L’articolo, pubblicato oggi su “Punto informatico”, è apparentemente dedicato alla differenza fra i due fondatori della Apple: lo Steve Jobs di cui parlano tutti, e l’altro, Wozniak, che ha lasciato l’azienda nel 1985, dopo aver creato i primi due veri personal computer, Apple I e Apple II. Mentre a Wozniak si devono i pochissimi momenti di apertura del software e del firmware Apple,
Jobs si è anche coperto del “fango” di aver scientemente concepito solo prodotti chiusi e di averli protetti con ogni arma fisica e legale possibile ed immaginabile, contribuendo non poco all’attuale pietoso e grave stato dell’informatica di consumo, e quindi della Rete stessa.
Chi si avvicina all’informatica da utente potrebbe considerare tutto questo di interesse soltanto tecnico. Ma noi studiosi, quando così ci convinciamo che i nostri contenuti siamo tanto importanti da rendere irrilevante, “tecnica”, la loro prigionia in sistemi di valutazione e di pubblicazione informaticamente chiusi e umanamente oligarchici, rinunciamo al potere individualmente minimo ma collettivamente enorme di costruire porzioni del mondo delle idee – e infine del mondo stesso – tramite l’uso pubblico della ragione. E questa rinuncia è tanto più colpevole quanto più ricordiamo e ammiriamo i costruttori di gabbie e ignoriamo chi lavora per aprirle, anche a prezzo di una minor fama entro la prigione. Marco Calamari, ingegnere, riesce a illustrarlo con filosofica chiarezza.