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Marina Morpurgo indagata per critica a un manifesto

Da Brunougolini

Marina Morpurgo indagata per critica a un manifestoMarina Morpurgo é stata per anni cronista, quindi inviata de “l’Unità”, poi caporedattore del “Diario”, ora scrittrice e traduttrice, ma anche disoccupata. Nel senso che non ha un reddito fisso e non gode di sussidi. Una precaria. In tutta la sua esistenza professionale non è mai incappata in querele o in accuse di diffamazione. E’ stata invece inquisita in questi giorni da un Pm di Foggia per un giudizio critico espresso su Facebook a proposito di un manifesto voluttuoso che rappresentava una bambina truccata che porgeva le labbra a un rossetto adulto. L’uso scabroso di un infante a scopi commerciali, era biasimato da Marina usando espressioni grottesche tratte dai celebri fumetti di zio Paperone. Incredibile. Ora Marina, in questi tempi di crisi e senza “redditi di cittadinanza”, deve affrontare da precaria molteplici spese in avvocati e in viaggi… Bisognerebbe che il magistrato si rendesse conto di quanto il presunto “reato” sia ridicolo. Pubblico qui una lettera della stessa Marina, diretta ad Alessandro Gilioli de “L’Espresso” e pubblicata su Facebook. Un episodio grave e allarmante per tutti quelli che frequentano i social network. Ecco la lettera:
“Caro Alessandro, Ti espongo i fatti che mi sono successi, non perché siano gravi per me – conto di non finire i miei giorni in galera – ma perché costituiscono un pessimo precedente.
L’altro ieri mi sono vista notificare («il presente atto vale quale informazione di garanzia…») un avviso della Procura della Repubblica di Foggia. Sono indagata – le indagini sono terminate, e io attendo di conoscere il mio destino – per aver usato, su Facebook, «espressioni denigranti»riferite al manifesto utilizzato, nel 2012, da una scuola professionale di Foggia (foto sopra).
Uscendo dal comando dei vigili ho avuto un sobbalzo, anche perché nella mia carriera di giornalista non mi era mai successo, pur essendomi occupata per anni di argomenti bollenti per antonomasia, come la nera e la giudiziaria.
Ora mi ritrovo a dover ricorrere a un avvocato e scrivere memorie difensive (però se voglio posso anche andare a Foggia di persona: è appena dietro l’angolo, in effetti, visto che abito a Milano) per aver espresso una critica a un manifesto che raffigurava una bimbetta truccatissima che si passava il rossetto sulle labbrucce protese.
Quel manifesto mi appariva offensivo e bruttissimo sotto vari punti di vista. La signora che ha sporto denuncia si ritiene denigrata perché ho scritto (lo leggo nella notifica) sulla pagina Facebook mia e loro: “I vostri manifesti e i vostri banner sono semplicemente raggelanti… Complimenti per la rappresentazione della donna che offrite… Negli anni Cinquanta vi hanno ibernato e poi svegliati?”.
Mi viene contestato anche l’aver scritto (sulla mia bacheca), citando l’indimenticabile zio Paperone e parafrasando il loro manifesto, l’espressione: “Anche io ho sempre avuto le idee chiare, chi concepisce un manifesto simile andrebbe impeciato e impiumato”.
Qualcuno dice: in certi casi basta chiedere scusa. Mi scuserei se avessi calunniato o diffamato, se avessi dato del corrotto, del ladro o del truffatore a qualcuno che non lo è. Ma la bruttezza e anche l’ambiguità di quel manifesto le confermerei anche mille volte, il fatterello di per sé è insignificante, ma per me rappresenta una questione di principio – la libertà di critica e di opinione – e i principi si difendono, anche a costo di seccature.
Sono una giornalista disoccupata senza sussidi da tempo, e ogni spesa mi preoccupa un po’. Anche le perdite di tempo, visto che ormai campo di lavori editoriali in autonomia.
Però trovo inaccettabile che si venga perseguiti non per aver detto il falso o infangato gratuitamente enti o persone, ma per aver espresso su un social network un’opinione che può piacere o non piacere, ma considero più che legittima e manifestata nei modi consoni all’ambiente, con una battuta.
Zittire la gente è una gran brutta cosa, e mi dispiace vedere profuse energie giudiziarie in fatti del genere, come se le procure non avessero del lavoro serio da svolgere”.

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