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Massimo Gramellini e la mercificazione della cultura

Creato il 28 gennaio 2013 da Alessandraz @RedazioneDiario
Pubblicato da Francesca Pegoraro Massimo Gramellini e la mercificazione della culturaRecentemente Massimo Gramellini ha espresso la sua opinione in merito al modo in cui noi italiani gestiamo il nostro patrimonio storico-artistico. Ciò che il giornalista proprio non riesce a spiegarsi è perché “l’Italia fa vendere”, ma “a guadagnarci devono essere sempre gli altri”. Spunto per la sua riflessione è la constatazione che il nuovo romanzo di Dan Brown ha per sfondo la Firenze dantesca, che va così ad aggiungersi alla fanta-Roma papale e allo pseudo-rinascimento leonardiano, mentre secondo lui i nostri scrittori rifuggono dal rappresentare nelle loro opere, gli splendori e i fasti della nostra storia. Perché, si chiede Gramellini, “i miti del passato italiano affascinano gli scrittori e i registri stranieri, ma non i nostri?”. 

Posto il quesito di fondo, il suo intervento procede puntando il dito prima contro gli scrittori italiani, perché appunto si rifiutano di farsi portavoce dei “miti del passato italiano”, per passare poi ad accusare l’intero popolo italiano definito come “una nazione che si rifiuta orgogliosamente di essere come la vogliono gli altri [...] ci ostiniamo a sfuggire dai cliché - sole, ruderi, arte e buona tavola -  a cui il mondo vuole inchiodarci per poterci amare e invidiare” mentre dovremmo “finalmente accettare di essere la memoria di [noi stessi]”. 

Qual è il vero motivo del suo disappunto? Si tratta forse del sacrosanto risentimento che dovrebbe insorgere furente in ogni italiano per l’incuria a cui è abbandonato il nostro immenso patrimonio culturaleNo, però curiosamente è questo che pensano le molte persone che hanno commentato il suo articolo. Curiosamente la vera essenza delle sue parole non è stata colta. Al contrario in esse si è voluto percepire quello che davvero sta a cuore alla maggioranza degli italiani: il desiderio di tutelare il nostro patrimonio artistico. Ma questo non è quello a cui intendeva riferirsi Gramelli. Si tratta allora forse della rabbia che ogni vero italiano sente in fondo al suo cuore ogni qual volta si rende conto che della sua amata nazione, con tutte le sue ricchezze e bellezze, quello che gli stranieri conoscono sono solo dei luoghi comuni privi di fondamento? No! Si tratta solo di marketing! A Gramellini infatti interessano proprio gli stereotipi e ciò che vorrebbe è che venissero alimentati, invece che confutati, perché sono fonte di guadagno e di arricchimento. Secondo il giornalista dovremmo piegarci all’immagine che il mondo ha di noi senza cercare di dimostrare la nostra vera essenza. Ma la cultura non è una miniera o un giacimento di petrolio, per citare un paragone da lui stesso utilizzato, che possono essere sfruttati a piacimento e fatti oggetto di commercio. L’Italia non può e non deve trasformarsi in un ente del turismo fantastorico votato alla vendita di un’immagine di sé falsa e vuota. L’Italia deve imparare a valorizzare le proprie ricchezze, ma per farsi conoscere per ciò che realmente è: una nazione meravigliosa formata da un popolo che ha nell’animo e nelle vene tutte le schegge dell’arcobaleno e che, se solo credesse in se stessa, potrebbe realizzare mille e uno rinascimenti e mille e uno risorgimenti. L’Italia si è già fatta da sola una volta. Nulla le vieta di riuscire nuovamente nell’impresa e per farlo non ha bisogno di mercificare il suo passato, come nobili impoveriti che aprono le proprie dimore di avite a turisti da villaggio vacanze di second’ordine, in cerca di un’avventura alla ghostbusters. Operazioni editoriali come quelle di Dan Brown sono speculazioni commerciali che niente hanno di culturale e per tanto non sono assolutamente da prendere ad esempio. Non abbiamo bisogno di imbrattacarte che scrivano fantasiosi quanto inverosimili romanzi fantastorici ambientati alla corte dei Medici, noir sui Borgia e così via. Cosa ha tutto questo a che fare con la nostra vera storia, con il nostro vero passato, con la nostra essenza di italiani? Nulla! Quello di cui veramente abbiamo bisogno sono scrittori che sappiano mostrare il vero volto dell’Italia, tutto quello che all’esterno non è conosciuto, l’essenza e perché no anche le contraddizioni dei nostri mille volti e i mille sentimenti che portiamo nel cuore. Rimettiamo nelle mani degli scrittori una pagina bianca e nuova, che siano loro a riempirla, ma senza schemi perché il mondo ha già avuto troppi cantori al servizio dei nazionalismi e dei regimi per volerne altri. A noi lettori resterà certo il compito di valutare il loro operato, ma che per lo meno gli sia data la possibilità, parafrasando il sommo poeta, di alzare le vele alla navicella del loro ingegno per dimostrare il loro valore! Se vogliamo risollevarci dobbiamo fare esattamente il contrario di quello che suggerisce Gramellini: mostrare al mondo che da noi e in noi c’è molto di più di vecchi ruderi, pizza e sole!. Dobbiamo mostrare al mondo che l’Italia ha avuto sì un glorioso passato, ma soprattutto che possiamo avere un futuro ancora più glorioso perché abbiamo ancora tanto da dare al mondo; se fino ad ora l’antica Roma e il Rinascimento sono stati gli “unici momenti della storia in cui siamo stati la locomotiva dell’umanità”, è solo perché il futuro è ancora tutto da scrivere. 
Ma a Gramellini interessa solo il marketing! I nostri scrittori dovrebbero diventare bardi e citaredi del nostro passato, dovrebbero camminare con la testa voltata indietro come i gli indovini  danteschi, rinunciando a priori a costruire qualcosa di nuovo, perché ciò che conta è diventare, come Dan Brown, “autorità indiscusse in materia di fatturato”. Questa è la dura legge del mercato: dare al pubblico quello che il pubblico chiede, non importa se meschino, scadente, ignorante e insolente. E allora ben venga il nostro errore, nostro di italiani e dei nostri scrittori con noi, sia benvenuta l’ostinazione che ci porta a cercare di essere qualcosa di nuovo, a sperimentare, a cercar di voler sopravvivere invece che mummificarci nelle glorie del passato. Sia benedetto il nostro rifiuto di diventare pagliacci alla corte del mondo, novelli Rigoletto, incartapecoriti e patetici come certe star del cinema o della canzone avvinghiate al ricordo della loro passata avvenenza, che si rifiutano di riconoscere i segni del tempo sul loro viso. Rifugiarsi nel passato non serve a nulla. Certo avere consapevolezza della propria storia, delle proprie radici e salvaguardare le sue testimonianze è fondamentale per la sopravvivenza di ogni civiltà, ma ciò deve essere fatto pensando al futuro, di cui il passato è uno strumento conoscitivo. Ed è proprio per questo che non lo si può e non lo si deve svendere prostituendo la storia e la cultura al migliore offerente

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