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Marlene Kuntz a Torino: L’Hiroshima implode nel rumore

Creato il 26 ottobre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_online

Non troppo tempo fa abbiamo parlato dei Marlene Kuntz e del loro MK – CATARTICA Tour 994/014, abbiamo però tralasciato il fatto che, tra le date del lunghissimo e ricco tour della band Cuneese, ci fosse una tappa a Torino, nella ormai celebre cornice dell Hiroshima Mon Amour. Il fatto che questo concerto ma anche il tour in sè fosse un evento imperdibile è solo la punta dell’iceberg: Tutti quanti erano lì per testare le capacità della band di riproporsi in chiave noise/alternativa come in passato, e sono piuttosto certo che nessuno spettatore sia rimasto deluso dalle aspettative.

 

Il club è stracolmo (Sold out dichiarato già la scorsa settimana), prima di arrivare alla platea vera e propria ci si trova già a sgomitare per aggiudicarsi un minimo di visuale sul palco. Mi faccio strada a fatica tra il pubblico, composto principalmente da “adulti”, ossia coloro che avevano la mia età quando i Marlene Kuntz si esibivano suonando il repertorio di Catartica, all’epoca loro unica creazione.

La band apre le danze con “Mala Mela”, perla intramontabile di Catartica. Già a questo punto ci si rende conto di quanto siano sul pezzo, tutto scorre senza intoppi, Cristiano canta disinvolto e sicuro, la band suona in modo altrettanto fluido. Un ottimo modo di cominciare a scaldare gli animi. Si prosegue con “1° 2° 3°”, improvvisamente tutti cominciano ad ondeggiare al ritmo spigoloso delle chitarre, che purtroppo per il momento si perdono da qualche parte, sommerse da batteria e basso. Anche qui, tutto ineccepibile. Senza un attimo di tregua si attacca con “Fuoco Su Di Te”, tra i consensi del pubblico che esplode al momento del ritornello, lasciandosi andare e cantando assieme a Godano, che continua a sputare fuori i suoi testi in modo fragoroso, quasi fossero stati scritti ieri. Interpretazione singolare di tutti quanti, anche se le chitarre continuano ad essere indietro, bisognerà aspettare ancora un paio di pezzi prima che dal mixer tutto si sistemi.

Successivamente si alza nuovamente il piede dall’acceleratore con “Gioia (che mi do)”, un altro inno tratto da Catartica, il cui mood prende per mano tutti, trascinando gli ascoltatori ancora più vicino (emotivamente parlando) al palco. Poi tocca a “Canzone di Domani”, ultimo pezzo tratto da Catartica, prima di lasciar spazio ad alcuni brani tratti dal “neonato” Pansonica . Non tra le mie preferite, ma indubbiamente ben suonata dall’inizio alla fine.

Dopo un breve annuncio in cui ci viene raccontato ciò che andremo a sentire, ecco che si ricomincia con “Donna L“, pezzo la cui esecuzione mi premeva particolarmente. Tutto perfetto come da copione, a partire dall’intro di basso gigantesco che quasi mi fa indietreggiare di riflesso. Ecco che finalmente i Marlene danno prova di quanto i ritmi sanguigni di vent’anni fa scorrano ancora dentro le loro vene. Una lezione di noise aperta a tutti. Da qua in poi, forse data la mia emotività legata al pezzo, mi ritrovo in una posizione migliore in cui oltre a sentir meglio le chitarre, riesco anche a vedere meglio la band ma soprattutto Cristiano, che non da nessun cenno di debolezza. Interpretazione magistrale, come solo lui può. E’ il momento di “Oblio“, altro brano tratto da Pansonica, piuttosto ritmato e disinvolto tanto da scorrere via quasi senza accorgersene, lasciando spazio a “Parti”, il brano successivo. Qui si passa attraverso diversi mood, le chitarre si aprono ad elevare la voce, poi tutto si chiude per poi riaprirsi sul finale, un brano decisamente degno di nota anche, per quanto riguarda l’efficacia dal vivo.

