MERCOLEDI 11 MAGGIO ORE 18.00
Libreria EquiLibri – Via Farneti 11- Milano
Marco Ercolani e Fabio Botto
presentano
TERRA ESTREMA
(Editrice l’Arcolaio, 2011)
di
Mauro Germani
Saranno presenti l’Autore e l’Editore Gian Franco Fabbri
8 testi da Terra estrema, una nota di Filippo Ravizza, alcuni giudizi
Da L’ignoto sangue
Là dove il corpo appare
nella fredda fiamma
del nulla
o più lontano in fondo
nel pozzo segreto
e senza nome,
ecco l’attrito
ecco
il lampo improvviso e vero
che dice adesso,
adesso è il destino,
guarda,
ancora trema
è qui, è in te
ancora per poco,
prima del buio.
*
La bellezza che non sai dire
e le vene, tutta l’infanzia, gli anni,
gli anni a capofitto
in questo
gettato divenire,
questo abisso che hai amato
in silenzio, tu
altro da te, altro nell’altro,
solo, a frantumi,
nello specchio rovesciato
del mondo.
*
È questa notte l’uomo
dice la Terra
il corpo ignoto nel vento
che lo scuote e lo trascina
fino all’ultimo bordo,
al cuore fermo
del suo puro nulla.
È questo solo
lo scandalo della carne,
l’enigma di ogni nome.
il pianto segreto delle mie parole…
*
Non sappiamo il corpo
l’assoluta verità del sangue.
Com’è sola la carne
e noi assenti in lei
e lei nel mondo.
Oh esistere davvero,
essere veramente
le nostre parole,
noi appartenenti
per sempre alla terra
come un respiro
alla vita…
*
Da Voci
Conosco tutti i miei corpi sepolti, dice la Terra, sono le mie ossa bianche e la mia polvere, l’eternità perduta che è nell’erba e nei fiori, ogni stagione del mondo.
A me vengono tutti quelli che furono e che saranno, i nomi i volti gli sguardi i drammi gli amori le bocche sospirate i sogni i baci i deliri.
Oh, mio grembo capovolto, mia disperata legione, mia incessante moltitudine!
Ogni destino è questo ritorno senza ritorno, questo buio profondo di tutti e di nessuno…
*
Come sarebbe povera la terra senza di noi, dicono tutti gli Animali, come sareste soli e perduti nel vostro triste mondo. In quale immenso vuoto, in quale deserto senza meraviglie, favole e avventure vivreste!
Noi siamo soltanto i nostri corpi, lo sapete, carne da gioco o da macello, eppure sempre veri, sempre interi nel nostro essere!
Qual è, invece, la vostra ferita, il vostro continuo affanno?
Oh, uomini illusi dìesistenza, folli sovrani senza regno, di che cosa vi credete padroni?
Nessuna ragione, nessun potere, nessun dio vi ha mai salvati e vi salverà, poveri fratelli infelici, povere anime perse nel buio…
*
Da Terra estrema
I
Nella stanza cresceva l’ombra, il sonno come un addio. Lui ripeteva il dolore di quelle scale come fosse per sempre, come un gesto scampato al disastro di fuori. Lei aveva pochi minuti, oppure una vita intera, lo guardava e lo ricordava senza trattenerlo, con calma, nella vertigine chiusa di quello spazio segreto.
VIII
Il loro corpo fu l’ombra, la luce, il sogno, la ferita.
Furono gli anni dietro le finestre, il pane secco nella credenza, i millimetri di ogni febbre e di ogni bacio, la patria segreta delle lenzuola, ma anche le impronte senza riparo, l’alleanza sconfitta del mondo, un addio incessante.
Il loro corpo fu solo quella stanza, quella terra estrema.
* * *
Nota
di Filippo Ravizza
“ecco l’attrito/ ecco/ il lampo improvviso e vero/ che dice adesso,/ adesso è il destino,/ guarda,/ ancora trema/ è qui, è in te/ ancora per poco,/ prima del buio” (pg. 20).
Il senso arcano di un altro mondo dietro (o dentro?) al mondo, un sipario che si leva… la parola poetica che si fa aletheia, verità heideggerianamente intesa come lo svelato, ciò a cui è stato non tanto tolto quanto spostato il velo, ciò che è apparso nella sua nascosta radicale nudità: la forza terribile della presenza dell’essere come elemento gettato drammaticamente dentro al nulla del mondo, l’essere la cui qualità più propria e autentica è essere-per-la-morte.
Eccezionale, in questi bellissimi e duri versi, è la intuizione piena della centralità di quel medium inadeguato e pregno di finitudine che è il corpo, il nostro povero corpo: “L’avessi mai capito il corpo,/ avessi mai detto/ il folgorante enigma/ della sua bellezza/ o l’abisso del suo/ occulto male.// L’avessi mai trovato/ nella luce e nella notte/ della sua carne/ … / Avessi mai sentito/ davvero il mio cuore,/ scoperto il mio volto,// la mia vita in lui” (pg. 36).
