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MARCO E’ UN ASSASSINO MA VOLEVA SOLO VEDERE IL MARE… parte 1

Da Maxdejavu
Max Dejavù

Max Dejavù

Marco è un assassino ma voleva solo vedere il mare.

Questa sarà la fine della storia ma iniziamo per gradi perché non è sempre importante la fine quando il susseguirsi degli eventi. Perchè i finali delle storie possono quasi sempre assomigliarsi. E’ la solitudine personale che non assomiglia mai a quella di qualcun’altro.

Marco nasce 50 anni fa in una famiglia perbene ma soprattutto perbenista, devota all’apparenza più che ai contenuti, convinta che la facciata dia agli uomini una reputazione solida e duratura.
Mario, il padre di Marco è un infaticabile lavoratore, la madre Clara, figlia di aristocratici della città bene, continua a vivere nell’idea di una aristocrazia che non esiste più malgrado la loro villa, in chiesa con l’abito buono la domenica e pesci, gamberoni e aragoste tutti i giorni santi.

Marco nasce 50 anni fa in un epoca dove la ginecologia moderna sta appena sbocciando e dove gli errori umani probabilmente sono molto più frequenti di adesso. Sarà proprio per colpa di un errore umano che Marco umanamente ne commetterà tanti di più nel suo futuro.
Al momento del parto la ginecologa usando il forcipe, preme un po’ troppo vigorosamente sulla testa del piccolino creandoli delle permanenti lesioni neurologiche che si riscontreranno da subito.

E’ il loro primogenito e distrutti dal dolore i due coniugi lo portano nei centri più importanti d’Europa per trovare una soluzione, un rimedio, una medicina, uno stregone o qualsiasi cosa possa permettere al loro piccolo di avere una vita “normale“.

Purtroppo la Medicina non trova soluzione, i più importanti professori non riescono a dare nessuna nuova speranza ai due giovani coniugi. Gli dicono che il danno è irreversibile, che sarebbe potuto anche andare peggio, magari morire e che se saranno in grado di amare questo figlio, in quelle condizioni lo dovranno fare, cercando di dargli una vita più normale possibile per quanto difficile possa essere.

Ma come spesso accade, in un mondo variabile e variegato, questa “normalità” non è facile da decifrare e intendere.
Passano degli anni e la soluzione non si trova.

Mario e Clara decidono di mettere al mondo altri figli, cinque per la precisione. Qualcuno malignamente potrà sostenere che la ricerca di così tanta progenie sia attribuibile alla necessità di colmare un vuoto o solo di mostrare al mondo intero la loro estraneità riguardo i difetti del figlio e la normalità del proprio bagaglio genetico. Potrebbero dirlo ma così non è, Mario e Clara quei figli li sognavano da sempre.

Il tempo trascorre e Marco e i suoi cinque fratelli crescono sereni nei giardini della tenuta di famiglia, una distesa verde ricca di prati e alberi maestosi, rigagnoli e fontane.

Marco però è “diverso” e soffre spesso di attacchi epilettici causati dalla sua “malattia“.
I fratelli lo sanno ormai e puntualmente riconoscono i sintomi prima di un attacco. Lo sorreggono prima che stramazzi al suolo, lo consolano e lo tranquillizzano poi, come se nulla fosse accaduto, Marco si rialza dall’improvviso torpore e riprende a correre.
Ma l’epilessia non è l’unico problema di Marco. Lui è tremendamente forte, un braccio di pietra e una presa d’acciaio.

I suoi problemi iniziano con la scuola.
I genitori tanto hanno fatto per proteggerlo, per non esporlo troppo al mondo, un mondo crudele, uscito da meno di vent’anni dalle terribili guerre che mandavano ebrei, omosessuali e handicappati alle camere a gas.
Ma è sempre il solito problema, protezione o paura di mostrarlo?

