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Maria Grazia CALANDRONE – “SULLA BOCCA DI TUTTI”

Creato il 20 agosto 2011 da Fabry2010

Quando non eravamo

La terra era bellissima, conoscevo ogni appezzamento d’er-
ba, l’area dei formicai come un soglia
di solitudine prima
del bosco e serpentine di calore terrestre e venti in rota-
zione.
Camminavo col passo e col pensiero quando comincia a
scendere
dalle montagne e avvicina la cronaca domestica ed era alta
la probabilità che avrei ucciso, ora non dubitavo che avrei
ucciso
per venire da te, nascondendo nel petto un lago sistematico
di pianto.

Qui niente è lieve, siamo larve
dolorose – eppure
alla sventagliata di schegge
segue l’istinto verso la salvezza
della testa. Altrimenti osserviamo che la vita ricolma gli
abissi
che si sono aperti
nel corpo con filamenti rossi
e con la colla della granulazione:
le proteine fondono e si sdoppiano
in mute cuciture prenatali
tra i bordi di lesioni provocate
da uno sgomento
sproporzionato alla fragilità del corpo.
Ma la natura conserva per noi
tanta dolcezza e tanta
lungimiranza da non avere occhi per il dolore e quasi
pazza d’amore perdutamente incatena
cellula a cellula sopra la circostanza, ogni volta il suo ago
ci ricrea mentre ci trafigge. La vita cresce contro l’imme-
diata
volontà. Dico dell’anima
e del corpo dico
che quasi niente
uccide e ciascuno comprende la sua soglia.

Uomini e donne sono alberi degni di innalzarsi nei boschi
colpiti da immortali
raggi di sole, ponti d’argento con cifre rosse inclinati in tut-
te le direzioni e nonostante
l’epidemia delle trincee, sale al colmo calcinato della Viola
Magna
celeste una lauda
su lontananza, amore e tradimento
perché ognuno porta nel petto la torcia bianca di un nome,
la meta.

Le fiamme consumavano il sottobosco e i simulacri in pie-
tra. Nessuno
-prima-
aveva nel cuore una parola
per significare guerra, eppure la violenza era l’alfabeto
di tutte le mani: pietra
focaia-acciarino-miccia-gusci di mine.
Depongo stanotte nelle tue mani l’insieme delle mie ossa
come una candela che rimane accesa
sotto la direzione del tuo amore.

Alcune venivano per identificare
corpi ai quali avevano consegnato il respiro
dell’unica notte
d’amore e con esso
la bocca da fuoco di tutte le armi.
Sei caduto e cospargi la terra
del bruno che è colato dalle semine
e dalle stimme
addominali. Solo tu
sai che sfioravo il cuore con la bocca, tanto
era fragile il costato sotto la percussione delle parole:
senza neanche essere vicini eravamo il solco
e la frana – il tremito
e la scossa inumana della struttura
sotto un urto che non si può ripetere e adesso
tu non sei più
circonfuso di luce sei freddo
e la macerazione del tuo corpo
ha il suo corrispettivo nel mio cuore che si va spegnendo e
non
dà quasi più sole e porterà fino alla fine del mondo
la cicatrice immatura del tuo nome
poi che avrò conosciuto con la vita intera
quello che insieme sapevamo.

La contrazione e il biancore degli scomparsi, il loro corpo
coperto di lacune con lo sguardo che termina
a valle nella terra vangata. L’ultimo della fila
innalza i muri della casa con un’occhiata
che è quasi terra e sulla soglia
ricorda lei già quasi inginocchiata
per il dolore – e per l’acuto e per il profondo
e a causa dell’altezza
del suo dolore, lei si è avviluppata
come un tralcio a un cuore lontanissimo
dal sedimento molle nel loro petto d’angeli, lontanissima
dai pilastri centrali delle loro ossa
rivolte come assi
verso il centro perfetto
del cielo. Niente andava perduto, nemmeno un petalo ca-
deva
inosservato, eravamo
Attenzione-e il mondo era bellissimo
e chiaro. E la mia larva adesso
non sa morire, è già terra
e non muore, la carcassa non schianta per lo scherno i suoi
lombi
sotto i piedi del bosco fatto sangue, nel bosco
azzurro che abbiamo versato dal petto mentre ci chiama-
vamo.

Le armate degli scomparsi hanno passato la frontiera
a est, grattano le pareti delle celle-diseredati
e lievi
con un cuore caldissimo: ora
vediamo con i nostri occhi le nostre case
abitate da altri, vediamo l’arroganza di altre mani
sopra quello che per eccesso d’amore non osammo nem-
meno
sfiorare e vi seguiamo, vi seguiamo sempre
sotto forma di un niente senza voce. I nostri corpi
sono evaporazioni del superfluo
dalla cella del mondo e crediamo di essere evidenti
e siamo inafferrabili e invisibili
come un cielo velato che per amore porta le sue lacrime.

Roma, 13 febbraio 2008

*

Maria Grazia CALANDRONE – “SULLA BOCCA DI TUTTI”

Maria Grazia CALANDRONE
SULLA BOCCA DI TUTTI
Crocetti Editore (Milano, 2010)



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