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Mater Dea Mater Vitae. Viaggio straordinario nell’esperienza femminile runica

Creato il 28 novembre 2013 da Wsf

Freya

La Dea Freya

Freya è una figura interessante all’interno del carismatico panteon norreno. Primo perché fa parte dei Vani ma viene effettivamente trattata come uno degli Asi e passa la maggior parte del tempo tra loro; secondo perché condivide il nome con il proprio fratello Freyr e Felice Vinci, nel suo testo “Omero nel Baltico” vede nella radice una correlazione con il nome di Afrodite. Nesso molto affascinante, soprattutto a causa del fatto che, a tutt’oggi, è ancora difficile riscattare l’etimologia esatta del nome della dea greca, e l’assonanza tra le radici fr, che a questo punto potrebbero essere di natura indoeuropea, allarga la gamma di possibilità sulle correlazioni tra le due divinità. In effetti, le somiglianze tra le dee non si fermano al nome. Freya è accostata al sesso, alla bellezza, all’idea di donna fertile e affascinante. Il suo cocchio era trainato da gatti (lo Skogkatt, i norvegesi delle foreste) e il suo sex appeal  innegabile, tanto che persino i giganti vorrebbero averla nei loro territori, per portare lustro alla propria specie. Freyr dal canto suo, era un uomo meravigliosamente splendido, e veniva raffigurato con un fallo enorme. E’ molto semplice rivedere nella coppia divina, vecchie deità legate al culto antico della fertilità. Interessante sarebbe studiarne lo sdoppiamento e farlo in linea con altri “fratelli famosi” come Apollo e Artemide (dato che l’Artemide greca è solo la punta dell’iceberg della dea lunare europea). Afrodite dal canto suo, detta molto spesso “callipigia” (‘dalle belle natiche’, non a caso, dato che l’uomo condivide con i primati l’antico ricordo dei glutei turigidi come richiamo della femmina pronta per l’accoppiamento. Nelle donne il gluteo rimane gonfio durante tutta la vita dopo lo sviluppo sessuale, a differenza delle sue lontane cugine che invece tendono a gonfiarlo soltanto durante il calore. Ecco molto banalmente spiegata la passione maschile per il fondoschiena e l’epiteto di Afrodite, dea del sesso, lo conferma a pieno titolo) è la divinità capace di accendere la passione negli uomini. E’ la sola dea a poter essere raffigurata completamente nuda ed è madre, di Eros e Anteros che sono versioni antropomorfe dell’amore. Essa è nata dalla spume del mare (anche qui è facile vedere oltre che nella conchiglia riferimenti al coito, ai genitali e all’esperienza dell’orgasmo)  e inebria gli uomini del piacere della carne. In antichità il sesso, sciolto da ridicoli tabù, faceva parte del comparto non solo religioso, ma anche semplicemente quotidiano. Era grazie all’amplesso che le donne potevano rimanere gravide e quindi portare avanti il genos (la specie nel senso di famiglia-clan) in modo ciclico, esattamente come faceva la natura, quando i campi venivano messi a frutto e davano raccolti. Ancora potremmo parlare di quanto entrambe le dee fossero desiderate a capricciose, ma per nostro interesse, ci sposteremo sulla grande differenza tra Freya e Afrodite: il Seiðr di cui traccia è rimasta all’interno delle Rune. Non a caso uno degli Aettir (divisione di otto in cui i 24 segni sono concettualmente divisi) è dedicato a Freya (anche se per come la vedo io, la divisione in gruppi di otto delle Rune è posticcia. La cosa interessante però da notare è che uno dei gruppi è comunque dedicato alla dea, e forse questo potrebbe essere un retaggio di antiche conoscenze). Ma partiamo dal principio. Il Seiðr è un’antica arte di connessione con le energie naturali. Molti l’accostano allo sciamanesimo, dato che prevedeva anche la capacità di mettersi in contatto con altri piani, tanto da allacciarsi a quello che oggi giorno definiremmo spiritismo, ed era praticato esclusivamente da donne, un elemento molto interessante questo, perché apre una dimensione nuova sulla vita della donna all’interno della struttura religiosa norrena. Del resto, la connessione tra la femmina e la sacralità della nascita e della morte è abbastanza evidente, ma questa comunione con l’invisibile lo era soprattutto per gli antichi, dato che le donne potevano ‘perdere sangue tutti i mesi’ senza morire, potevano rimanere incinta e partorire uomini. In epoca moderna tutto ciò, grazie alla scienza, è un meccanismo del tutto ovvio, ma quando l’essere umano ha iniziato a tracciare la sua vita, doveva apparire come una sorta di miracolo, dato che l’esperienza della caccia e della battaglia, ad esempio, avevano insegnato che una ferita con relativa perdita di sangue, portava indubbiamente alla morte, se non curata. Questa rete di idee ha senza dubbio sviluppato un sistema di credenze intorno alla figura femminile e al suo connubio con le forze ultraterrene e naturali (cosa che la ha resa strega nei secoli successivi). Il Seiðr, a mio avviso, appartiene a questo ambito, dato che tramite il suo utilizzo si poteva prevedere il futuro, lanciare maledizioni e proteggersi da tutto ciò che era negativo. SIiamo in sostanza parlando di magia, e per quanto le Rune siano state “scoperte” da Odino, sembra che il loro vero significato sia connesso al Seiðr e al femminile, e volendo fare un paragone con il mondo ellenico, la dea che subito salta all’occhio è Artemide ‘dal bell’arco’, di cui Afrodite potrebbe essere una volto precedentemente diviso. Tutto questo è rintracciabile all’interno del ciclo runico, e Berkana, indubbiamente, domina la scena, dato che presiede a tutto ciò che nasce e muore, ovvero alla trasformazione della vita, ed è strettamente connessa sia a Freya (tanto che con Tyr, forma la coppia uomo – donna) quanto alla capacità di connettersi al mondo naturale. Berkana è il Seiðr, nella sua forza di propulsione e creazione. Essa è infatti connessa alla gestazione, protegge i parti e supporta le donne in gravidanza, oltre a procurare gravidanze, ma soprattutto essa è la Betulla imperitura, che resiste anche al freddo agghiacciante, e rinasce anno dopo anno. E’ abbastanza evidente la connessione con i riti di morte e nascita, oltre che purificazione. Ma di questo ne parleremo in maniera più approfondita nel prossimo articolo.

Roberta Tibollo

Il glifo della Runa Berkana

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