I Marduk sono uno di quei gruppi che per qualche motivo hanno la nomea di fare sempre lo stesso disco da sempre, ma in realtà non è così. Qualche anno fa era di moda dire lo stesso anche dei Manowar, ma anche in quel caso non era così. Più che avere un’evoluzione costante, la discografia del gruppo svedese si può dividere in varie ere, grossomodo coincidenti con i vari cantanti; qualitativamente, invece, i Marduk sono rimasti piuttosto costanti nell’arco di tredici album, tra dischi bellissimi e dischi soltanto carini, e i passi falsi sono stati fisiologici, con appena due-tre dischi bruttini o noiosi rimasti a prendere polvere sullo scaffale. Frontschwein è destinato a diventare uno di questi ultimi. È fuori fuoco, direi semplicemente sbagliato, a causa di un insieme di fattori imputabili un po’ a scelte sbagliate e un po’ alle contingenze. Mi pare un tentativo di suonare più old school, a cominciare dalla produzione per finire all’arrangiamento dei pezzi, molto scarno ed essenziale; vorremmo essere dalle parti, immagino, del periodo Heaven Shall Burn/Nightwing, ma purtroppo gli è venuta male. E gli è venuta male perché non suonano più così da secoli ormai, perché sono anni che suonano con un’altra sensibilità e un altro approccio, facendosi portare per mano da un cantante che questa musica la faceva già da prima coi suoi Funeral Mist; e, nonostante i venticinque anni di carriera sul groppone, sembravano ancora un gruppo freschissimo. Serpent Sermon è il culmine di un’evoluzione intelligente e ragionata, paragonabile, considerata la storia della band e mutatis mutandis, a quella avuta dai Rotting Christ, da Tom Warrior o dagli Enslaved.
Quindi il ritorno al passato gli è uscito male; non so se sia a causa del fatto che non sono più capaci di suonare a quel modo (anche perché molti membri sono cambiati): certo può essere un insieme di cause, anche perché molto spesso si ha la sensazione di sciatteria e svogliatezza, come se avessero avuto fretta di scriverlo, o l’avessero scritto mentre pensavano, boh, ad altro. Il nuovo batterista non mi piace, ma la produzione della batteria non lo aiuta: per dirne una, nei midtempo il rullante sembra un fustino del Dixan e il charleston sembra quello della banda di paese. Non so se il disco sia stato registrato apposta così male per quella storia del ritorno alle origini, ma alle origini non avevano mica questo suono, e comunque gli è uscita male pure questa.
Il pezzo migliore è Between The Wolf-Packs, che ha un paio di bei riff. Carucce Falaise e Doomsday Elite, che però avrebbero reso molto meglio con un suono diverso. Le peggiori penso siano Afrika e Nebelwerfer, che non riesco quasi mai a finire prima che mi venga voglia di premere skip. Probabilmente è anche la produzione che non pompa e che soprattutto non è adatta ai Marduk attuali, persino quando vogliono suonare old school come in questo caso. Blond Beast è stupidina, non so che altro termine usare. Verso la fine del disco c’è 503 che è il solito pezzo cadenzato dei Marduk, ma uscito veramente male; brutti riff, brutte linee vocali, inspiegabile ritornello da pub e il tutto affossato senza possibilità di scampo dalla produzione che gli toglie potenza cercando di farlo suonare come Dreams of Blood and Iron o Materialized in Stone, senza averne il sentimento. Il paragone col pezzo cadenzato di Serpent Sermon, Temple of Decay, è impietoso. L’ultima Thousand-Fold Death risolleva un po’ le sorti del disco: una caciaronata senza motivo con linee vocali assurde e qualche buono stacco melodico qua e là, quantomeno divertente. E questo è. Chiaramente tutti gli indizi portano a pensare che sia un temporaneo passo falso, quindi non ci preoccupiamo troppo e aspettiamo, rivolgendo ogni tanto una preghierina al demonio affinché restituisca l’ispirazione ai suoi figli prediletti.