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Marco Politi torna a diffamare Benedetto XVI

Creato il 01 maggio 2013 da Uccronline

Marco PolitiPiù volte abbiamo segnalato le menzogne di Marco Politi, sedicente vaticanista del Fatto Quotidiano. La sua ultima diffamazione è sempre contro Benedetto XVI, per cui sembra provare una forma di ossessione, riesumando addirittura il caso del prete pedofilo Stephen Kiesle e accusando il card. Ratzinger di averlo coperto.

Ha lanciato questa accusa durante la prima conferenza internazionale della SNAP, associazione che dovrebbe proteggere le vittime dei preti pedofili. Un’organizzazione fasulla, che non intende presentare ai tribunali i documenti con i quali accusa ai sacerdoti e il cui solo obiettivo è quello di infangare la Chiesa: lo ha ammesso in tribunale il presidente David Clohessy -cioè colui che ha invitato Marco Politi- ammettendo di aver pubblicato informazioni false contro la Chiesa cattolica. Lo stesso Clohessy non si è mai scusato con le vittime che dovrebbe proteggere, né ha mai preso le distanze, dal suo stretto collaboratore all’interno della SNAP, Steve Taylor, arrestato nel 2008 per possesso di oltre 100 video-immagini pedo-pornografiche. Addirittura la fondatrice della SNAP, Barbara Blaine, ha scritto diverse lettere in sua difesa chiedendo ai magistrati di chiudere un occhio.

La SNAP ha anche tentato di incriminare Ratzinger sul caso di padre Lawrence C. Murphy, ma un anno fa le accuse sono state ritirate perché, come ha spiegato l’avvocato Jeffrey S. Lena, «sapevano che avrebbero perso se avessero continuato a perseguire il caso. Non volevano una pronuncia negativa da parte del giudice». Marco Politi consumò fiumi di inchiostro su questa vicenda per aggredire Ratzinger, ma ha accuratamente evitato di segnalare, al contrario dei suoi colleghi, la notizia che la denuncia era stata ritirata. Strano, perché lo stesso vaticanista scriverà poco dopo un delirante articolo sull’etica giornalistica e il dovere di informare correttamente.

Marco Politi, dicevamo, ha voluto riesumare in questi giorni una vicenda nata (e chiusa) nel 2010 a causa di un errore dell’agenzia Associated press«nel 1985 il cardinale Ratzinger in una lettera al vescovo di  Oakland sulla riduzione allo stato laicale di un prete, che ha abusato di due ragazzi, soppesa i pro e i contro dell’espulsione rispetto alle reazioni della comunità parrocchiale», ha detto Politi alla conferenza della SNAP.

Ecco i fatti: il 6 novembre 1985 con una lettera in latino il card. Ratzinger a mons. John Stephen Cummins,vescovo di Oakland (California), manifestava dei dubbi sulla concessione della dispensa dallo stato laicale richiesta dal prete accusato di molestie padre Stephen Kiesle. Il sacerdote voleva infatti evitare il processo canonico da parte della Chiesa (parallelo a quello statale) e aveva chiesto di lasciare la chiesa con la scusa di doversi sposare. Il cardinale Ratzinger scrisse che, per il bene della Chiesa e dei fedeli, la risposta doveva essere negativa. Inoltre era stato Giovanni Paolo II ad aver impartito di rifiutare le richieste di sacerdoti che rinunciavano all’abito talare prima dei 40 anni (padre Kiesle ne aveva 38). Nel frattempo la diocesi di Oakland poteva naturalmente proseguire l’indagine penale suscettibile di portare Kiesle alla dimissione dallo stato clericale, non su sua richiesta ma come pena per gli abusi compiuti. Il caso è stato ben spiegato da Massimo Introvigne, ma anche da p. Joseph Fessio nel 2010 (e da tanti altri). Ringraziamo il blog di Raffaella per aver seguito con costanza tutta la vicenda.

Occorre anche ricordare che nel 1985 la Congregazione per la dottrina della fede non aveva alcuna competenza per i casi di pedofilia, che venne accordata solo nel 2001. Dunque anche volendo l’allora cardinale Ratzinger non avrebbe potuto ridurre allo stato laicale il sacerdote (espellerlo dal sacerdozio), ma andò comunque oltre ai suoi compiti e presentò invece al vescovo di Oakland i suoi dubbi sull’accettare le furbe richieste di questo sacerdote.

Il vaticanista di Repubblica, Paolo Rodari ha scritto nel 2010: «Sul caso di Stephen Kiesle è invece l’Associated Press a fare disinformazione. Ovvero ad accusare, senza sapere nulla di ciò che scrive, Ratzinger di aver coperto un prete pedofilo». Accusare senza sapere ciò che si scrive, ecco la vocazione professionale di Marco Politi.


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