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Marilena Fabbri racconta l'elezione di Napolitano

Creato il 30 aprile 2013 da Episteme

Marilena Fabbri racconta l'elezione di Napolitano

Marilena Fabbri (PD)


Domenica 28 aprile il deputato del PD Marilena Fabbri, ex sindaco di Sasso Marconi e volto nuovo della politica nazionale grazie alle primarie parlamentari tenutesi a fine 2012, è stata protagonista di un incontro con militanti e simpatizzandi democratici al circolo PD di Calcara, piccola frazione del comune di Crespellano, nel bolognese.
Contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, non si è trattato di un incontro organizzato per catechizzare la base del partito sulle scelte della dirigenza, quanto piuttosto un momento di condivisione, in cui il pubblico ha potuto esprimere le proprie opinioni e considerazioni sulle vicende del partito e del governo, e in seguito l'onorevole Fabbri è intervenuta rispondendo nel merito dei malesseri che imperversano nella base, fornendo per di più un prezioso resoconto di quanto avvenuto in quelle fatali giornate che hanno portato alla sfiorata distruzione del PD, alla rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale e alla formazione di un governo di larghe intese con il PdL.
I partecipanti all'incontro, sicuramente più ascrivibili alla categoria dei militanti convinti che a quella dei semplici simpatizzanti, ha mostrato di aver in qualche modo metabolizzato la necessità dell'esperienza di un governo di coalizione, ma si è invece mostrata preoccupata sul ruolo che il PD potrà permettersi di giocare all'interno di tale esecutivo, se programmaticamente protagonista o semplice spalla di un PdL in grado di fare il buono e il cattivo tempo. Ciò che infatti la base ha ben chiaro è che un partito che si è presentato diviso persino su un tema così identitario come l'elezione di Prodi al Quirinale difficilmente sarà in grado di tenere una linea unitaria sul programma di governo, affossando in questo modo gli otto punti di Bersani e facendo passare, per via di fronde interne di vario genere, anche leggi sgradite all'elettorato democratico e al PD stesso.
Proprio il tema della mancata elezione di Prodi è stato il maggior tema di disagio e rabbia negli interventi dei militanti, sia per la figura del Professore - uomo-simbolo del centrosinistra - sia per la prova di scarsa unità fornita dal PD, che ha messo in luce un mondo di correnti e di veleni insospettato persino a molti tra i fedelissimi sul territorio.
Marilena Fabbri non si è tirata indietro dinanzi alle richieste di spiegazioni, e nel suo racconto sono emersi punti quasi surreali, che devono una volta di più far riflettere su quanto il PD, malgrado il simbolo elettorale, non si possa ancora definire un vero partito, ma piuttosto un semplice e fragile contenitore.
Nei giorni immediatamente precedenti l'elezione del Presidente della Repubblica, la dirigenza del PD aveva fissato alcuni paletti nell'ottica di individuare una rosa di papabili per il Quirinale da presentare alle altre forze politiche, nell'ottica di arrivare ad una figura il più possibile condivisa. Tali paletti, seguendo il metodo che aveva portato all'elezione di Grasso e Boldrini, erano competenza, novità e parità di genere.
Anziché procedere su queste basi formulando, all'interno della coalizione di centrosinitra, i nomi con cui presentarsi al centrodestra, al centro e al M5S, la dirigenza del partito ha condotto trattative nascoste persino ai propri eletti: la reale rosa di nomi proposta a Berlusconi - perché le altre forze politiche non sono state interpellate in tal senso - non è stata non solo condivisa con i grandi elettori di centrosinistra, ma neppure comunicata. I vari nomi che si sono succeduti, Amato, D'Alema, Mattarella, Marini, sono filtrati (con buona pace della parità di genere e della novità) direttamente alle agenzie di stampa senza che i gruppi di PD e SEL fossero realmente consapevoli di quanto stesse accadendo. Questo primo, madornale, errore ha innescato la miccia delle esplosioni dei giorni successivi: ha permesso a Berlusconi di proporre per primo il nome di Marini, in qualche modo di farlo proprio, e sostanzialmente di bruciarlo agli occhi del popolo di centrosinistra.
Nell'assemblea serale la dirigenza del partito ha imposto il nome di Marini, sorda alle lamentele che i parlamentari - e la base tramite essi - hanno esposto. Dinanzi ad una mozione di voto su Marini che ha preso la maggioranza relativa ma non quella assoluta, dinanzi all'uscita consapevole e provocatoria dalla seduta da parte di una cospicua parte dei grandi elettori, dinanzi alle notizie che giungevano dai circoli, le tessere bruciate, le occupazioni, i messaggi accorati e quelli infuriati, la dirigenza, senza offrire spiegazioni, ha deciso di proseguire con la linea Marini. I risultati si sono visti, i parlamentari hanno scelto di stare con la base e contro la dirigenza del partito e contro Bersani, e - interamente alla luce del sole - sono iniziate le defezioni che hanno bruciato l'ex-segretario della CISL.
