Magazine Diario personale
Non è una moschea ma non importa. È ombra dove la gente si è inginocchiata e ha parlato con la voce del silenzio.
Non gli importa di lasciare il passato. È un bambino, è troppo piccolo per avere il senso reale del tempo. È tutto insieme, nella stessa mano, ciò che conosce e ciò che lo aspetta.
Se non ci fosse stato il mare nero sotto il deserto nessun dittatore avrebbe avuto voglia di dettare legge e nessuno straniero di venirli a difendere lanciando missili cruise. [...] Il petrolio è la merda del diavolo, non ti fidare di quello che sembra una fortuna. Perché è peggio di una trappola per scimmie. E sempre quello che per i ricchi è una fortuna, per i poveri è una disgrazia.
Ogni vera gioia ha una paura dentro.
Era la volta che lui l'aveva più odiata. Era la volta che aveva sentito che lei lo amava più di tutto.
C'è qualcosa nel luogo dove si nasce. Non tutti lo sanno. Solo chi è strappato a forza lo sa.
Un cordone sepolto nella sabbia.
Un dolore che tira sotto e ti fa odiare i tuoi passi successivi.
Erano gli anni settanta, trovarono un mondo distratto. A nessuno interessava la loro diaspora. Erano la coda sporca di una storia coloniale che nessuno aveva voglia di dissotterrare.
Vane diventano le parole ripetute troppe volte.
Vito c'ha pensato qualche volta al gigante che organizza il mondo. Si è chiesto se è fatto di persone, tante persone una sull'altra. E se lui sarà una di quelle persone minuscole ma decisive.
È quello che un ragazzo dovrebbe sperare, partecipare all'organizzazione del mondo. Lui è sempre stato uno studente in fuga, e non solo dalla scuola. Da ogni forma di apprendimento.
Abbassa la testa. Si vergogna di queste ambizioni improvvise. Non farà niente di buono, di rimarchevole. È più facile che accada così, che la sua vita passi inosservata.
La storia è un millepiedi e ogni piede tira da una parte diversa, e in mezzo c'è il nostro corpo.
Li ha visti quei barconi carichi e puzzolenti come barattoli di sgombro. I ragazzi del Nord Africa, i reduci dalle guerre, dai campi profughi, e gli imbucati.
Ha visto gli occhi allucinati, il passaggio dei bambini sopravvissuti, le crisi di ipotermia. Le coperte d’argento. Ha visto la paura del mare e la paura della terra.
Ha visto la forza di quei disperati, io voglio lavorare, voglio lavorare. Voglio andare in Francia, in Europa del nord a lavorare.
Ha visto la determinazione e la purezza. La bellezza degli occhi, il candore dei denti.
Ha visto il degrado, il porcile.
Le schiene dei ragazzi contro un muro, i militari che toglievano i lacci delle scarpe e le cinture.
Ha visto la gara degli aiuti, i panni trovati per i bambini, le collette dei poveri davvero incazzati perché Gesù Cristo chiede sempre a loro.
Ha visto la saturazione, la paura delle epidemie. La gente protestare, bloccare i moli, gli approdi.
E poi ricominciare, buttarsi nel mare in piena notte per tirare su quei disperati che nemmeno sanno nuotare.
E non sai davvero chi salvi, magari un avanzo di galera. Uno che ti ruberà il cellulare, che guiderà contromano ubriaco, che stuprerà una ragazza, un’infermiera che torna a casa dal turno di notte.
Ne ha sentiti di discorsi così Vito, affastellati, rozzi. La rabbia dei poveri contro gli altri poveri.
Salvare il tuo assassino, forse è questa la carità. Ma qui nessuno è un santo. E il mondo non dovrebbe aver bisogno di martiri, solo di una ripartizione migliore.
♥I miei scarabocchi su "Mare al mattino", Margaret Mazzantini
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