Insomma, Marco va a scuola e come spesso accade, qualche suo compagno all’istituto scolastico ha provato a sfotterlo per il suo aspetto leggermente “diverso” e per la sua parlata strana ma è durato poco perché Marco lo ha colpito violentemente lasciando il malcapitato a terra indolenzito.
Dalla scuola più volte hanno chiamato i genitori per cercare di riportare il figlio all’ordine a seguito di quei violenti litigi. Mario e Clara inutilmente hanno cercato di spiegare che Marco, il loro figliolo, è un ragazzo buono che non farebbe male ad una mosca e che se l’ha fatto molto probabilmente è accaduto sotto provocazione.
Il preside però non ha voluto sentire ragioni, quel figlio “diverso” va tenuto a freno, deve sapersi controllare. Se non sono capaci di sedarlo tanto vale tenerlo rinchiuso in casa tanto lui, non ha bisogno di studiare perché lui una vita “normale” non l’avrà mai perché non gli serve!

Il tempo continua a trascorrere e chissà per quale motivo, forse per le parole del preside, forse per la paura di questo mondo violento e irrispettoso, Mario e Clara iniziano a chiudere le porte di quel cancello posto così lontano dalla villa.

Marco comunque continua i suoi studi, prende la licenza media.
I fratelli negli anni lo hanno sempre appoggiato e protetto, hanno subito le angherie “riservate” al fratello pur sempre evitando lo scontro fisico.
Ora Marco ha finito, quel titolo di studio lo chiude in un cassetto come la sua vita si chiude dietro quelle alte mura. La sua vita scolastica è arrivata al capolinea. Mentre il tempo nel mondo continua a scorrere, nella camera di Marco improvvisamente si ferma…

I fratelli continuano a studiare, sono più piccoli e ancora mancano anni alla fine della scuola superiore.
Continuano ad entrare ed uscire di casa lasciando Marco sempre più abbandonato a se stesso. Solo.
Loro parlano di amici, compagni, di ragazze e di ragazzi.
Lui parla di alberi e di foglie caduche.
I suoi fratelli continuano a crescere, iniziano i primi amori, l’adolescenza delle sorelle e cambiano i discorsi. Si parla di amore, di fidanzamenti.
Marco parla di mamma e papà, del cortile della tenuta, di conigli e di foglie caduche.

Gli anni continuano a trascorrere, inesorabili come sempre. Tremendamente lunghi per Marco.
Lui ormai più che ventenne è attaccatissimo alla madre e per la madre farebbe ogni cosa.
Ora, qualche parola dovremmo spenderla per la madre perché vale la pena interrogarsi sul personaggio.
La madre, Clara, è una donna forte e di un carattere particolarmente brutale e violento.
Ha cresciuto i figli, e continua a farlo malgrado l’età oramai non più giovanissima, con uno spirito particolarmente autoritario.
Per ogni disubbidienza dei ragazzi, la pena è la devastazione di un gioco o di un qualsiasi bene caro.
Marianna, la “primogenita” è quella che le violenze educative della madre le ha subite più di qualsiasi altra persona e più le subiva più si legava a lei. Una specie di sindrome di Stoccolma a livello domestico, dove il carnefice viene persino giustificato dalla vittima: “Lo faceva per il nostro bene” sosterrà ripetutamente davanti al giudice “il rigore è importante per la solidità morale di una persona”

Marianna è anche quella che tuttavia più di tutti ha combattuto con la madre. Innamoratasi di un ufficiale della Guardia di Finanza, si troverà di li a poco a scontrarsi violentemente contro la madre che non può e non vuole sentir ragioni. Per lei, Marianna, il futuro è già segnato, dovrà sposarsi che il figlio del notaio più importante del paese. Ne va della rispettabilità e del lustro della sua famiglia.

Mario, il padre di Marianna invece è un uomo diverso. Un uomo mite. Lui che ha visto la guerra in una delle sue forme peggiori, cerca sempre di smorzare i toni, cerca la pace domestica, il silenzio e la tranquillità.
Ha comunque sposato Clara e su molti principi non è ben diverso da lei. La vergogna, l’onore, la rispettabilità e l’immagine della persona e della famiglia sono valori imprescindibili…

[continua]


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