La schiavista Rosy Bindi (foto di Francesco Escalar Lightshape srl Wikicommons)
Il matrimonio tra persone dello stesso sesso realizza la democrazia nella piena uguaglianza tra cittadini eterosessuali e omosessuali. Un concetto così banale sta generando da parte dei partiti distinguo, retromarce e cortine fumogene che un paese che si dice democratico come l’Italia davvero non merita.
Giusto per comprendere esattamente quali sono termini della questione invitiamo i nostri politici, che solo oggi si svegliano da sonno dogmatico sugli affetti delle persone omosessuale, a sostituire nelle loro dichiarazioni, negli scritti o su Twetter , “matrimonio gay”, con “abolizione della schiavitù”, un altro tema etico che, esattamente come il matrimonio gay, realizza l’uguaglianza tra esseri umani.
Ebbene in questo senso il centro sinistra italiano, e soprattutto il PD, ci dice a partire da Virginio Merola, sindaco di Bologna: “sì all’abolizione della schiavitù ma l’urgenza sono i tagli”.
Per Fioroni che si sente “vincitore morale”, “non aboliremo lo schiavitù… partita chiusa… questo fa fare un passo avanti ai diritti e blocca le speculazioni e le strumentalizzazioni”. Per Pier Luigi Bersani dare della schiavista (si legga omofoba) a Rosy Bindi è “indecente” è “segno di un maschilismo e di una volgarità di cui pensavamo avesse dato miglior prova Berlusconi” e infine parla pure l’immancabile Rosy fiera di farci sapere che “Tra me e il segretario sul tema dell’abolizione della schiavitù non c’è nessuna divergenza… lo voterò alle primarie…”.
Delle due l’una o il partito che si dice democratico ha davvero perso la bussola, oppure fa sul serio e non sono da sottovalutare con una sua vittoria elettorale i rischi per la tenuta della democrazia. Ma un Partito democratico contrario all’abolizione della schiavitù non può evidentemente vincere le elezioni.