Magazine Cultura

Maria Pasquinelli: un’agente nell’Italia liberata (I)

Creato il 30 luglio 2013 da Casarrubea

Claudia Cernigoi

Maria Pasquinelli

Maria Pasquinelli

Anni or sono a Trieste, nella centralissima galleria del Tergesteo, fu esposta una mostra sulle questioni del confine orientale (curata dall’ex avanguardista nazionale Dino Giacca e patrocinata dal Comune di Trieste). Su uno dei pannelli si poteva leggere questa didascalia:

Maria Pasquinelli,l’insegnante che dopo essersi prodigata in Dalmazia, uccise a Pola il generale inglese De Winton per vendicare con il sangue di un nemico l’enorme ingiustizia consumata contro l’Italia. Maria Pasquinelli ha sempre rifiutato di chiedere la grazia allo straniero. Fulgido esempio di dedizione e di sacrificio alla madre patria ed alle genti giulie  [1]

Tale apologia di reato non sembrò creare alcun problema alle autorità cittadine, e la mostra fu esportata non solo in altre città italiane, ma anche all’estero. E quando fu pubblicato un libro-intervista a Maria Pasquinelli, sulla base di questo testo (peraltro non eccessivamente critico nei confronti dell’operato dell’ex insegnante) furono anche organizzate delle letture sceniche in varie città, tra cui Torino, Trieste e Bologna.

E ricordiamo che il generale in congedo Riccardo Basile (presidente della Federazione grigioverde ed assiduo oratore per la Lega nazionale), che già in passato aveva definito messaggio di “alto spessore etico e politico” l’assassinio di De Winton, ha ribadito ancora l’8/2/13, nel corso di un convegno patrocinato dal Comune di Trieste, che secondo lui Maria Pasquinelli è “una donna grandissima” ed “un’eroina”.

Rappresentato un tanto via mail al Sindaco di Trieste (PD), chi scrive ha ricevuto la seguente risposta: “ovviamente non condivido la frase del gen. Basile ma non è che l’Amministrazione possa dissociarsi da un’iniziativa perché in forte dissenso con un intervento… Credo che non faremmo altro che fare pubblicità al generale ed alle cose che ha detto” [2].

Così in occasione del suo centesimo genetliaco, il “Piccolo” del 2/4/13 ha dedicato a Maria Pasquinelli un riquadro nell’“Album dei ricordi” col titolo “I 100 anni di Maria Pasquinelli, la pasionaria istriana”, mentre su un giornale umbro è apparso l’intervento di tale Laura Brussi “esule da Pola” che così si è espressa:

il plumbeo mattino di Pola, su cui gravava una pioggia gelida come le partenze del Toscana con i suoi dolenti carichi di profughi avviati verso l’esilio, fu sconvolto da tre colpi di rivoltella: quelli con cui Maria Pasquinelli mise a segno l’estrema protesta della sua gente, indirizzandola nei confronti del Generale Robert De Winton, comandante inglese della piazzaforte locale e simbolo sia pure incolpevole della miope insipienza etica e politica con cui i Quattro Grandi ed i loro alleati avevano cancellato le residue speranze italiane[3]

Dopo un silenzio di alcuni decenni, quando Maria Pasquinelli veniva indicata come eroina solo dalla parte più revanscista della destra italiana, negli ultimi anni sono usciti alcuni libri sulla sua figura, che ad un primo esame appaiono critici del suo operato (del resto costituirebbe apologia di reato dire apertamente che la signora aveva fatto bene ad ammazzare il malcapitato De Winton, sopravvissuto alla seconda guerra mondiale per cadere sotto i colpi di una fanatica nazionalista armata non si sa da chi). In realtà, con la scusa di analizzare, capire, comprendere e spiegare, alla fine la figura di Maria Pasquinelli viene presentata in modo quasi simpatizzante (la donna che per una fede ha ucciso, distruggendo anche la propria vita…). Ora, vorremmo vedere come reagirebbero l’opinione pubblica, ma soprattutto le istituzioni, se qualcuno si permettesse di sostenere che Nadia Desdemona Lioce era “animata da alti ideali” quando partecipò agli omicidi D’Antona e Biagi e “sacrificò la propria vita” per “lottare per il suo popolo”.

