Matricole e… meteore: un primo bilancio dei volti nuovi dell’NBA.

Creato il 07 novembre 2012 da Basketcaffe @basketcaffe

La stagione NBA è iniziata solamente da una settimana, ed è certamente troppo presto stilare un completo bilancio dell’ apporto delle matricole; tuttavia, si stanno avendo le prime indicazioni su chi possa avere un futuro roseo nel campionato più bello del mondo.
Prendendo in considerazione le prime dieci scelte del Draft del 2012, sono 2 i nomi che balzano subito all’occhio: Anthony Davis e Damian Lillard.
Davis, arrivato a New Orleans sotto la luce dei riflettori con la prima scelta assoluta, non ha sentito alcun tipo di pressione in campo nelle prime 3 partite, viaggiando a 14.5 ppg e 6.5 rpg. Queste sono cifre destinate a rimanere “congelate” forse per qualche settimana, dato che una gomitata accidentale del compagno Austin Rivers gli ha provocato una commozione cerebrale, e il protocollo NBA da seguire in questi casi per il ritorno in campo è molto severo. Tolto questo piccolo incidente di percorso, il lungo ex Kentucky non avrà problemi a dominare la scena cestistica americana per le prossime annate.

Lillard è entrato nella lega in maniera completamente diversa rispetto a Davis: ex star di un piccolo college dello Utah (Weber State), poco coinvolto mediaticamente, era rimasto sconosciuto ai più fino alla chiamata con il numero sei da parte dei Portland Trail Blazers. Ora, è considerato già uno dei migliori playmakers in circolazione. Le sue prestazioni da regista “veterano” ( 19.3 ppg, 8 apg e ben 4 rpg) stanno facendo impallidire quei GM che lo hanno snobbato al Draft, e se questi numeri dovessero rimanere tali, tenete pure in considerazione il ragazzo nativo di Oakland per il titolo di rookie dell’anno (che già ad inizio anno sembrava destinato a Davis). Inoltre, gli sono bastate solo tre partite per fare il suo ingresso nella storia NBA: solo lui ed Oscar Robertson sono stati capaci di mettere a referto almeno 20 punti e più di 7 assist nelle loro rispettive prime tre uscite da rookie.

Prendendo in considerazione le altre matricole, a discapito delle critiche ricevute si sta comportando molto bene Dion Waiters, che in queste prime uscite ha collezionato 16.3 ppg. Le sue percentuali al tiro rimangono migliorabili (soprattutto il 54.5% dalla linea della carità), ma la coabitazione con Kyrie Irving sta funzionando. Dato che l’ unica alternativa è CJ Miles, le porte del quintetto e i relativi minuti continueranno ad essere a disposizione del prodotto di Syracuse.

Se questi tre rookies stanno influendo positivamente per le loro franchigie, molti altri non stanno tenendo fede alle aspettative con cui sono entrati nell’ambiente NBA. Bradley Beal, Thomas Robinson e Austin Rivers sembrano essere i tre maggiori indiziati.

Beal non sta “approfittando” dell’assenza di John Wall per mostrare le proprie doti cestistiche negli Washington Wizards, e il 15 % con cui la guardia ex Florida sta tirando dal campo sta facendo rizzare i capelli al GM Ernie Grunfeld. La giovane età (classe 1993) influisce certamente, ma nella capitale accetterebbero sicuramente questa sua stagione che sembra essere di transizione, e per il momento gli preferiscono A.J Price.

Thomas Robinson, dopo aver  dominato al college con i Kansas Jayhawks (arpionando 12 rimbalzi di media), non sta trovando molto spazio nei Sacramento Kings di Keith Smart, che è ancora restio a dargli più fiducia. Fisico imponente, è in “competizione” con Jason Thompson per trovare un discreto minutaggio, ma la sua poca mobilità e un tiro dalla media distanza ancora “grezzo” influiscono negativamente sulla sua valutazione da parte dello staff dei Kings. I mezzi fisici sono superlativi, e se riuscisse ad abbinarci una tecnica migliore il suo futuro potrebbe essere promettente.

Chiudiamo con Austin Rivers, playmaker in forza agli Hornets, che teoricamente andrebbe a formare con Anthony Davis l’asse play-centro per le prossime annate della franchigia. Frenato in preseason da due piccoli infortuni alla caviglia, in queste prime partite di stagione regolare sta trovando ampi attestati di fiducia da parte di coach Monty Williams ( quasi 30 mpg), ripagati però con prestazioni sotto le righe e percentuali da brividi (1 su 9 vs gli Spurs, 0 su 4 vs Utah). Le male lingue sostengono che se avesse avuto un cognome diverso (è il figlio di coach Doc Rivers) sarebbe stato scelto molto più in basso della decima scelta assoluta, ma l’ambiente di New Orleans per il momento è privo di pressioni, e potrà migliorare sotto la guida di un coach giovane come Williams.

Per ora sembrano ingiudicabili giocatori come Harrison Barnes (che inizierà a vedere di più il campo dopo il brutto infortunio di Brandon Rush), Terrence Ross (sta soffrendo le buone prestazioni di DeRozan), Andre Drummond e Michael Kidd-Gilchrist. Tuttavia, sembra chiaro che per questa stagione NBA saranno pochi i rookies a dare un apporto significativo alle loro squadre di appartenenza.. la fiducia ai veterani rimane.


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