Tutto cambia nuovamente quando si riprende con “Lieve” e quindi con Catartica. L’atmosfera si acidifica in maniera quasi impercettibile, se non fosse per l’inconfondibile linea vocale chiaramente concepita negli anni d’oro. Esecuzione energica e convincente anche qui. Gli anni passano ma le abitudini no. Nulla di ciò che ho detto per Lieve cambia quando si attacca con “Transudamerica”. Improvvisamente sembra essere uscito il sole, la temperatura già altissima prima si alza ancora. Ma tutti in quel momento sono in un sogno di sabbia e oceano. La svolta rock ‘n’ roll  che ci voleva, il pubblico sembra rinato. Si prosegue con “Sig. Niente“, pezzo su cui ho fantastico molto e di cui sono rimasto molto soddisfatto. Di nuovo rumore, il basso è un loop, le chitarre inciampano tra loro, e Godano sembra posseduto prima da Ferretti, poi da Carmelo Bene e successivamente da entrambi. L’eco degli “amor mio” ripetuti nel finale pietrificano tutto e tutti.

Si ritorna poi a scuotere la testa su “Capello Lungo“, che fin dai primi ascolti mi è sembrato un brano molto interessante, soprattutto per la sua predisposizione ad essere eseguita dal vivo. Non mi sbagliavo, si picchia duro per poi fermarsi a guardarsi attorno durante il finale, claustrofobico, dispersivo, bello. A riaccendere gli animi ci penserà “Merry X-Mas”, inno grunge chiaramente risalente agli anni ’90, il tutto suonato con tutta la violenza del caso. Proprio come andava suonata. Non passa nemmeno un attimo che si riparte con “M. K.“. L’attitudine è la stessa di prima, ma il rumore è notevolmente di più, e il pubblico sembra volerlo tutto quanto. Ed è proprio qui che tutto si interrompe, ma nessuno ci crede.

I Marlene infatti ritornano su quasi subito, ringraziano il pubblico e poi riattaccano.Si ricomincia così ad ondeggiare sull’onirica “Ruggine“, perla questa volte di Pansonica, una delle mie preferite. Splendida esecuzione nonstante il cambio repentino di atmosfera rispetto ai brani precedenti. A preparare il pubblico per il gran finale ci penserà “Sotto la luna”: il ritmo aumenta, e lascia presagire un imminente aumento di intensità. E anche qui Marlene sembra non avere il benchè minimo acceno di difficoltà. La conferma arriva con “Festa Mesta”, che fa spalancare gli occhi a tutti, definitivamente. Tutti cantano, tutti si muovono, e il caldo torna a farsi meno soffocante.

Subito dopo, pare sia giunto il momento di “Sonica“. Lo si deduce dal rumore, da impercettibile ad assordante, per poi esplodere e dare il via a quello che è uno dei loro brani più amati di sempre. Quelli che prima cantavano ora urlano. e io ormai per qualche strana legge di magnetismo, sono vicinissimo al palco, tanto che mi sembra di sentire arrivare le urla di Cristiano Godano direttamente dalle sue corde vocali. Ma nemmeno svaniti i feedback delle chitarre di Sonica, arriva il momento che molti, tutti, stavano aspettando. La voce del pubblico a tratti copre tutto quanto, tutti ondeggiano, tutti stanno “nuotando nell’aria”, quasi letteralmente. Esecuzione singolare anche se un paio di note si sono incastrate tra loro. Nulla di cose di grave, il pubblico applaude senza sosta appena riprende a toccare terra. Il concerto pare concluso, ma nessuno vuole andare a casa, dopo una manciata di minuti infatti i Marlene sono di nuovo in posizione, dopo essersi congratulati con il pubblico e viceversa.

Dopo una premessa data l’estraneità del brano rispetto al contesto Catartica/Pansonica, attaccano con “Musa“, brano tratto dall’album Uno (2007). Data l’atmosfera del brano, che scorre attraverso il pubblico già soddisfatto e compiaciuto, si intuisce che è il momento di spegnere tutto. A seguire una lunga serie di strette di mano e il retrofront generale, con conseguente ingorgo all’uscita.

 

Inutile mettere in dubbio quanto l’evento fosse sentito per i fan di Torino, ma soprattutto per quelli di Cuneo (tra cui il sottoscritto), e i risultati si sono visti. Non è una leggenda che le platee piene risuonino meglio, ma nulla sarebbe stato possibile senza la band, costanti ma soprattutto entusiasti di essere dov’erano. Ho visto molta gente abbracciarsi a fine concerto, ho sentito un gruppo di amici di vecchia data dire “Ti ricordi!?” , segno che il concerto in questione è significato molto e per tanti. Per quanto riguarda me, non potevo desiderare di meglio. L’Hiroshima si riconferma teatro di un altro grandissimo evento. Il pubblico era forse troppo numeroso per una platea simile, ma credo che la cosa abbia giovato alla buona riuscita della serata, che alla fine, è l’unica cosa che conta.

 


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