Ma chi era Maria Pasquinelli (morta pochi mesi dopo essere diventata centenaria) e perché è diventata un mito nella storiografia della destra nazionalista ed irredentista (ma non solo), nonostante abbia commesso un crimine abietto uccidendo a sangue freddo un innocente al solo scopo dichiarato di fare un atto dimostrativo?

In questo studio cercheremo di ricostruire la storia di Maria Pasquinelli e dei suoi tempi, e soprattutto dei suoi collegamenti: ed alla fine vedremo come male le si adatti l’immagine che le si è voluto creare attorno, quella dell’eroina solitaria che si è chiusa nel proprio riserbo dopo l’azione di cui si rese protagonista.

Abbiamo tratto la maggior parte dei dati biografici da due testi: “La giustizia secondo Maria” e “La donna che uccise il generale” [4]; fondamentale per la comprensione del ruolo dell’intelligence angloamericana l’articolo di Giuseppe Casarrubea e Mario Cereghino “Le iene del neofascismo” [5]; per le testimonianze su Porzûs ci siamo inoltre basati sulla Sentenza d.d. 30/4/54 della Corte d’Assise d’Appello di Firenze [6].

Il periodo fascista

Maria Pasquinelli, classe 1913, nata a Firenze ma di famiglia bergamasca (il padre Archimede, di origine marchigiana, si sarebbe stabilito a Bergamo nel 1900 per assumere la direzione del giornale cattolico “ll Campanone”; lì avrebbe conosciuto e sposato l’insegnante Maria Mazzoleni con la quale ebbe cinque figli [7]), dopo le Magistrali si laureò in pedagogia e poi, “fascista fervente” [8], frequentò la Scuola di Mistica fascista, senza concludere però questi studi, anzi sembra in polemica con il fondatore della scuola Niccolò Giani, al quale avrebbe posto il quesito “se fosse mistico volere un diploma di mistica fascista”: lui le rispose che poteva anche non prenderlo e lei a sua volta “infatti non lo voglio” [9].

La scuola di mistica fascista

Dopo la spiegazione di Maria Pasquinelli: “non ricordo cosa si insegnasse, ma io sapevo già tutto” [10] (!), trascriviamo quanto si trova nel sito dedicato a questa “scuola”.

Il culto del Duce, quale fondatore e massimo interprete del fascismo e della sua missione storica, fu posto al centro dell’attività della Scuola di Mistica Fascista. “Ogni vera rivoluzione mondiale – scriveva Giani – ha la sua mistica, che è la sua arca santa, cioè quel complesso di idee-forza che sono destinate ad irradiarsi e ad agire sul subcosciente degli uomini. La scuola, è sorta appunto per enucleare dal pensiero e dall’azione del Duce queste idee-forza. La fonte, la sola, unica fonte della mistica è infatti Mussolini, esclusivamente Mussolini. Forse che ignorando o non conoscendo a fondo il pensiero del Duce si può affermare di essere fascisti? Noi diciamo di no. Che il fascismo non è istinto ma educazione e perciò è conoscenza della sua mistica, che è conoscenza di Mussolini”. Nello studio di Mussolini vero e proprio “vangelo del fascismo” i giovani della mistica trovavano tutte le risposte, “solo la Sua parola può dare la risposta esatta e perfetta ai nostri dubbi, può placare le nostre ansie, può diradare le nostre foschie. Ecco perché i Suoi discorsi e i Suoi atti devono essere il nostro viatico quotidiano, il nostro breviario di ogni giorno, la pronta risposta ad ogni nostra segreta pena. Ecco perché noi giovani dobbiamo averlo sempre vicino e studiarlo con amore, conoscerlo senza lacune, approfondirlo senza soste. [...] Dubbi e pessimismo, incertezze e indecisioni sono scomparsi quando abbiamo aperto la pagina giusta e abbiamo letto il pensiero preciso del capo. Questa gioia e questa fortuna devono essere di tutti: questo noi vogliamo e per questo dobbiamo arrivare all’ esposizione organica di tutto il Suo Pensiero e di tutta la Sua Azione” [11].

