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Mário de Sá-Carneiro, 120 anni.

Creato il 01 giugno 2010 da Sulromanzo
Mário de Sá-Carneiro, 120 anni.Di Marcello Sacco
Mário de Sá-Carneiro, un ricordo.
Il 19 maggio scorso, in Portogallo, qualcuno ha ricordato il 120º anniversario della nascita di Mário de Sá-Carneiro. Per quanto ridicola sia questa smania degli anniversari a cifre tonde (una ventina di giorni prima si sarebbero potuti ricordare i 94 anni della sua morte), il successo di una celebrazione è ancora un termometro efficace per misurare la temperatura che avvolge un personaggio storico e, sebbene il tono dimesso di questa commemorazione stridesse con i 120 anni di Fernando Pessoa festeggiati due anni prima, i libri di Sá-Carneiro sono tornati sugli scaffali delle librerie in vecchie e nuove edizioni.
Ignorati in vita, ai due amici è toccata una sorte ben diversa da morti. Pessoa negli ultimi decenni si è trasformato in icona pop, simbolo di una città e di un paese come un campanile o una maschera di carnevale, con tutto il conseguente rovistare nel famoso baule degli inediti a caccia di un altro successo editoriale, fosse pure la lista della lavandaia (mentre gli eredi annunciano la comparsa di nuovi piccoli cimeli in cerca di grandi acquirenti). Le edizioni postume, moltiplicatesi a gran ritmo, sono a volte causa di guerriglia fredda tra accademici che litigano sulla punteggiatura o riesumano vecchie convenzioni ortografiche per dare ai vecchi testi una patina di nuovo, cioè di antico. Nel caso dello scrittore da poco (e da pochi) celebrato, invece, il bottino è da sempre più magro: alcune novelle, qualche timida esperienza teatrale e poi il volume di poesia completa che include anche le ingenuità dei primissimi anni. In Italia attualmente circola un’antologia dell’editore Via del Vento (Quasi e altre poesie, a cura di A. Ghignoli), mentre sarebbe bello veder ristampato Dispersione, volumetto einaudiano a cura di Maria José de Lancastre.
Certo, accanto a un gigante come Pessoa, Sá-Carneiro non potrà che restare nella sua ombra o brillare della sua luce. Ogni volta che se ne parla o scrive, lui è inevitabilmente “l’amico di…”, cosa che forse non gli dispiacerebbe, vista l’alta stima reciproca e la scarsissima autostima di chi si definiva pappamolle, codardo rigoroso, sfinge grassa. Pessoa, nel pubblicarne i versi postumi, andò a ripescare la frase famosa del morir giovani quando si è cari agli dei, glissando sul fatto che il ragazzo, a soli 26 anni, in quella stanza d’hotel parigino si era aiutato con la stricnina, colpa forse di un amore impossibile, magari complicato dall’omosessualità latente ipotizzata da alcuni.
L’unica cosa certa è il suo senso di inutilità sia come artista che come borghese dalle spalle larghe. Il suo essere sempre a metà, irrealizzato, in ammollo nel mezzo di un guado limaccioso, è infatti uno dei temi che ha dato gli esiti migliori nella sua scrittura: “Io non son io né l’altro/sono qualcosa d’intermedio/pilastro del ponte di tedio/che va da me fino all’altro”, dice in una quartina che da qualche anno viaggia sulle note di Adriana Calcanhotto, cantautrice brasiliana da noi nota solo ai cultori del genere. Un’altra poesia ha il titolo emblematico di Quasi ed è una sorta di inno degli inconcludenti, di tutti coloro a cui, per spiccare il volo, è mancato il colpo d’ala. Il bello è che Sá-Carneiro vinse la scommessa di cantare proprio quell’inettitudine che a torto o a ragione si attribuiva. Nelle sue pagine migliori par di sentire persino la voce di un certo Pessoa, magari il Pessoa ortonimo, mentre lo slancio o lo snobismo di certi eteronimi come Álvaro de Campos e Ricardo Reis sembrano reazioni proprio a quello stato di crisi, che fu poi la crisi del Decadentismo europeo, come la saggistica pessoana, a cominciare da Tabucchi, ha ben delineato. Ne uscirono le avanguardie storiche, ma anche le guerre “igieniche” e i fascismi. Sá-Carneiro non ebbe voglia di vedere come andava a finire.

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