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Siccome sono una fan delle seconde occasioni ho guardato anche la puntata di Masterpiece dell'altra sera.
Di primo acchito l'ho trovata meno terribile della prima; del resto è un programma con un buon ritmo e io sono abbastanza succube alla magia dei talent. Mi appassionano, non posso farci nulla.
Però riflettendoci a TV spenta non posso che confermare tutti i difetti che avevo già trovato nel format la settimana scorsa.
Innegabilmente e palesemente (sì, De Cataldo, ben due avverbi in - mente) non stanno cercando un romanzo, ma uno scrittore da vendere; e mi pare logico. La tiratura premio promessa è di ben 100.000 copie; come fai a smerciare 100.000 copie di un esordiente se non è uno straordinario personaggio?
La logica di mercato, quindi, è prevalsa anche nella seconda puntata.
Di per sé non c'è nulla di male. Anche a X Factor molto spesso i giudici decidono dopo essersi chiesti se la persona è vendibile.
Però almeno a X Factor lo dicono chiaramente; a Masterpiece, invece, prendono in giro i concorrenti, fingendo di valutarli per la loro scrittura.
Si è intuito, in questa puntata, alla fine della prova di literary nonfiction, che poi è quello che stanno cercando a quanto ho capito.
Erano in gara un avvocato dell'alta borghesia romana, scapolo d'oro, con uno stile tipo Harmony e la traumatica esperienza di aver assistito dal vivo al tentato suicidio della sua ragazza; e un'anonima psicologa ventinovenne autrice di un romanzo sugli elefanti.
Secondo vi chi ha vinto?
Lui, neanche a dirlo; sebbene il suo pezzo fosse scritto peggio.
I giudici non sono stati capaci di motivare la loro scelta, perché ovviamente avrebbero dovuto abbandonare la spiaggia sicura del politically correct.
Avrebbero dovuto dire che il romanzo sugli elefanti se lo sarebbero comprato solo i parenti dell'autrice e che lei non aveva dalla sua nemmeno un'esperienza traumatica a sostenerla, neanche la morte del criceto; e per finire De Carlo le avrebbe tirato dietro il libro, come ha fatto con un'altra poveretta.
Comunque alla fine l'avvocato Harmony è stato battuto in sfig... pardon, in talento dall'immigrato serbo scappato dalla guerra, che è diventato il secondo finalista di Masterpiece assieme all'ex tossico. Probabilmente il prossimo sarà uno stupratore seriale e poi una prostituta pentita, giusto per inserire una quota rosa.
Io sono ironica, ma è vero che badano più alla biografia degli autori che ai loro romanzi.
L'unica che ha avuto il coraggio di pretendere che il discorso vertesse sul suo manoscritto e non sulla sua professione è stata cassata senza pietà e si è beccata pure il libro in testa, in una dimostrazione di elegante civiltà da parte di De Carlo.
Il fantasy è uscito degradato anche da questa puntata; stavolta era incarnato da un ragazzo con un vissuto incredibile, espertissimo di alchimia e con un passato da impagliatore di uccelli. Uno così che può scrivere, se non fantasy? Invece De Carlo (sempre lui) gli ha detto che non avrebbe dovuto gettarsi nel fantasy (intendendo: ma perché scrivi queste cazzate?) e che invece avrebbe dovuto ispirarsi alla sua vita.
Ma cavolo! Uno deve scrivere per forza un'autobiografia per essere pubblicato? Secondo questa logica un banalissimo impiegato del catasto con uno smisurato talento letterario non potrà mai sfondare; perché anche le autobiografie non vendono se sono noiose.
Ok, ok; cercano un personaggio, devono vendere 100.000 copie. Però così passa un messaggio sbagliato.
Quando a me arriva un manoscritto da leggere l'editore non mi dice nemmeno il nome dell'autore.
Uno scrittore non si giudica in base a chi è, ma in base a ciò che scrive.
Ecco perché un talent letterario non funziona; nella logica e nei tempi televisivi l'apparenza finisce con il prevalere sulla sostanza.
E questo uccide la cultura.
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