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Mare fuso: la natura secondo Mimmo Jodice

Da Fabry2010

Si è appena conclusa al Palazzo delle Esposizioni di Roma una mostra monografica su Mimmo Jodice, doveroso tributo a uno dei maggiori fotografi italiani di tutti i tempi. Un percorso soprattutto cronologico e implicitamente tematico che mette in contatto con la storia e lo stile di questo artista partenopeo che pur avendo viaggiato in tutto il mondo ha probabilmente espresso il meglio raccontando la sua Napoli.
Mare fuso: la natura secondo Mimmo Jodice

Ritratto di Mimmo Jodice - Photo © Linda Vukaj 

http://www.lindavukaj.com  

 

Dagli esordi sperimentali degli anni ’60 con foto strappate e sovrapposte (“Paesaggio interrotto”, “Frattura” o immagini di “Taglio” alla Fontana), passa presto a rappresentare il proletariato, non solo quello urbano con le fortissimi immagini di una “Ercolano” pasoliniana, o la serie dell’ “ospedale psichiatrico”, ma pure quelle della fabbrica, con alcuni scatti presi anche nelle acciaierie di Terni. La sua scelta totale del bianco e nero storicizza le figure, le congela in modo statico ed eterno come lava su Pompei, fino a che inizia a ribaltarsi: non sembra essere più l’umanità della figura ciò che interessa, ma l’essenza archetipa che incarna. Comincia così la sere di immagini dove la presenza carnale-umana sparisce, sostituita da simulacri: sono le statue il soggetto rappresentato, statue o immagini andriformi spesso mutile, corrose, sfigurate, alle quali Jodice dona a volte cinetica usando un effetto di zoom, in modo forse un po’ ripetitivo e pleonastico.  E dove manca persino il simulacro ci sono solo i fantasmi dell’umano: una macchina coperta da un telo, finestre finte, sbarrate, cumuli di scarpe polverose, vecchie sedie accatastate. Un’atmosfera post-atomica, caliginosa, eternamente passata, morta, sfuturata.
Anche nelle città estere ritratte, che sia Parigi, Tokyo, San Paolo o New York, la presenza umana sembra un passaggio avvenuto ma concluso, mancano i simboli rintracciabili della corporeità, che resta ectoplasmica. Immagini che nella definizione dello stesso Jodice “non appartengono alla quotidianità”.

Mare fuso: la natura secondo Mimmo Jodice

Più compiutamente negli scatti  tra il 1994 e il 1997 (intitolati “Eden” nella mostra) emerge il senso decadente dell’umanità come mera “consumatrice” di vita: animali uccisi, squartati, scuoiati per essere venduti e mangiati, con le macchine per farlo: tritacarne, affettatrici; e ancora pesci agonizzanti e soffocati, e merci simulacro di genere umano: una tutina da neonato, un manichino di donna, sedie di plastica.
Come per rifiuto di questi meccanismi di morte, Jodice arriva al mare, ci arriva come un eroe omerico: la spiaggia come approdo, come sguardo di fuga dalla piccolezza della materia per aprirsi all’infinito dell’orizzonte. Talmente infinito, che per ritrarlo programma tempi di scatto lunghi e chiude l’obiettivo, ottenendo un effetto liquido per la superficie acquosa: via le onde, via il movimento; tutto si al liscia, si trasforma in una colata di metallo fuso racchiusa tra alcune quinte: scogli di mare, una banchina, la scaletta di una piscina. Ma l’immagine più forte di quelle scattate con questa tecnica è forse quella di una sdraio su una spiaggia, unico elemento a fuoco contro un orizzonte che è talmente soffuso e splendente da non sembrare neanche in bianco e nero.
“Sicuramente chi guarda le mie fotografie sta guardando i miei pensieri” afferma l’artista, che negli ultimi scatti di natura morta e ancora dominata dall’assenza dell’uomo, racconta attraverso alberi spogli e piante imbustate nella plastica un pericolo della distanza dalla pienezza della natura, dandoci un monito.

 


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