Marx: la moglie e la governante
Creato il 11 dicembre 2011 da Albix
Una cameriera entra in scena e apre le due ante dell’armadio su cui troneggia una enorme testa di Karl Marx.
Con l’interno rivolto allo spettatore, le due ante simulano gli scaffali di una libreria.
Dall’interno dell’imponente armadio la cameriera estrae un divanetto a due posti e un basso tavolino che con una sedia a dondolo e alcune altre sedie in tinta, completano l’arredamento del salotto di casa Marx.
Siamo a Londra, negli anni cinquanta del 1800. Karl Marx ha già pubblicato nel 1848 “Il Manifesto del Partito Comunista” scritto a quattro mani con Friedrich Engels. Karl Marx e la sua famiglia si son dovuti rifugiare a Londra a causa dei sospetti della polizia belga, p reoccupatache il grande economista e filosofo, fondatore della scuola marxista, voglia esportare anche in Belgio la rivoluzione, che furoreggia in Francia nel 1849. Neanche la Francia, d’altronde, è ospitale per Karl Marx: troppi creditori arrabbiati. E le finanze della famiglia di Karl Marx non vanno certo meglio a Londra: i beni di famiglia vanno avanti e indietro dal Monte di Pietà, tra un invio e l’altro di danaro del mecenate e sodale Friedrich Engels.
Ma nella commedia di Adele Cambrìa, rappresentata a Cagliari nel giorno 10 dicembre 2011 per la regia di Marco Parodi, le difficoltà finanziarie e le ristrettezze economiche in cui vivono Marx, sua moglie Jenny von Westphalen e le loro due figlie fanno soltanto da sfondo al nucleo centrale del dramma: con i Marx vive da sempre una cameriera, Helen Demuth, che divide con loro le fatiche e le miserie di una famiglia a cui, un pur sì notevole pensatore ed una nobile prussiana decaduta, non riescono ad assicurare un minimo di serentità economica.
Helen serba nel suo animo un grande segreto che verrà disvelato al mondo intero soltanto più un secolo dopo: il bambino che Helen ha partorito in casa dei Marx, e che è stato prontamente dato in affidamento, è figlio di Karl Marx, frutto di un rapporto extraconiugale consumato tra la cameriera ed il suo datore di lavoro, sotto il tetto coniugale.
Sembra incredibile come proprio in casa del più grande pensatore comunista della storia del pensiero rivoluzionario si sia consumato un dramma così borghese. E nel triangolo inusuale ed abnorme (oggi Marx rischierebbe, come minimo, una condanna per mobbing) chi ne esce con le ossa rotta è proprio il grande intellettuale tedesco. Il suo mito viene polverizzato sotto le macerie della sua incapacità di gestire e di accogliere gli stessi frutti del suo matrimonio (quattro figli della coppia legale su sei moriranno praticamente per mancanza di assistenza materiale) e della sua meschina, banale e pavida dimensione maschilista.Viene spontaneo chiedersi a cosa serva una intelligenza sopraffina, spesa a scrivere libri e manifesti in difesa dei deboli, se poi il suo autore si dimostra insensibile ai destini dei deboli che gli stanno accanto: i figli indifesi che muoiono sotto i suoi occhi affetti da incapace impotenza e la proletaria Helen, strappata alla sua famiglia appena undicenne e totalmente succube sia socialmente e sia economicamente della sua nuova famiglia.
Sta in questa enorme contraddizione la grandezza del testo di Adele Cambrìa; un testo coraggioso e irriverente che scrollandosi di dosso ogni timore reverenziale, frantuma il mito del pensatore, del filosofo, dell’intellettuale e del rivoluzionario a cui si sono ispirate tutte le grandi rivoluzioni socialiste (dall’URSS alla Cina; dal Vietnam a Cuba), anch’esse miseramente fallite, mettendo a nudo l’uomo e proiettandolo nella sua dimensione più intima e umanamente delicata:il suo rapporto con le donne. Un testo egregiamente interpretato da Elena Pau e Simona Guarino che nell’arco della durata dello spettacolo fanno emergere due intense e positive figure femminili che piano, piano ma inesorabilmente, finiscono per ridimensionare la figura umana di Karl Marx (presente sul palcoscenico solo con la voce calda e pastosa di Gianni Esposito), riuscendo a colmare perfino, grazie ad una solidarietà tutta femminile, anche il divario sociale e culturale che le separa sin dalla nascita.
Qualcuno può esser portato a pensare che il testo pecchi di eccesso di femminismo e che sia portatore di una tesi apodittica ma la storia sul palcoscenico regge e si regge bene. E tanto basta.
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