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Marco De Carolis, poeta ligure

Creato il 13 settembre 2011 da Fabry2010

Introduzione di Giovanni Agnoloni

Marco De Carolis, poeta ligure

Marco De Carolis è un poeta che della Liguria ha colto i tratti intimi, quelli che parlano di piccoli ma decisivi dettagli del paesaggio e delle vite di cui s’imbeve. Di una sua raccolta poetica, Vorrei raccontarti (Milano, Vanitas, 2004), ebbe a scrivere Nico Orengo:

“Questo di Marco de Carolis, è un alfabetiere d’amore. una manciata di poesie, come le lettere di un alfabeto, buttate sulla pagina, in bilico fra ironia del vivere e nostalgia dell’amare. Vorrei raccontarti sono poesie del “dopo”, come tutti i versi che si scrivono sull’amore che si è fatto ricordo e dunque più tenace e vivo di quanto non sia nel viverlo quotidianamente. È solo “dopo” che se ne può misurare l’intensità e la vertigine, quel bisogno del corpo dell’amata che andava protetto da tavolini e sedie del bar, da spigoli di carrugi, dal traffico di piazza. De carolis usa le eterne parole degli amanti, le logora e le spreme, non si fa prendere da nessuno stordimento linguistico, perché quelle sono e quelle si sono sempre adoperate, dai grandi canzonieri in poi. Sono le intensità delle attese, le aspettative dei baci e delle carezze, le regressioni emotive a ricoprirle di vitalità nuova, innocente, e a bruciarle in una sincerità esistenziale e linguistica inattesa, viola come una campanula, bianca come un’alba.”

Qui propongo una selezione di sue liriche:

Natura…

Il cellofan tiene insieme le mele gialle, nuove.
Sotto mandarini macchiati a un solo ramo secco.
E un kiwi appassito.
Dalla gamella di rame anche l’angolo d’una busta.
Il Cagliari e l’Italia vincevano con Gigi Riva.
Si ruppe una gamba.
Noi anche giocavamo, e talvolta qualcuno diceva d’essersi rotto una gamba.
Giocavamo e la porta era una garitta del castello Malaspina.
Quello del Quarto Stato.
In casa quando tirava vento c’era una goccia ferma, secca d’azzurro.
Tempera di sudore.
Saliva dall’astuccio l’odore fruttato di cancelleria.
Poi non so quanto dopo il Das sapeva vago di mare.
Mia madre aveva i capelli castani.
Ma si vedevano solo le spalle bianche quando nuotava verso il largo.
Con chi fossi rimasto non ricordo.
Di certo con me c’era il sole.
Taggia, 14.II.2011

Niente

ho visto il faro
e, anche nella notte
indica niente

è solo bello
come le solitudini
e il vento

29.VII.2009

Il mare dell’acqua non ha colore

L’estuario dell’Argentina
ma sporco e confuso
nel sole e negli anni…

Oggi la pioggia obliqua
taglia adagio il rosso
dell’ibisco, e pure
un’antenna smagrita, stupida
fa con il mare.

Il mare dell’acqua non ha colore.
E erano giorni di cannabis,
di insufficienti nostalgie
del futuro.

Ma in certe notti
dall’estuario entrava la luna,
veniva da lontano, come da un’isola…
E allora le stelle e i baci
erano il solo esistere.
Erano guizzi filanti
di figli perduti,
di figli a venire.

24.IX.2010

Febbraio di fiere

Nella casba con un filo di palloncini.
Arc en ciel. Dopo la fiera.
Kuskus e canto di mare. Tramontana e deserto.
Il rivo del vino è amico di dio: mescola il sangue.
Correre dietro al vento è la vita.
Mette il tuo profumo.
Quello dei fiori nelle prime parole.
La notte.
Taggia, 26.II.11 (nella taverna, sotto il bastione, di Marco, Carmen e Giulietta)

Barbera

Viene la tua bellezza
fra l’armonica e i tavoli
nell’illusoria neve di riviera.
Ma la barbera tinge le tue labbra
e un bacio porta la mia mano
nel segno che tu sai.

E ha il tuo passo, la notte.
Bussana di Sanremo, 5.XII.10



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