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Mastro Geppetto da Scorrano, falegname di Natale

Creato il 18 dicembre 2012 da Cultura Salentina

di Katia Giannotta

presepe

Gruppo Giovani della Parrocchia di Pieve Cesato, Tomasino Peroni, Giovanni Casadio, Particolare del presepe in segatura (2010)

    

L’uomo entrò in quella piccola casa di pietra bianca, riscaldata all’interno dal fuoco acceso di un camino. Sua moglie Meca era china sulla tavola ad impastare il pane per il mattino dopo.

Si sentiva stanco e affaticato, perché quello era il periodo dell’anno in cui lavorava di più, in cui la sua arte e ciò che faceva, con passione e cura, entrava nelle case e nei luoghi sacri del suo paese sotto una veste diversa: creativa e poetica. Non smetteva di credere che il suo lavoro fosse esattamente questo: saper unire ad azioni tecniche, che imponevano il corretto uso di ogni piccolo utensile, anche la sua fantasia, quel tocco particolare che rende l’opera di un artigiano così unica. Lui non si sentiva certo un artigiano, una parola di cui ignorava del tutto il vero significato, sapeva solo di essere un uomo semplice che svolgeva compiti appresi da bambino quando, al ritorno da scuola, suo padre lo guardava e, con voce severa, diceva: «Scisci vane a lu mesciu cu tte ‘mpari nnu mestiere!», (Gigi vai dal “maestro” ad imparare un mestiere).

Certo, aveva appreso bene il mestiere del falegname ma non si era fermato alla mera esecuzione di gesti; lui con il legno ci parlava, di esso leggeva ogni piccola venatura e capiva al primo sguardo, forse per una strana alchimia, qual era l’esatto punto in cui colpire per dividere una tavola a metà o infilarvi un chiodo.

Dall’uscio di una piccola porta vide arrivare il suo unico e ultimo figlio maschio, aveva quattro anni ma sembrava già che volesse conquistare il mondo, ben protetto dall’amore e dalla dedizione delle quattro donne della casa. L’uomo sorrise al pensiero di non essere quasi mai riuscito a punire quel piccolo bimbo per le sue continue birichinate perché, ogni volta che lo affrontava, la maggiore delle sorelle sceglieva di prendersi qualche schiaffo al suo posto.

Suo figlio gli si avvicinò. Il piccolo sapeva già che sarebbero trascorsi pochi giorni prima dell’arrivo del Santo Natale e che il suo compito sarebbe stato quello di accompagnare il padre, nelle case dei suoi compaesani o nelle chiese del paese, per costruire il presepe. Così, tirandogli l’orlo della giacca disse con entusiasmo: «Tàta, stà sciamu!», (Papà stiamo andando!).

Naturalmente non attendeva neppure un cenno di risposta dal suo anziano padre, correva subito nella bottega, posta al di là della strada di casa, e, afferrato il piccolo panarieddhu(cestino di vimini, n.d.a.) che Mesciu ‘Nandu aveva costruito apposta per lui, cominciava a depositare i diversi attrezzi di lavoro recuperandoli da sopra il bancone o da qualche altro mobile alla sua portata. A quattro anni non sapeva certo qual era l’esatto utensile utile al mestiere del padre ma le ore trascorse al suo fianco, durante il lavoro, gli avevano permesso di individuarne sicuramente alcuni come, ad esempio, quelli che il padre chiamava con nomi strani e simpatici: la tenaglia, il seghetto e lo scalpello.

Ogni volta la scena si ripeteva sempre uguale: suo padre arrivava dentro la bottega, guardava il figlio che gli correva incontro urlando con gioia «Tàta ieu su pruntu!», (Papa, sono pronto!).Prendeva il suo piccolo cestino e posandogli la mano sulla testa gli diceva:«Bravu!». Poi, però, finiva sempre per aggiungere altri attrezzi a quelli scelti dal suo bambino.

L’impazienza del piccolo era tanta, così come lo era la sua voglia di cominciare a costruire i presepi, che non la smetteva mai di urlare: «Sciamu Tata, mena sciamu!», (Andiamo Papà, dai andiamo!), ma si sentiva ogni volta ripetere di aspettare perché c’era da finire un altro lavoro. Poi, quando finalmente suo padre si alzava e diceva: «Bhè figliu, sciamu!», (Bhè figlio, andiamo!), lui saltava dalla gioia di cominciare a partecipare al lavoro di suo padre. Correva a infilare il suo braccino nel panarieddhu e felice, con la mano in quella di suo padre, lo seguiva fuori aspettando che lui lo coprisse bene e lo sistemasse sulla sua bicicletta.

Giunti nelle fredde e bianche case di tufo dei compaesani, il piccolo bimbo, fiero di partecipare anche lui alla costruzione del presepe, si sistemava accanto al suo papà sapendo che la sua sola mansione era quella di passare al padre l’attrezzo giusto che lui gli richiedeva. Ed osservando  ogni gesto con gli occhi sgranati e pieno di furbizia, dentro di sé pensava che non avrebbe mai smesso di costruire presepi, nemmeno una volta diventato grande. Sapeva che tutta quella fatica e quelle lunghe ore di lavoro non sarebbero state ripagate economicamente perché si era in tempo di dopoguerra e di povertà. Spesso la padrona di casa gli donava un biscotto fatto con le sue mani o del latte. Ed era forse anche quello uno dei motivi che lo spingevano ad uscire di casa, affrontare il freddo invernale e salire sulla bicicletta del padre, cioè saziare la sua golosità di bambino e un pochino della sua fame! Solo quando accompagnava il padre a costruire presepi nelle case delle famiglie benestanti del paese riusciva ad avere in cambio qualche piccola monetina che accettava di nascosto dal padre che non gli avrebbe permesso di prenderle.

Molti anni e Natali trascorsero da quei giorni, il bimbo era divenuto un ragazzino di dodici anni e tanti erano stati i presepi costruiti ormai con un ruolo più attivo: preparando i legnetti, inchiodando le tavole e lavorando altri materiali. Quando all’età di cinquantanove anni suo padre morì, il ragazzo si ripromise di non smettere mai di costruire il presepe di Natale, nella casa della sua famiglia, con l’arte e l’amore apprese sin da bambino. Preparava la grotta, costruiva le strade, affiancava le tavole di legno e le inchiodava, sapendo che non sarebbe mai stato perfetto come il presepe costruito da suo padre dove c’erano fiumi, laghi e ruscelletti di montagna, un vecchio mulino a legno e altri particolari che non ricordava come costruire. Così, come quando era bambino, parlava dentro e chiedeva aiuto al suo vecchio padre. D’improvviso sentiva nascere dentro una voce che gli sussurrava i gesti e i modi per compierli. Costruiva con il tocco del ricordo, guardando felice quattro piccoli occhi sgranati e meravigliati quanto un tempo lo erano stati i suoi. Erano gli sguardi delle sue due figlie, ora adulte e lontane da casa, che nel periodo di Natale costruiscono da sole il presepe sapendo che l’amore vive nelle loro case.


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