di Rina Brundu. Impressionante la levata di scudi! Un paio di giorni fa è sceso nell’arena persino un lombrosiano Eugenio Scalfari che su Repubblica ha tenuto a rimarcare come una eventuale vittoria di Matteo Renzi alle primarie, implicherebbe la fine della natura “antropologica” di partito di sinistra del PD. Rosy Bindi, da pasionaria evergreen, è stata, al suo solito, molto più pragmatica e categorica: “…sosterrò Pier Luigi Bersani e lavorerò affinché il sindaco di Firenze venga sconfitto e non vinca le primarie”.
Lo “sdegno” per l’affronto subito (immagino la sfida al capo) – dentro la nomenklatura partitica, e giù giù fino alla base – è stato così “importante” che alla fine anche a chinonglienepotrebbefregardimeno la domanda è venuta spontanea: Matteo Renzi, ma chi era… pardon, ma chi è costui? Fortuna ha voluto che un quanto mai militarizzato (rispetto alle ragioni di Partito – perché quando il Partito chiama occorre rispondere!), Fabio Fazio, nel suo Che tempo che fa di ieri sera (RAI 3), abbia deciso di aggiungerlo alla solita-cricca del suo selezionatissimo parterre e di intervistarlo proprio nell’aftermath dell’accordo primarie Renzi-Bersani.
E mentre Renzi parlava (da notarsi, “pungolato” come mai-prima-di-allora da un Fazio generalmente più comprensivo e disponibile con i discorsi, più o meno pregnanti, degli amici-ospiti o ospiti-amici che dir si voglia), c’era tutto il tempo di studiarne il character, il personaggio. Di studiarne, per esempio, il linguaggio innegabilmente preso a prestito da best-seller globali (pre-Lehman crash, occorre dirlo!) quali “Top-management per dummies”, “Leadership ed altre amenità post-capitalismo-più-sfrenato” et varie et eventuali. Detto altrimenti, quando parla, Matteo Renzi mostra di avere imparato alla lettera le lezioni faticosamente impartite dal Silvio del-tempo-che-fu all’oligarchia pidiellica nel tentativo di renderla politicamente credibile. Et presentabile.
Il va sans dire che se Silvio non è riuscito nel suo intento, il mentore di Renzi non ha fatto quello stesso errore. La verità recita dunque che, strategia o non strategia (del resto, Machiavelli riderebbe in faccia a chiunque pensasse di impegnarsi e di vincere in Politica senza una precisa strategia!), il giovane sindaco fiorentino è credibile! È credibile nella modalità di porsi, è credibile nel programma che presenta, ed è credibile nella sua fiera battaglia che ha come target primario quello di “rottamare” una generazione di sinistra che ha fallito. Soprattutto, Renzi ha il grande merito di osare e di puntare il dito contro quel tal fallimento.
Che i vecchi gerarchi e la casta intellettuale che li ha tenuti al potere per 50 anni (spesso per convinzione ideologia, altre volte per mero sfizio, in qualche occasione per brillare di riflesso), non ci stiano è mera consequentia rerum. Tuttavia, anche se Matteo Renzi somiglia indubbiamente al delfino comunista che Berlusconi avrebbe voluto avere, fossi un giovane militante del PD io lo voterei. Perché è il primo passo. Per cambiare. Per davvero. E con i fatti!
Featured image, veduta di Firenze, fonte Wikipedia.