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Mario Orfini: il cineasta italiano dallo sguardo internazionale

Creato il 22 gennaio 2014 da Fascinationcinema

mario orfini

Molto attivo nella scena milanese degli anni sessanta, Mario Orfini nasce prima come fotografo, in particolare come inviato de L’Espresso. Folgorato dalla visione de L’infernale Quinlan di Orson Welles in un cine-club di Milano, Orfini decide di abbandonare la sua dedizione per la fotografia e si trasferisce a Roma per lavorare nel cinema. Convinto di voler indagare “il prima e dopo dell’immagine fotografica” il regista di origine abruzzese, dopo anni, esprimendo questa intenzione al regista di Quarto potere lo stesso, scoppiando a ridere, ha aggiunto: “un bravo fotografo è anche un bravo regista!”. Produttore di pellicole bizzarre e, ormai celebri, come Il Pap’occhio e ‘F.F.S.S.’, cioè:… che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene? Mario Orfini ha concquistato il suo posto nel cinema internazionale con la regia di Mamba – Fair Game (1989), thriller interpretato da Gregg Henry e Trudie Styler, diventato ormai un cult-movie. La sua esperienza nel cinema lo ha portato a collaborare con i nomi più importanti del panorama cinematografico internazionale come Abel Ferrara per la co-produzione italiana di New Rose Hotel.  (D.N)

 

Mario, raccontaci come è iniziata la tua passione per il cinema.

Vivevo a Milano, lavoravo come fotoreporter; quella era la Milano degli anni sessanta, del Bar Giamaica, di Gaber e Iannacci, la Milano dei grandi artisti come Piero Manzoni e Lucio Fontana che stavano cambiando la storia dell’arte. C’era un grande fermento nelle arti visive, io amavo molto la fotografia ma cominciava ad andarmi stretta… Una sera andai a vedere al cinema L’infernale Quinlan di Orson Welles, e ricordo che all’uscita dal film, ammirato per quel capolavoro dissi ai miei amici: “Voglio andare a Roma a fare il cinema”. Poco tempo dopo ero a Roma, iniziavo una nuova avventura.

 

Nel 2011 pubblichi il reportage fotografico Anni felici (2011). Come nasce questo progetto?

Nasce dalla grande tenacia di mia moglie Franca, che ha lavorato per molti anni come editor fotografico dell’Espresso, e che ha seguito fin dall’inizio i miei anni di lavoro nella fotografia. E’ stata lei a farmi tornare a quell’antico amore che avevo coltivato così intensamente, costringendomi a riaprire i miei archivi. Insieme abbiamo individuato tra le migliaia di foto che avevo scattato negli anni sessanta, quelle che meglio si prestavano a raccontare quel periodo eccezionale, quegli anni appunto felici di speranze, creatività, grandi personaggi ed eventi che hanno segnato la nostra vita.

 

Iniziamo col parlare della tua attività di regista. Inizi verso la fine degli anni ’70 con Noccioline a Colazione e la serie tv Cesare Lombroso.

Una volta arrivato a Roma era molto chiaro per me che volevo fare a tutti i costi il regista ed il produttore, era la mia grande passione, una passione che poi ha riempito la mia vita. Iniziai a frequentare l’ambiente, e a cogliere le occasioni che in quel periodo rispetto ad oggi erano più accessibili per chi aveva voglia di fare. Esordii con una commedia piuttosto fuori dagli schemi, raccontando la storia stravagante di un giovane che trova lavoro in uno zoo e si impegna per curare un orango dalla depressione in cui è sprofondato. Una storia tenera e surreale che mi ha permesso di proseguire il lavoro crescendo progressivamente come ambizioni e risultati.

 

serpente-mamba
Nel 1989 dirigi Mamba, un thriller che ha la particolarità di essere uno dei primi esempi di film italiani diretti in lingua inglese destinato esclusivamente al mercato statunitense.

Mamba rappresenta effettivamente un unicum nel cinema del nostro Paese. Dopo dieci anni di carriera sentivo la necessità di confrontarmi col mercato mondiale. Ancora oggi a distanza di molti anni Mamba ha un suo pubblico internazionale di affezionati, è amato anche in Giappone, ed è considerato un cult del genere. Mi costò fatica e sforzi economici notevoli, presi molti rischi per portarlo a termine. Ma del resto io per carattere sono sempre stato indipendente ed intraprendente, le sfide come Mamba sono il sale della vita. E poi per me il cinema ha sempre rappresentato la possibilità di comunicare con un pubblico il più ampio possibile, e come diceva Hitchcock se uno fa film per l’America li fa per tutto il pianeta.

 

Come nasce l’idea di Mamba?

Non è mai facile rispondere a questa domanda, le idee nascono in modo misterioso, a volte sono frutto di una lunga elaborazione, altre come nel caso di Mamba sono il frutto di un’intuizione improvvisa. Camminavo lungo una via di Roma da solo, e in un istante immaginai quest’uomo che vuole liberarsi di sua moglie e che per farlo sceglie un serpente velenoso. In un istante nella mia mente avevo già la visione generale del film, come se lo stessi vedendo finito, una sensazione speciale.

 

Parlaci di Trudie Styler, moglie di Sting. Come è stato lavorare con lei?

E’ una donna piena di energia ed è molto brillante. E’ riuscita a non farsi “schiacciare” dalla convivenza con un talento del pop mondiale come Sting, e per chi lavora nell’arte questo non è mai semplice. Il lavoro con lei è stato semplice anche se complesso, il suo personaggio nel film richiedeva grande attenzione psicologica e viveva improvvisi cambiamenti di stati d’animo passando dalla calma al terrore puro.

Mamba (Fair Game) (Mario Orfini, Italia, 1988)-005

 

…con Gregg Henry?

Sono ancora oggi convinto che Gregg con la sua immagine algida e fredda era davvero l’uomo giusto per il ruolo. E’ un grande professionista e sapeva scherzare e rilassarsi fuori dal set. Diventava un altro, una persona gentile e mite; l’opposto del crudele e feroce assassino del film.

 

La colonna sonora è affidata a Giorgio Moroder. Come è nata questa collaborazione?

Ho sempre avuto la voglia di conoscere da vicino i grandi talenti e condividere con loro l’emozione del lavoro. Il cinema in questo dà grandi possibilità. E ogni volta che ho girato un film ho messo in pratica questa voglia di osare e cercare il contatto con gli artisti come Moroder che in quel momento era davvero al top della musica internazionale.

 

Sempre in tema di contributi importanti, la costumista di Mamba è Milena Canonero.

Milena non è solo la più grande costumista vivente della storia del cinema, è anche una carissima amica. Era già grandissima quando ha accettato di lavorare con me e le sono davvero grato per questo: ha dato ai miei film un grande valore aggiunto, è un talento che sa sempre sorprenderti per la creatività e per la enorme preparazione che è alla base del suo lavoro.

 

Sia in Mamba che nel successivo L’anniversario del 1999 i protagonisti sono affetti da deliri e atteggiamenti sociopatici. Perchè questa attrazione per la nevrosi?

Direi che sono sempre stato attratto dalle dinamiche delle relazioni sentimentali, dalla dialettica uomo/donna. In fondo tutti i miei film sono film sull’amore, un amore spesso complicato appunto da nevrosi, paure, insoddisfazioni e gelosie. Credo che sia la voglia di capire, di indagare questo mistero.

 

…una follia che si identifica anche nelle location. Nei lungometraggi citati il dramma si svolge a “porte chiuse”, definendo una cifra stilistica più teatrale che cinematografica.

L’amore che “non funziona” è di per sè una sorta di prigione claustrofobica, dalla quale vogliamo evadere o dentro la quale dobbiamo chiuderci per capire fino in fondo e trovare una via d’uscita. Per questo la scenografia dei miei film mette in scena questa condizione, la enfatizza. Del resto, volendo centrare l’indagine sulle dinamiche psicologiche, l’ambiente esterno perde di significato, tutto implode.

 

Strategia commerciale che ricorda le produzioni del cinema di genere, spazi limitati per mancanza di soldi ma tanta inventiva.

Se ti riferisci al fatto che concentrare una vicenda in un luogo definito è un modo per ottimizzare le risorse ovviamente riconosco che c’è anche questa componente. Sono un produttore indipendente, e l’indipendenza ha un prezzo molto alto: devi saper produrre la più alta qualità con budget spesso limitati, e la creatività e la fantasia sono fondamentali per riuscirci.

 

Mentre nel precedente Jackpot del ’92 hai lavorato con Celentano, famoso per imporre la sua personalità sul set. Come è stato lavorare con lui?

Un’esperienza unica, Adriano è una macchina da guerra e da spettacolo, è un arista in senso pieno, dalla voce ai movimenti del corpo all’espressività. E’ stato come entrare nella gabbia dei leoni per me, e per fortuna nessuno dei due ha sbranato l’altro.

Jeckpot_Celentano

…nel cast c’è anche Christopher Lee.

Come dicevo, il cinema ti dà questa meravigliosa possibilità di coinvolgere nelle tue idee gli attori che hai sempre ammirato e sognato. Lui è uno dei grandi del cinema, conoscerlo e imparare da lui è stato un privilegio.

 

Passiamo alla tue produzioni. Raccontaci dell’incontro con Renzo Arbore e della bizzarra scommessa del Pap’occhio e ‘F.F.S.S.’, cioè:… che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?

Il Pap’occhio resta una delle mie intuizioni da produttore di cui rivendico con orgoglio l’efficacia: Renzo Arbore era un talento riconosciuto della tv, ma all’epoca nessuno aveva ancora immaginato di trasportarlo al cinema come ho fatto io. Non fu facile convincerlo, la mia fu una corte spietata ma sapevo che in Renzo e nel suo gruppo di amici, da Benigni a De Crescenzo, c’era un potenziale enorme. I fatti mi hanno dato ragione. Abbiamo realizzato grandi successi popolari.

 

Nel 2010 hai girato un documentario dal titolo Giulietta e Federico, documentario sulla storia d’amore di Fellini e Giulietta Masina.

Ecco vedi, sono recidivo… ricado sempre nlle storie d’amore; quella tra Federico e Giulietta è stata talmente speciale che volevo raccontarla a modo mio da tanto tempo, e alla fine credo di aver trovato la chiave giusta.

 

Attualmente stai lavorando a qualcosa di interessante?

Preparo tre progetti di dimensioni e ambizioni diverse; due sono di respiro internazionale, ambientati a Londra e negli States; il terzo è una commedia molto divertente ambientata in Italia. Ovviamente ora che ci penso al centro delle tre storie c’è sempre l’amore, sarà perchè ancora oggi per me resta un mistero insondabile e necessario.

 

Ultima domanda: cosa salvi delle produzioni attuali?

Fare nomi non è mai corretto, si rischia di dimenticare ingiustamente qualcuno; devo dire che c’è molta vitalità nel cinema italiano nonostante la crisi economica che si riflette anche sulla crisi di pubblico. Vedo energie, idee e voglia di fare che meriterebbero più attenzione anche in termini di politiche e strategie a lungo termine. Bisogna tutelare in ogni modo gli spiriti liberi e le idee nuove e questo nel cinema è possibile solo se c’è un reale tessuto indipendente che lavora dentro un sistema industriale definito.

 

Intervista a cura di Daniela Nativio (Lanciano-2014)

 


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