Crocerrossina

L’immagine fisica di Maria Pasquinelli che ci è stata tramandata lascia credere che fosse una donna minuta, oltre che “tipo dal portamento piuttosto mascolino, sia per le abitudini che per il comportamento”, anche “piccola di statura, corporatura tarchiata, capelli scuri e corti, naso camuso, occhi neri, carnagione scura”, al punto che “poteva benissimo venire confusa con una mulatta” [12]. Però in un dispaccio dello Special counter intelligence (il servizio informativo statunitense) di Milano risulta invece piuttosto alta per essere una donna: “un metro e 75 centimetri di altezza, robusta, sui 30 anni, capelli castani, scuri e riccioluti, occhi scuri, naso schiacciato, portamento maschile, fisicamente forte” [13].

Nel 1940 Maria Pasquinelli abbandonò l’insegnamento e si arruolò nel corpo delle crocerossine seguendo le truppe italiane in Libia, ma lì “notò l’insufficiente partecipazione al combattimento di chi l’aveva predicato e il basso morale delle truppe non illuminate da alcun ideale” [14]. Perciò si travestì da uomo e con documenti falsi (procurati come, vien da chiedersi) nel novembre 1941 cercò di raggiungere la prima linea del fronte nella zona di Bengasi, ma venne scoperta, espulsa dalla Croce rossa e rimpatriata.

Docente in Dalmazia

Dopo il rimpatrio in Italia Pasquinelli fece domanda per andare ad insegnare l’italiano nelle scuole croate della Dalmazia annessa dall’Italia durante la guerra (con buona pace di chi parla di “annessionismo slavo”, il confine orientale d’Italia si è quasi sempre spostato verso Est, se si esclude dopo l’8 settembre 1943, quando i territori orientali furono annessi al Reich tedesco), e dal gennaio 1942 fu a Spalato, a compiere l’opera di snazionalizzazione programmata dal regime fascista contro la popolazione croata.

Dopo l’8/9/43, quando i partigiani presero il controllo del territorio, fu fatta prigioniera assieme agli insegnanti della sua scuola e racconta [15] di avere sentito gridare una donna in un’altra stanza e compreso che doveva essere stata violentata perché successivamente un partigiano le avrebbe detto: “fare con me un poco amore?”. Ed anche se nel testo di Mocavero si legge che il 13 settembre fu oggetto del tentativo di stupro da parte di un partigiano cui ebbe modo di sottrarsi per la grande forza della sua reazione”; va precisato che quando lei gli disse di no, lui non le mise le mani addosso, le disse che l’avrebbe ammazzata ma a quel punto entrarono altre persone nella stanza e la cosa finì lì [16].

Maria Pasquinelli fu rilasciata ma altri insegnanti, il preside ed il provveditore scomparvero; perciò, dopo che i nazifascisti avevano ripreso il controllo del territorio, ella, essendo convinta che gli scomparsi fossero stati uccisi nei primi giorni di ottobre, insistette presso le autorità nazifasciste perché fossero riesumati da tre fosse comuni i corpi di 106 fucilati, tra i quali riconobbe i suoi colleghi [17]. In seguito si allontanò con altri italiani da Spalato ed arrivò a Trieste il 31/10/43 a bordo della nave Goffredo Mameli [18].

Nelle sue biografie (tratte da quanto ella stessa dichiarò negli anni, sia alla magistratura che alla stampa) abbiamo da questo momento un buco temporale che arriva fino alla fine del 1944, quando la ritroviamo a Trieste e nel Friuli a cercare di costituire un “blocco unico per arrestare l’avanzata slava” [19]. Cosa abbia fatto nel frattempo lo ricostruiamo quindi tramite articoli di stampa ed i documenti dei Servizi angloamericani pubblicati a cura di Casarrubea e Cereghino.

Nei primi mesi del 1944 Pasquinelli ebbe un incarico di supplente in una scuola elementare alla Bicocca di Milano, città dove avrebbe scelto di trasferirsi perché vi abitava una sua buona amica, Cinzia Soddu, nipote del generale Ubaldo Soddu (Capo di Stato Maggiore nella campagna d’Albania) e figlia del colonnello Pasquale Soddu, aiutante di campo del generale Cei [20].

Più precisi i dati forniti dai Servizi alleati, dove si legge che tra la fine del 1943 e l’aprile 1944, insegnò a Milano e dopo essersi accordata con il ministro della Pubblica Istruzione della RSI, Bigini, per avviare un’indagine sulle foibe in Istria, giunse a Trieste nel maggio 1944. Iniziò così a raccogliere informazioni sulle esecuzioni perpetrate dai partigiani, e di tanto in tanto si recava a Milano [21].

In realtà, come vedremo nei paragrafi successivi, Pasquinelli sembra essersi dedicata a raccogliere informazioni sulle “foibe” solo dai primi mesi del 1945, perché prima era impegnata su un altro fronte, squisitamente di intelligence.

Agente di collegamento

In un link non più disponibile abbiamo trovato questa descrizione dell’attività di Maria Pasquinelli: “tentò verso la fine del ‘44 e gli inizi del ‘45, su mandato del comandante Borghese, di trovare un accordo fra la X Mas e la Brigata partigiana Osoppo in funzione anti slava, per preservare le popolazioni civili giuliane e dalmate dalle stragi delle bande titine”.

A prescindere dal fatto che all’epoca le stragi le compivano i nazifascisti e non le “bande titine”, in questo paragrafo cercheremo di ricostruire l’attività dell’agente Maria Pasquinelli, in base alle testimonianze rese (da lei e da altri testi) nel corso di alcuni processi: quello che la vide imputata (marzo-aprile 1947), il processo a carico del comandante della X Mas Junio Valerio Borghese, in cui fu teste a difesa (dicembre 1947), e quello per l’eccidio di Porzûs, dove fu teste di parte civile (1954). Le dichiarazioni della donna sono spesso contraddittorie, da un processo all’altro, ma sull’importanza che ebbe il suo smentirsi di volta in volta ritorneremo in fondo a questo studio, per ora vediamo a ricostruire la sua carriera di agente di collegamento.

Da imputata dichiarò “Dapprima mi preoccupai di formare nella Venezia Giulia e nel Friuli un baluardo italiano (…) cercai per questo di stabilire contatti con le forze armate italiane, partigiane e della Repubblica di Salò (…) ogni sforzo fu vano (…)” [22], ed aggiungiamo la testimonianza di Guido Slataper (“volontario irredento”, come il fratello Scipio caduto sul Podgora nel 1915, e fondatore dell’Associazione Grigioverde di Trieste): nel dicembre 1944 Pasquinelli era venuta da lui per chiedergli di organizzare la “resistenza contro gli Slavi”, in quanto riteneva che “un vecchio combattente dell’altra guerra come era lui” riuscisse a mettere d’accordo gli italiani per formare “un blocco unico per arrestare l’avanzata slava” [23].

Quando si trovò a testimoniare in difesa di Junio Valerio Borghese fu più esplicita.

