Domenica al Salone del Libro. L’auditorium è gremito, la folla aspetta con impazienza l’arrivo del Sindaco di Firenze Matteo Renzi. A lui il salone si piega, la stampa è sua, la platea lo accoglie come una rockstar. Nelle prime file il sindaco di Torino Piero Fassino e Oscar Farinetti, patron di Eataly grande sostenitore di Renzi durante la campagna elettorale per le primarie.
Il direttore de La Stampa Mario Calabresi.che conduce l’intervista parte dal libro freschissimo di stampa “Oltre la rottamazione”, un testo presentato come molto americano nella grafica e nei contenuti.
Viene analizzato il termine “rottamare” , una parola che oggi Matteo Renzi ammette che non userebbe di nuovo, dal momento che “poteva suonare ostile e spaventare l’elettorato e la classe politica”. Rottamare voleva però dire “cambiare idee più che le persone”. Oggi alla rottamazione preferirebbe la gentilezza (termine mutuato da Aung San Suu Kyi): il ritorno di un bipolarismo gentile, che sappia dire che destra e sinistra sono cose diverse ma si allontani dalla retorica del “vaffa”.
Matteo Renzi al Salone del Libro
Non tarda ad arrivare la critica sincera ma schietta e dura alla campagna elettorale (non) condotta dal centrosinistra; una campagna che ha visto arrancare Pierluigi Bersani dietro gli slogan suggeriti da Crozza, e ha visto prendere terreno ad un Pdl distrutto e al MoVimento 5 Stelle di Beppe Grillo. Segue una strizzata d’occhio alla politica pop (e giustifica la sua comparsata ad Amici): l’errore della sinistra è avere paura della televisione, o per lo meno di una certa televisione nei confronti della quale la sinistra si pone su un piano di superiorità morale. D’altronde la logica che ha portato Beppe Grillo a vincere è stata quella televisiva: il comico genovese è “un grande animale televisivo”, non certo uno stratega di internet. La fortuna del MoVimento 5 Stelle non è stato il web, ma la televisione che lo ha rincorso e gli ha donato uno spazio importante, privo di contraddittorio.
Matteo Renzi al Salone del Libro
Altro tema caldo è la questione dell’uomo solo al comando: è necessaria leadership (il lavoro di un leader che conquista la guida forte del lavoro della sua squadra) non certo leaderismo. Renzi ricorda la famosa radiocronaca del giro d’Italia e il gioioso urlo “un uomo solo al comando, il suo nome è Fausto Coppi”. In quest’ottica si inquadra il discorso sulla segreteria del PD: il segretario deve restituire ai militanti consapevolezza, senso di appartenenza ad una realtà che mira a rinnovare l’Italia. La preferenza di Renzi è chiaramente per Sergio Chiamparino, mentre a Guglielmo Epifani resta il ruolo di “Caronte” del partito.
Il sindaco di Firenze è un trascinatore di folla; tutto il suo discorso potrebbe essere riassunto nel concetto di “creazione di consenso”: il Matteo Renzi giovane, fresco e alla mano capace di battute campanilistiche e di profondità, che riesce a creare una forte empatia con il pubblico e a scaldare la platea.
I temi che ritornano sono quelli della sua eterna campagna elettorale: i “contentini” ai perdenti delle primarie, la compenetrazione di pubblico e privato nella vita del paese, la ripresa della cultura, l’attenzione a internet e alle leggi che il mondo del web richiede. Il discorso cade sul Governo Letta; il sindaco di Firenze si oppone fortemente all’idea che – come calcolo politico- giocherebbe a suo vantaggio un fallimento del Governo Letta. La politica, secondo Renzi, dovrebbe tornare a interessarsi davvero al Paese, e il Governo Letta è il governo del Paese, non un gioco interno del Pd.Il sindaco lascia la sala in un bagno di folla e di luci.
Articolo di Jacopo Calzi e Gabriella Dal Lago.
Riprese e montaggio video di Olga Anna Furchì.