Il clima è diventato pesante, durante le votazioni per il secondo ed il terzo scrutinio serpeggiava la sfiducia al punto da arrivare a cronometrare il tempo passato in cabina da ciascun votante, ma chi a questo punto auspicava un cambio di registro, un maggiore coinvolgimento dei gruppi parlamentari o addirittura una consultazione della base è rimasto ancora una volta deluso. In primo luogo, il nome di Rodotà non è mai stato preso in considerazione; la proposta di votarlo non è mai stata messa ai voti, il rifiuto per la sua candidatura aprioristico o comunque non valutato in assemblea. Diverso esito ma stesse modalità per il nome di Prodi: il nome non è stato oggetto di discussione, ma è stato ancora una volta lanciato dalla dirigenza. L'acclamazione al nome del padre dell'Ulivo, racconta Marilena Fabbri smentendo alcune ricostruzioni giornalistiche, non è in realtà stata unanime: parte della sala stava in silenzio, parte della sala non ha alzato la mano. Costoro, tuttavia, sono rimasti in disparte, senza intervenire; un comportamento ben differente dalle proteste pubbliche relative alla candidatura di Marini. Anche qui, il risultato si è visto: 101 traditori hanno affossato Prodi; nelle parole di Marilena Fabbri, si intuisce una piccola minoranza che ha votato Rodotà per convinzione, ma unnutrito gruppo che ha deciso di far pagare a Bersani il siluramento di Marini, o che ha semplicemente deciso di affossare la linea politica del segretario, o ancora non vedeva di buon occhio per proprio tornaconto personale la pretesa di autosufficienza del centrosinistra sul nome del Professore. Quel che è certo, ci tiene a sottolineare la Fabbri, è che i colpevoli della figuraccia sul nome di Prodi non vanno cercati tra coloro che sono stati eletti con le primarie parlamentari, come subito qualcuno ha tentato di affermare.
Arrivati a questo punto lo scenario assume contorni surreali: dinanzi ad un gruppo parlamentare evidentemente spaccato, incapace di trovare una sintesi, con una base infuriata che chiede ascolto, i gruppi parlamentari non vengono consultati sulla scelta di un nuovo nome, e scoprono invece dalle agenzie di stampa che Bersani si è recato da Napolitano per pregarlo a rimanere. Scelta con il senno di poi azzeccata per la tenuta del partito, ma condotta in una maniera assolutamente sbagliata e - quel che più conta - anacronistica.
Il PD che emerge dalle parole dell'onorevole Fabbri è un partito che non ha ancora digerito la novità sostanziale apportata dalle primarie, almeno a livello dirigenziale, e si appella ad una disciplina di partito che nell'era di internet non solo risulta impossibile, ma si dimostra anche inadeguata e controproducente. Con questo non si vuole dare credito a chi sogna un partito gestito direttamente dalla sua base, ma il coinvolgimento nei processi decisionali, e la condivisione delle scelte almeno in apparenza controproducenti devono essere fasi obbligatorie nella moderna struttura di un partito.
Il PD ha oggi perso questa sfida, non è chiaro se per persone inadeguate o per interessi talmente inconfessabili da non poter essere svelati nemmeno all'interno del gruppo parlamentare. Servirà un intenso lavoro di riorganizzazione per recuperare la credibilità perduta e soprattutto per familiarizzare con tecniche di gestione del partito più moderne, improntate sul giusto equilibrio tra la il potere della delega fornita ai propri rappresentanti e la consultazione di militanti e simpatizzanti. Tutte cose che il PD da statuto prevede, ma che non ha mai avuto il coraggio di attuare.
La triste storia dell'elezione di Napolitano è stata lo spunto per Marilena Fabbri per arrivare a considerazioni di ordine più generale sulla vita del Partito Democratico, e quello che emerge è una formazione immobile, incapace di prendere decisioni su qualsiasi tema spinoso, imbavagliata dalla paura dei veti incrociati delle mille correnti che la attraversano senza che il bene del partito nel suo complesso possa fungere da collante unitario alle spinte dispersive.
Dai diritti civili all'abolizione delle province, dalla riforma del lavoro al posizionamento in politica estera, non è mai stato fatto alcun tentativo di sintesi tra le varie posizioni all'interno del PD, posizioni che risalgono ai partiti preesistenti e che ancora tengono in ostaggio il partito. Tra veti, ricatti e minacce di sfasciare tutto, i punti controversi non sono mai stati discussi, ciascuno tenta di portare acqua al proprio mulino ed il risultato è una cacofonia di opinioni deleteria dal punto di vista elettorale e politico.
In questo quadro desolante gli iscritti sono secondo Marilena Fabbri il principale fulcro di una possibile riscossa: il prossimo congresso potrebbe segnare un reale punto di svolta nella storia del partito, completando quella lenta rivoluzione iniziata nel 2007... oppure decretandone la sconfitta definitiva.

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