“Dal novembre 1944 a 26/4/45 io ebbi vari contatti con il comandante Borghese per trattare la questione giuliana”; e poi: “durante il periodo intercorso tra il primo e il secondo colloquio avuti con il Borghese ebbi la certezza che gli Slavi avrebbero occupato l’Istria e la Venezia Giulia e pertanto mi convinsi che l’unico modo per salvare queste regioni era quello che tutti gli italiani formassero un unico fronte contro gli slavi. In merito a questa situazione che si andava determinando nelle due suddette regioni io ne redassi una relazione e ne mandai una copia alla brigata Osoppo e un’altra copia al governo del Sud. Poi attraverso l’ufficiale che il Borghese mi aveva indicato, su mia richiesta durante il primo colloquio, entrai in contatto con la brigata Osoppo; ed i capi di questa formazione, dopo che io esposi loro il mio punto di vista e quello della X Mas sulla questione giuliana, si dichiararono pronti a trattare in merito personalmente con Borghese” [24].

Al processo Borghese dichiarò che fu “introdotta presso le formazioni Osoppo per mezzo dei partigiani Enea e Bolla[25], mentre al suo processo aveva affermato di essere stata introdotta nella Osoppo dal solo Enea, ed il motivo per cui Enea, Bolla e gli altri furono uccisi a Porzûs è che “erano accusati di essere nazionalisti, vale a dire di tenere a che gli slavi non si infiltrassero nella Venezia Giulia” [26].

Colpo di scena al processo Porzûs, quando, dopo avere spiegato meglio come fosse entrata in contatto con Enea, si espresse in questi termini: “Al convegno svoltosi a Savorgnano, vidi diversi osovani, ma non Bolla di cui vidi in seguito le fotografie sui giornali. Posso escludere in modo assoluto di averlo mai conosciuto”.

Dopo avere preso accordi per avere un “abboccamento” con Borghese, dato che sapeva che “erano persone che al di sopra di tutto avevano il bene dell’Italia”, ed avere avuto un colloquio con loro per avere l’autorizzazione a procurare un contatto con la Osoppo, ecco come avrebbe agito.

“A Milano ero ospite della signorina Cinzia Soddu, parente di Gastone Valente [27]. Fummo presentati (…) sapeva che io per pura passione (…) mi interessavo della questione giuliana. Potei riuscire nel mio disegno anche perché assecondata dai parenti friulani del dottor Valente (…) un suo zio, il signor Raffaello Valente in quei giorni si trovava in carcere a Trieste condannato a morte dai tedeschi perché componente del CLN”. Difatti Raffaele (o Raffaello) Valente, ultimo membro del CLN di Gorizia, era stato arrestato dai nazifascisti e condannato a morte il 14/11/44; sentito come teste a difesa dell’imputata Pasquinelli disse che la donna andò a visitarlo “e lo consolò durante i 43 giorni che passò nella cella dei condannati a morte (…) Riuscì a salvarsi solo perché gli avevano respinto la grazia e ciò rimandò l’esecuzione sino a che venne il giorno in cui i partigiani lo liberarono” [28].

Sarebbe interessante conoscere le entrature della donna che le permisero di “visitare e consolare” il condannato a morte dai nazifascisti, ma forse ciò si comprende se continuiamo a leggere la deposizione di Pasquinelli, quando afferma, serenamente: “speravo che parlando della tragica situazione dello zio, egli (Enea, n.d.a.) si inducesse ad aiutarmi nel progetto che avevo in mente”: in pratica l’ex insegnante ammette di avere fatto pressioni su Enea usando la “tragica situazione dello zio”, dove peraltro è lei stessa a dichiarare (sotto giuramento, in quanto era testimone): “lasciai cullare i parenti nella illusione che si sarebbe potuto far qualcosa per il condannato a morte, e l’incontro fu possibile il 13 gennaio 1945 a Savorgnano, in casa del vecchio nonno Angeli (cioè il suocero di Enea, n.d.a.). In quel giorno vi era un convegno dei membri del CLN di Udine e di membri della Osoppo”.

Quindi presumibilmente le fu permesso di “visitare e consolare” il condannato a morte perché ciò faceva parte di un progetto specifico, più politico e diplomatico che umanitario.

Dunque il 13/1/45 si svolse a Savorgnano un convegno tra CLN di Udine e brigata Osoppo, al quale, introdotta da Valente, partecipò anche Pasquinelli, per parlare della “questione giuliana”. Ma quando la donna chiese ai presenti “se non fosse stato possibile un contatto con il figlio di Nazario Sauro [29], che pure aveva aderito alla RSI e svolgeva funzioni di osservatore nell’Istria e con il comandante Borghese, scoppiò un urlo” (considerando il comportamento in guerra della Decima, gli osovani, giustamente, non volevano avere nulla a che fare con loro). A questo punto l’agente Pasquinelli quando vide “che insistevano nel loro atteggiamento negativo” li tacciò “di mancanza di italianità” [30], e dopo che il colloquio fu sospeso, insisté con Enea in questi termini: “Gli riferii esattamente le parole di suo zio come avevo promesso. Il condannato gli mandava a dire che la sua vita era attaccata ad un filo. Capii che il dr. Valente era disperato, lo vidi impallidire. Poi mi disse: La ringrazio del suo interessamento, ringrazio anche Sauro dell’intervento che ha promesso di fare presso il governo di Salò; però gli dica anche che tale sua azione non incide affatto nel nostro atteggiamento nei suoi confronti [31].

L’immagine di Maria Pasquinelli che emerge da queste dichiarazioni è quella di una donna completamente priva di scrupoli e disposta a tutto pur di ottenere lo scopo prefissatosi, un’immagine distante anni luce da quella della mite maestrina pervasa di amore patrio e fede religiosa che ci viene tramandata da decenni.

Tornando alla riunione di Savorgnano va segnalato però che nel corso del processo per l’omicidio di De Winton uno dei testi a difesa, Guido Bracchi (presidente del CLN di Udine ed incaricato dei collegamenti tra CLN ed Osoppo) riferì nei medesimi termini di questa riunione, però datandola a novembre 1944, dopo che Pasquinelli gli era stata presentata da Gastone Valente [32].

Da parte sua Pasquinelli affermò di avere incontrato Bracchi dopo il convegno, e questi le avrebbe detto che “con la X Mas sarebbe stato possibile solo uno scambio di vedute, soltanto se si fosse presentato personalmente Borghese”. Così l’ex insegnante partì per Trieste, dove incontrò Borghese e Sauro e li mise al corrente della situazione. Fu in questo modo che alla fine entrò nella vicenda di questa trattativa l’agente britannico (anche se di nazionalità italiana) Cino Boccazzi, paracadutato in Friuli con la missione Bergenfield e subito catturato dalla Decima, fatto che gli permise di mettere in piedi gli accordi di collaborazione tra Regno del Sud e X Mas, con la partecipazione della Osoppo [33].

Il comandante della Osoppo, Candido Grassi Verdi (che era collegato all’organizzazione Franchi di Sogno, di cui parliamo nel prossimo paragrafo) testimoniò a sua volta che Maria Pasquinelli gli fu presentata dal maggiore Mario Argenton (vice capo di Stato maggiore del CVL di Cadorna)al “Comando generale di Milano” (del CLNAI, si suppone) l’8/1/45, e nell’occasione ella volle dargli un “suo memoriale per la protezione della Venezia Giulia”.

Per rendersi conto dell’attività frenetica e soprattutto dell’alto livello di essa, svolta dall’agente Pasquinelli, leggiamo l’agenda di lavoro relativa al gennaio 1945 prodotta dalla stessa in occasione del ricorso in Cassazione per i fatti di Porzûs [34].

13 gennaio 45: a Savorgnano del Friuli, contatto con i partigiani, in casa di Nonno Angeli.

14 gennaio 45: a Udine, in casa Bracchi, parlo con il rag. Bracchi e un altro partigiano. Mi fissano l’appuntamento tra il rag. Bracchi e il dr. Italo Sauro; il contatto con la Xa vien subordinato all’accettazione, da parte del Com.te Junio Valerio Borghese, di alcune proposte osovane.

