Noi ragazze guardiamo i calciatori non il calcio. I calciatori sono quello che ci rimane dopo 90 minuti di una partita e dopo mezz’ora in cui ci spiegano inutilmente il fuorigioco. Le più sprovvedute si cimentano in esperti commenti quali “la partita si vince a centrocampo” oppure chiedono dove sta il giocatore tal dei tali non sapendo che lo stesso non gioca più da anni.
Menzione speciale meritano quelle che detestano calcio e calciatori e che per questi europei in corsa hanno tempestato i social networks con foto di cani randagi massacrati per “ripulire” le strade ucraine. Applausi, se non fosse che l’atteggiamento pseudo vegetariano nasconde sempre nelle viscere una sana passione per il prosciutto e la porchetta. Un po’ come Cinzia, la sorella di Domenico di Teramo, che sostiene di essere vegana ma quando vede il pollo non resiste.
Lo stesso succede a noi bambine che non abbiamo scelta e guardiamo i calciatori: come resistere al musetto arrapante di De Rossi? Impossibile, direi. Ecco. La similitudine è presto fatta.
Come Oronzo Canà, impacciate, tenere e incompetenti, intralciamo i dibattiti seri sull’argomento e i salotti delle strategie, siamo la versione raffinata e rosa dei commenti da bar. Ci prendono attacchi isterici se l’avversario fa goal, applicando così la tensione mestruale al girone di andata. Infine siamo capaci di insultare l’arbitro con una foga sconosciuta anche ad un hooligan; come delle Medee assatanate di sangue ci scagliamo sul giudice di gara, rappresentante del maschio che sprigiona ingiustizie nei nostri confronti.
Da migrante si aggiunge a ciò dell’altro. In principio era Manfredi di “Pane e cioccolata” che emigrato in Svizzera cercava di integrarsi tingendosi di biondo ma in un pub, durante una partita di calcio Italia- Inghilterra del 1973, dopo un forzato tifo anti italico, sbroccava davanti agli astanti svizzeri urlando di gioia per la rete di Anastasi. Assieme a lui sbroccavano tutte le umiliazioni e le derisioni di chi cercava un riscatto altrove, restando alla fine in mezzo a due mondi. Totalmente apolide a se stesso.
Mi è capitato di vedere una partita di calcio a casa di un’amica assieme a dei tedeschi. Non giocava la Germania ma sarebbero capaci anche di tifare per la Papuasia qualora fosse il nostro avversario. Essi ci temono, ci gufano contro, sono ciò che mia nonna di Palestrina con estremo candore chiamava “rosiconi”.
Essi sono il nostro nemico “ontologico” che ci trasciniamo dietro da guerre mondiali, filosofie, letterature, partite di calcio. Ma non possiamo fare a meno di loro e viceversa. Come due amanti che pur sapendosi orgogliosamente diversi, si ostinano a cercarsi per compensazione, curiosità e brivido dell’ignoto.
Dopo un primo tempo di battute degli ospiti su Berlusconi, sull’amore degli italiani per i falli in campo, sull’abbigliamento dei tifosi sugli spalti, sulla mia maglia messa al contrario per distrazione, sbrocco come Manfredi quando dice “So italiano, embè?”.
Da quel giorno decido che se calcio deve essere calcio sia, ma solo nel mio territorio, nel mio ghetto. Ovvero nei ristoranti italiani berlinesi, un non luogo rimasto immutato nonostante i vent’anni di emigrazione e non sempre rassicurante paradiso.
- Signorina se vuole entrare deve pagare subito da bere più un euro.
- Perché un euro scusi?
- Per vedere la partita.
- ..Non ci arrivo, ho la quota giusta giusta per una birra.
- Eh allora niente.
- Ma come niente..scusi eh.
- Signorina qui stiamo lavorando eh, per cortesia. C’è gente che aspetta.
Alla fine entro ugualmente grazie ad un collega che mi presta un euro. Certe volte penso che se non sapessimo cucinare saremmo arsi vivi in pubblica piazza, trascinati con catene e bastoni.
Ovunque si va si sta scomodi per una ragione o per un’altra e come avrebbe detto Nino: “uno se dà da fa, lotta, combatte ma quando perde, almeno se riposa”.
NATASHA “EVA KENT” CECI
Scritto da Natasha Ceci il giu 28 2012. Registrato sotto REALITY BITES, RUBRICHE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione