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Marco Bellini - Attraverso la tela, nota di Rita Pacilio

Da Ellisse

Marco Bellini - Attraverso la tela – La Vita Felice 2010

marco bellini - attraverso la tela
Attraverso la tela, di Marco Bellini, è una lucida raccolta di versi e narrazioni che ricorda le svolte dello spazio cosmico del destino dell’umanità già lette nei lavori di Elena Svarc. Il lettore si trova di fronte ad una colloquialità che dal ‘basso’ procede verso il ‘laterale’ perché le esperienze vissute e conosciute, di cui l’autore parla, sono condivisibili e donate in una forma di confidenza amicale, quasi confessate. Bellini sa che ogni elemento del reale appartiene al mondo e che nessuno ne può cambiare l’irreparabile fatalità. Il tempo è localizzato nelle casuali intonazioni ideologiche e sociologiche: e allora ho chiesto di uscire dal tempo. Questa poesia ci consente di avvicinarci all’attività conoscitiva dei pensieri compiuti e all’importanza delle sue motivazioni. L’autore esce ed entra nel reale, infatti, per trasformare in poesia gli attimi che si annullano quando la definizione psicologica diventa corpo-materia. Il ritmo lessicale e l’evidente estetica romantica delle visioni proposte si mescola ad un raro senso poetico: tutto viene partorito da un subconscio che vuole rivelarsi come razionale, ma che conserva ed evidenzia una forte pulsione emozionale. La rifrazione del verso, espresso in una prosa poetica curata e coerentemente aperta, sprigiona una tensione fenomenologica che appare, a chi entra nel racconto poetico, come una sequenza di specchi sovrapposti. Il senso metaforico presenta un’ ‘essenza parallela’ che può determinare un nuovo flusso vitale possibile, dettato da regole eterogenee, e una nuova filosofia dello spazio-tempo che ci catapulta nel monologo, assai profondo, che misura, nel nostro animo, la percezione delle cose sensibili. In questa raccolta leggiamo, tra le righe, la consapevolezza della negazione filosofica del Novecento in cui Montale preferiva sottolineare il suo ‘non volere’ o il suo ‘non essere’. La lettura sincera del mondo, come straordinaria aderenza poetica, è l’elaborazione della fine del silenzio della perdita-assenza. Bellini definisce in modo acuto le distanze temporali tra ciò che è stato e ciò che rimane: non sfugge la definizione dei parametri che indicano gli abissi e ci dona, con autentico rigore, i movimenti armonici tra l’esistenza morale e la sapienza dell’intelletto. (rita pacilio)

per Artemisia Gentileschi

Sono qui solo per incontrare l’odore della terra

il tuo riposo non è stato levigato nel marmo

ma guardando bene

forse quella chiocciola

fra i riccioli ripuliti di un lombrico

ha il tuo testimone.

Mi domando se questo mio sostare reclinato

riveli solo

una difficoltà a cercarti in alto

fra i suggerimenti autorevoli.

Nella tasca trattengo le tue parole chiedendo

a questo posto

un tentativo per farle risuonare

un restauro

dell’inchiostro imbevuto di carta.

E intanto ti porto gli ultimi giorni trascinati

dallo spazzolino da denti

vedi: il mio tempo ancora si muove.

Guardo il badile appoggiato al muro

e la tentazione

ma non si può restituire

non è un castello di sabbia il tempo che ha già percorso

gli ingranaggi dovuti.

Anch’io vorrei essere un viaggiatore dell’incanto

il polso è debole nel racconto

ma sono qui

per fare unico il nostro riposo di oggi seduto

la schiena alla siepe

e le radici che ti fanno da coperta.

Nei piatti di questa cena consumata non restano

altri fiati da ricordare

solo il tovagliolo con le tue iniziali

taciute.

Nel gioco dell’osmosi lì dove sei

avrai trovato l’acqua per un bicchiere?

Non ci sono luci da lasciare accese

ma una richiesta (o forse una preghiera?

A questo non ho risposta)

che il buio sappia essere una cornice buona

per i tuoi anni

chiusi in un riposo d’erba.

…DAL BICCHIERE BUCATO

Sopra la strada il calore scarabocchia l’aria
che ci ospita dentro e attorno
i cornicioni delle case nascondono le stanze
che ci sputano fuori
dalle attese nell’ombra, lasciate
a chi del posto
ha indossato i pantaloni corti.
Al margine dei passi un bar
dove si vendono angoli
e l’aria in un bicchiere bucato.
L’aria che ha tutte queste forme
capaci di confondere le mani
e il fiutare dei polpastrelli.
E’ tutto così difficile da confermare
le ossa dentro il corpo anche domani
e sul crinale la terra
aggrappata al profilo della collina.
E allora, dentro quest’ aria
che non possiamo rincorrere ma soltanto incontrare
servono i nomi, non si può senza i nomi
tengono a posto le cose, le fermano nelle parole
per non dissolvere, per non dissolverci e accompagnano
dentro la mappa, profonda negli anni
dove il braccialetto con il primo latte
il cartellino legato all’alluce (nessuna corsa nella carne)
parlano il labirinto assegnato.