15-16 forse 17 gennaio: a Trieste. Ho un contatto con il dr. Italo Sauro (gli riferisco dell’accettazione partigiana dell’appuntamento) e uno con il com.te Valerio Borghese, che mi affida le controproposte per gli osovani.

17 o 18 gennaio, sera a Udine. Incontro di Ugolino (Bracchi) con il dr. Italo Sauro, sulla strada (…) ad una certa distanza, senza nulla udire, vi assisto col dr. Cino Boccazzi o tenente Piave, paracadutista del Sud, prigioniero della Xa, in detto luogo presentatomi da I. Sauro. In seguito, io riferisco al rag. Bracchi o Ugolino le controproposte del Com.te Borghese ed il ragioniere mi fissa un appuntamento, dopo qualche giorno, per comunicarmi le risposte partigiane per Sauro e Borghese. Con il dr. Sauro e il dr. Boccazzi, nell’automobile del primo, mi reco a S. Pietro di Gorizia, presso il comando del ten. Bertozzi, custode del prigioniero [35].

19-20-21 gennaio: a S. Pietro di Gorizia, presso il comando del ten. Bertozzi (per ordine del com.te Borghese mi stava preparando documenti di viaggio italiani e tedeschi), in quasi costante compagnia del prigioniero dr. Boccazzi, che viene direttamente inserito nei contatti già in corso tra Xa e Osoppo.

21 (22?) gennaio sera: da S. Pietro di Gorizia, con il dr. Boccazzi, a Udine, ove ci separiamo.

22-23-24 gennaio a Udine. Ho due contatti con il rag. Bracchi (nel primo, mi riferisce della decisione partigiana di troncare ogni trattativa con il dr. Italo Sauro e il com.te Borghese; nel secondo, io gli reco nuovi dati sul problema giuliano) e tre con il dr. Boccazzi. Solo al terzo egli mi può dire che la Osoppo ha accettato d’entrare in contatto con il cap. Manlio Morelli, comandante del battaglione Valanga della Xa Mas, quale rappresentante del com.te Borghese.

25 gennaio: da Udine, sola, parto in cerca del com.te Borghese, per riferirgli le comunicazioni fattemi dal dr. Boccazzi e ottenere dal Comandante della Xa l’autorizzazione a procedere, quale suo delegato, per il cap. Morelli. Presso il comando di questi, a Vittorio Veneto, il dr. Boccazzi andrà ad attendermi.

26 gennaio notte: giungo a Milano, ove cerco invano il com.te Borghese.

27-28 gennaio notte: arrivo al comando della Xa di Lonato (Brescia), ove c’è il com.te Borghese.

29-30 gennaio notte: da Lonato parto per Conegliano.

30-31 gennaio: dal comando della Xa di Conegliano, al mattino presto, telefono a Vittorio Veneto al cap. Morelli – presso cui è prigioniero Boccazzi – ed egli immediatamente mi manda a prendere in macchina. Gli reco la delega di Borghese a trattare, quale suo rappresentante, con gli osovani e le direttive generali inerenti. Lo stesso pomeriggio il cap. Morelli manda a prelevare a Udine, da soldati della Xa e da Boccazzi, il parlamentare osovano Verdi, ossia il prof. Candido Grassi (seppi in seguito sia il nome suo di battaglia sia il vero).

31 gennaio o 1 febbraio: a Vittorio Veneto si svolge il contatto tra il cap. Morelli della Xa Mas ed il com.te osovano Verdi, presente il prigioniero dr. Boccazzi.

Di fronte a tutto questo lavoro di intelligence, riesce difficile credere che Maria Pasquinelli si fosse interessata “per pura passione” alla questione giuliana, come ebbe modo di dire, ma emerge chiaramente invece come le fosse stato affidato un ruolo di agente di collegamento di grande importanza. (cont.)


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :