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Soltanto un paio di giorni fa aveva affermato, davanti ai suoi studenti, che sarebbe presto ritornato al suo vecchio ruolo di Presidente dell'Università Bocconi di Milano, ma sono bastate a quanto pare poche ore per far cambiare idea al professor Mario Monti, presidente del consiglio in carica, che fa oggi sapere di essere pronto invece ad un secondo mandato da premier.
Una notizia che può sorprendere solo i più ingenui, perché credo che nessuno che sia appena un poco avvezzo alle giravolte della politica possa aver veramente mai creduto alle professioni di modestia dell'economista, che si era sempre professato un tecnico prestato al servizio dello Stato, al pari dei suoi ministri.
In realtà questo governo, voluto fortemente dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, spinto dalle richieste dei potenti della politica e della finanza internazionali, è tutto fuorché un governo tecnico e, come detto altre volte, è invece espressione di un disegno molto evidente volto a ridisegnare gli equilibri e la geografia stessa del panorama politico nazionale.
All'interno stesso del governo sono chiaramente visibili pure due diverse anime, che in questo momento sono in lotta tra loro proprio per arrivare ad essere determinanti nella scelta del prossimo leader di governo, quello che dovrà essere candidato alle inevitabili elezioni politiche generali, che avvengano o meno alla normale scadenza della legislatura.
Probabilmente è stato proprio l'attivismo di un possibile concorrente alla carica a far rompere gli indugi a Monti e a indurlo a mettere sul tavolo la propria candidatura in un modo così esplicito. A nessuno infatti, men che meno al professore bocconiano, erano passati inosservate le manovre di Corrado passera, attuale ministro allo sviluppo economico, che in questi tre mesi di governo ha passato sicuramente più tempo a curare contatti e alleanze con le più svariate componenti del mondo politico e imprenditoriale che a studiare un piano di rilancio economico del paese, di cui a oggi non s'è vista traccia.
Questo conferma quanto anticipato nel post precedente: nulla sarà più come prima e la rinuncia di Silvio Berlusconi a finanziare personalmente la prossima campagna elettorale del Pdl fa pure capire come il cavaliere abbia rinunciato a sogni di rivincita e pensi invece a costruirsi una solida riserva difensiva, appoggiando un altro candidato premier che gli possa garantire la tranquillità giudiziaria. Questo farà dispiacere quelli che di Berlusconi hanno fatto il loro commercio quotidiano, ma sarà meglio che si rassegnino a trovare un altro argomento col quale guadagnarsi il pane, prima che sia troppo tardi.
In attesa della definitiva chiarezza sul ruolo del governo tecnico e di quello che ne prenderà il posto, bisogna amaramente rilevare che nel lavoro di risanamento delle finanze pubbliche che gli era stato affidato continua a deludere. Non solo non c'è tracia di un piano industriale che possa risollevare l'economia nazionale, come detto prima, ma pure gli annunciato provvedimenti sulle liberalizzazioni si sono alla fine ridotti a ben poca cosa, sotto la spinta conservatrice di ordini professionali e corporazioni varie.
Non che ci si potesse aspettare chissà cosa dall'aumento dei taxi circolanti o dal numero delle farmacie aperte, ma se un governo non ha la forza di piegare tassisti e farmacisti, come potrà in futuro far accettare riforme molto più importanti a poteri molto più potenti?
Il futuro economico rimane dunque incerto e molto più legato a vicende esterne, come l'andamento delle economie dei grandi della terra, in grado di influenzare positivamente o negativamente le più piccole, e in particolare di quella Statunitense che, di solito, ha un mini ciclo espansivo negli anni in cui sono previste le lezione del Presidente dell'Unione, per il semplice fatto che il Presidente in carica mette in moto tutte le opzioni a sua disposizione per far aumentare la ricchezza circolante nel paese, in modo da guadagnarsi la rielezione.
Dall'Europa neanche ce molto da aspettarsi. Il problema greco è ancora lontano dall'essere risolto e può ripresentarsi in tutta la sua gravità da qui a pochi mesi, quando serviranno altri prestiti per rinnovare i titoli di stato in scadenza, e solo gli ingenti prestiti della Bce guidata da Mario Draghi alle banche continentali riescono a dare un po' d'ossigeno alle economie e alle finanze dei paesi della UE.
Una condotta, quella della Bce, che però può dare solo un sollievo momentaneo e allontanare i momenti di crisi, ma che non può risolvere alla radice tutti i gravi problemi strutturali che sono alla base della crisi, tanto che già sono arrivati per Draghi i moniti del mondo finanziario e politico tedesco, massimo interprete dell'ortodossia finanziaria della lotta all'inflazione.
Del resto proprio l'esempio della Fed americana, che è già ricorsa più volte a simili manovre, dimostra come questi interventi non siano risolutivi.
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