i fiammiferi del recinto.
E’ stato senza preavviso che la catena
ha trascinato il tempo, spostato l’orizzonte
lavorato di mano nascondendo i tappi
da questo palcoscenico senza uscita.
Diversamente oggi
quando la catena chiude sull’alba il tramonto
si fanno i conti con i dove della giornata
si stringono le viti e i cardini
che della porta
sono il punto fermo e questo
ogni giorno per nascondere
la precarietà che si fa pelle
ancora dietro
quel gesto carico di tutti i giorni
sospesi comunque in un fiume d’aria
che ci attraversa spogliandoci
dalle risposte trovate
nel segno scritto sotto il tappo di una birra.
Marco Bellini
nasce in Brianza, dove ancora risiede, nel 1964. Nel 2007 pubblica “Semi di terra” (LietoColle). Nel 2008 pubblica la plaquette “Attraverso la tela” e per
le Edizioni Pulcinoelefante la poesia “Le parole”. Nel 2010 pubblica “E in mezzo un buio veloce” (Edizioni Seregn de la memoria) e “Attraverso la tela” (La
Vita Felice). Sue poesie hanno ottenuto riconoscimenti in diversi concorsi, sono presenti in diverse antologie e sulle riviste “Ali”, “Le voci della luna”
e “Poesia”.