Arturo Toscanini non la amava, disse che aveva l’aceto nella voce, però questo aceto quanto ha impressionato, deliziato, ammaliato, stupito, sconcertato chi l’ascoltava! Si può sbagliare, prendere lucciole per lanterne, anche se ci si chiama Arturo Toscanini, perché Άννα Μαρία Καικιλία Σοφία Καλογεροπούλου (Anna Maria Cecilia Sophia Kalogeropoulou), al secolo Maria Callas, ha veramente ecceduto la sua arte, è andata oltre il melodramma, non è stata soltanto una cantante lirica, come poteva essere, con tutto il rispetto, Renata Tebaldi. Si dice Callas e subito intendiamo una vertigine, un abisso in note e in timbri, uno straripamento delle scene, un’apertura di senso che solo una voce “greca” poteva assicurare, la voce dei millenni di un occidente destinato da sempre al tramonto. Tosca che guarda Scarpia morto e chiosa sprezzante avanti a lui tremava tutta Roma è stata soltanto Maria Callas, solo lei era la Casta diva, unicamente lei poteva regalarci il gelo torrido di Ebben? Ne andrò lontana… Una carriera durata poco, in fondo meno di venti anni, eppure sufficiente per liquidare il bel canto convertendolo in elegia (in greco è anche έ έ λέγειν, un dir ahi ahi durante la veglia funebre), per spazzare via l’equivoco del verismo in musica e tornare a aggredirci con l’antico orrore della tragedia. Dopo di lei non rimane altro che una scenografia arredata da gorgheggi e parrucche, trucco pesante e rumore.
Marco Vignolo Gargini
http://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Callas