Come già ho avuto modo di dire intervenendo su precedenti momenti della produzione di Mauro, “in questo versificare, la trasparenza dei fenomeni, la loro insignificanza, la pochezza di significato delle cose, scatenano nell’essere la nostalgia di una autenticità che si conosce e riconosce come illusoria nel momento stesso in cui viene detta”. La densità teoretica in Mauro Germani si coniuga ad una versatilità e raffinatezza nella costruzione della parola poetica che sono caratteristiche certo non frequenti nella poesia italiana contemporanea.
Terra Estrema è la nuova stazione di un cammino poetico importante nello scenario italiano di questi anni.
* * *
Dalla Prefazione
di Marco Ercolani
… Mauro Germani, in Terra estrema, si inoltra nell’abisso del dolore e affronta, in modo lirico ma impietoso, il tema “perturbante” del corpo.
“È qualcuno il mio corpo / ignota carne / in me di me / respiro e battito / buio, circolo / di sangue / qui, altro / nell’altro / in me / per me, attrito e / azzardo muto, / pensiero senza / pensiero, / casa sempre / segreta / altrui essere / in me / di me”.
Usando versicoli brevi o brevissimi, antiretorici, il poeta inizia il suo cupo lamento, la sua dolorosa elegia. “Quale fine da finire / lenta afasia / avvento di nulla”. Respinge una frase poetica troppo articolata, come se non avesse neppure il tempo di pensarla. I versi brevi stringono lettore ed autore nell’esiguo spazio di un respiro rauco, interrotto, fra dolore e dolore. “Chi ti ascolta / è nella mano / nel poco sangue / che adesso ti scrive”.
La lingua di Germani è esatta, icastica, non elusiva. Ma questa icasticità è incrinata da scissure improvvise, da strazi indicibili…
La scelta di un linguaggio spoglio, tessuto di termini semplici, non è una scelta minimale. La lingua scarna, lessicalmente monocorde di Germani, è il contrario di una lingua “barocca” che procede per accumulo e analogie. Il poeta vuole consapevolmente elevare il minimo di maschere fra il suo io e quello che esprime: la presenza evidente e perturbante del corpo, dell’altro da sé – il corpo visto come la propria stessa ombra. L’epigrafe celiniana ne è l’indizio evidente: “Tutto quel che è interessante avviene nell’ombra: decisamente nulla si sa dell’autentica storia degli uomini”…
*
Dalla Postfazione
di Fabio Botto
… Con Terra estrema Mauro Germani sembra voler rompere ogni ulteriore indugio, e ci chiede infine di seguirlo nel mondo che si dischiude oltre quella porta. La scoperta, che ci paralizza appena ne prendiamo atto, è quella paradossale e per i più forse inaccettabile della presenza attuale del mondo delle ombre, tutt’intorno a noi. Il mondo delle ombre non ci attenderebbe in un fantomatico “dopo la vita”, ma ci anticipa fin dal primo momento del nostro accedere alla luce, come precondizione invisibile di ogni nostro incontro e di ogni nostra perdita o rinuncia.
Con quale sguardo riflessivo, poi, ci si dovrebbe accostare a una scrittura che, tra l’altro, informa il lettore di volerlo riavvicinare al “paradosso del corpo”, al suo ignoto sangue? Quale “corpo”? Corpo come luogo ossimorico dell’emergenza delle immagini, orizzonte metaforico di ogni apparire che, accadendo, trova accesso alla nostra “prudenza di superficie”:
“Là dove il corpo appare
nella fredda fiamma
del nulla
o più lontano in fondo
nel pozzo segreto
e senza nome”…
*
Alcuni giudizi
Rinaldo Caddeo
… Basti leggere l’indice, che riporta i capoversi, per capire, non solo su di un piano statistico, l’insistenza straniante e straziante, con i suoi annessi e connessi (il sangue o la carne per esempio), del corpo: «Quale ignoto sangue», «Là dove il corpo appare», «Non sappiamo il corpo», «Dall’acqua e dal sangue», «Non so quale risorta carne», «L’avessi mai capito il corpo», «Forse due corpi, una luce», «Col corpo addosso vanno», «È qualcuno il mio corpo», «Amputato corpo», «Conosco tutti i miei corpi sepolti», «Ci sono macchie di sangue». Sono incipt che la dicono lunga e già portano in sé quella dolorosa elegia che si snoda nelle stazioni di una passione di cui parla Ercolani.
Vorrei soffermarmi su di una queste stazioni che, a mio parere, merita un’attenzione particolare. Mi riferisco alla breve ma densa sezione Voci dove l’icastica affabulazione di Germani assume un nuovo angolo visuale e vocale, perlustrando un diverso territorio. Qui sono gli elementi aristotelici a prendere la parola: la Terra, il Vento, il Fuoco, ma anche la Neve, la Notte, il Cielo. E parlano in prima persona: la tonalità oracolare, perplessa o confidenziale, si fonde e fa un tutt’uno con la souffrance di una condizione esistenziale che valica i limiti acuminati dell’io e delinea, con codeste stranite identificazioni, orizzonti più incalcolabili, scenari più dilatati…
(da qui)
Vedi anche qui e qui.