- E’ il nome che fa stare dentro l’aria
il vaso sul davanzale?-

Fosse facile come un cartello stradale, sul palo
il peso di una risposta senza esitazioni.
E allora uno zaino, gli scarponi, salire in alto
dove anche l’acqua è di pietra
e l’aria corre sul vento, salire
per ascoltare dove sentire è possibile
e poi riconoscere le cose
dove le cose sono, ancora distanti
ma disposte nella loro forma chiara
lavate nello spazio freddo, dove
il silenzio rende difficili le bugie.
Fino a sera. Te ne accorgi a sera
dal rumore che fa il buio
quando si riprende tutto
e ti chiude lo sguardo
sul cucchiaino dentro il caffè
che resta solo
poco fango sugli scarponi, lento
a trovare riposo
tra le ciabatte nell’ingresso.
Lo stesso fango che resta
graffiato sui muri:

Questo non può avere
le croste alle ginocchia e gli spigoli della fame
ma talvolta un telaio d’ossa
e la polvere dei vestiti lo invadono
ed è allora che si alza
- bosco di pietra –
in tutto il nostro andare.

Rimane difficile trovare
poche righe in cui siano
quasi tutte le parole
quelle che pesano e sanno stare vicine, formando
con il fango il vaso sul davanzale
e con i nomi
un senso che gli cresca dentro
fino a ricordare che tutto non può essere
che tra parentesi
se cambiato in parole che non sono
ma soltanto dicono.
L’intero scrivere tra due solide parentesi
mentre fuori le cose stanno, muovono
la sostanza dell’agire e dentro
un cantastorie racconta la sua voce, misura
il suono nudo del dire.

DI UN BLU FERMATO CON LE PUNTINE

Quel gesto carico di tutti i giorni

le mani che si giungono con le dita rivolte al cielo

e che non puoi destinare

per un Dio venduto ad ogni spigolo di casa

tutto compreso, confezione speranza.

Quel gesto

appesantisce le braccia quando non incontra

suoni che aprono, capaci di lanciare aquiloni

più in là dei nostri passi

che non sanno guidare il vento

lontano dagli scarabocchi già impressi nell’argilla.

E nella ricerca

provare a mettere a fuoco, a distillare

per tenere e percorrere

il filo teso dell’aquilone senza lasciare

la corda sbiadita alle spalle, capace di tornare

al bambino consumato nell’infanzia

che ora scivola piano tra questi versi:

lo facevo quando ero piccolo

strappare le erbacce con le mani era semplice

ritrovare la terra per i giochi, prepararla

di solchi per i tappi e gli spintoni: “tiro prima io”.

E a dicembre sotto le giovani palpebre

i fiocchi della neve e dei pacchi.

A dicembre sul ripiano della cucina

incisa da un piccolo vomere

la rapidità del muschio

nell’occupare il presepe prima della neve

e la stagnola che non muove il mulino

racimolato di colla

sulla carta oleata della collina che conduce

più su del blu fermato con le puntine

al calendario appeso al muro

il nome di un santo per ogni riga

ogni riga lo spazio per un giorno.

Il venticinque si merita il rosso e l’attesa

del fabbro, il pastore e il falegname

che un pennello ha vestito senza pretese

per una somiglianza che è solo un ricordo.

Nell’angolo

la scatola vuota delle statuine porta

scritta sul nastro per l’imballo

la finzione che il bambino non sa leggere

e le piccole dita spostano veloci la pecora

oltre i fiammiferi del recinto.

E’ stato senza preavviso che la catena

ha trascinato il tempo, spostato l’orizzonte

lavorato di mano nascondendo i tappi

da questo palcoscenico senza uscita.

Diversamente oggi

quando la catena chiude sull’alba il tramonto

si fanno i conti con i dove della giornata

si stringono le viti e i cardini

che della porta

sono il punto fermo e questo

ogni giorno per nascondere

la precarietà che si fa pelle

ancora dietro

quel gesto carico di tutti i giorni

sospesi comunque in un fiume d’aria

che ci attraversa spogliandoci

dalle risposte trovate

nel segno scritto sotto il tappo di una birra.

Marco Bellini nasce in Brianza, dove ancora risiede, nel 1964. Nel 2007 pubblica “Semi di terra” (LietoColle). Nel 2008 pubblica la plaquette “Attraverso la tela” e per le Edizioni Pulcinoelefante la poesia “Le parole”. Nel 2010 pubblica “E in mezzo un buio veloce” (Edizioni Seregn de la memoria) e “Attraverso la tela” (La Vita Felice). Sue poesie hanno ottenuto riconoscimenti in diversi concorsi, sono presenti in diverse antologie e sulle riviste “Ali”, “Le voci della luna” e “Poesia”.


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