Spokane è un’anonima città dello stato di Washington che conta 200.000 abitanti, abituata a vivere nell’ombra ingombrante della vicina Seattle. Oscurata anche dal punto di vista della scena musicale, non ha assistito alla nascita di band rivoluzionarie, generi innovativi e grandi fenomeni sociali; certo, può vantarsi di aver dato i natali a Paul D’Amour, bassista originale dei Tool, ma poco altro. Ci sono i locali, ci sono i musicisti, ma ancora nessuno ha mischiato questi ingredienti comuni riuscendo a ottenere un risultato eccezionale.
O forse sì.
Qualcuno c’è, ma per trovarlo non basta semplicemente dare un’occhiata alla top40 o all’ultimo numero di Rolling Stone. Bisogna scavare più a fondo, nei meandri di qualche polveroso e fornitissimo negozio di musica (o, più semplicemente, della sezione musica di Amazon o Ebay).
L’avventura dei Mayfield Four inizia nell’estate del 1996; i quattro partono con un bagaglio che contiene un nome non molto accattivante, una buona dose di esperienza complessiva, un’ottima sezione ritmica e un cantante dalla voce fuori dal comune.
Amici fin dall’infanzia, al punto da definire il rapporto che li lega “a brotherhood”, per un motivo o per l’altro Marty Meisner, Zia Uddin, Craig Johnson e Myles Kennedy si ritrovano a collaborare tutti e quattro assieme solo a quel punto, nel bel mezzo dei 90’s, due anni dopo la morte di Kurt Cobain, mentre le radio passano Jeff Buckley e il fenomeno Creed sta per scoppiare. Sarà la stagione musicale alquanto variegata, sarà la chimica che li lega, fatto sta che la scintilla scocca ed è la Epic ad accorgersene per prima, grazie al demo Thirty Two Hours Point Five, inciso, come da titolo, in poco più di trentadue ore. Nel 1997 esce Motion: Live: 9.17.97, EP live che contiene quattro tracce, tra le quali Fallout, futura title track del primo album, e la cover di Inner City Blues di Marvin Gaye.
Il 26 maggio 1998, finalmente, ecco Fallout. La pubblicazione avviene in sordina e la causa è quella che avrà un ruolo anche nella morte della band: l’assenza di un reale sostegno da parte della casa discografica, che si limita a fare il minimo indispensabile ma non investe abbastanza nel progetto in modo da permettergli di fare il vero salto di qualità, quello che fa solo una minima percentuale dei gruppi effettivamente sotto contratto con una major. L’album, però, è sopraffino: la musica nasce da una combinazione semplice e sapiente di rock essenziale e sensibilità tanto sincera da far male. C’è spontaneità, c’è colore, c’è tecnica da parte di ognuno dei componenti, e c’è l’energia, quella che pochi hanno davvero. Ciò che forse colpisce di più è la carica emotiva che scaturisce da ogni brano: l’esempio perfetto è 12/31, la traccia migliore dell’album, un concentrato di disperazione e resa, impossibile da ascoltare rimanendo impassibili. E poi c’è la voce. Quando si sente qualcuno che con un sussurro riesce a trasmettere più dolore di quanto ne potrebbe trasmettere un urlo sguaiato, si capisce di trovarsi di fronte ad un grande cantante. Mark Tremonti e soci l’avrebbero capito, qualche anno dopo, ma questa è un’altra storia.
La perfezione di questo esordio, però, è controbilanciata dalle vicende personali della band: Craig Johnson, per ragioni che non sono mai state rivelate, abbandona il gruppo; un cambio di manager scombussola ulteriormente le carte in tavola; i problemi individuali sono tanti, per tutti; a fare da sfondo, la continua mancanza di sostegno reale da parte della Epic. Proprio in questi momenti, però, bisogna dare una prova di forza, e i Mayfield Four la danno. Craig e Zia si trasferiscono a casa di Myles e tutti e tre si chiudono in studio per lavorare incessantemente al seguito di Fallout. Si tratta di un periodo assurdo e complicato, come si evince dai ricordi dei protagonisti: le pressioni per il secondo album sono sempre molte, Myles scrive più di 100 canzoni nel tentativo di creare qualcosa che sia all’altezza, la vita del gruppo si basa solo ed esclusivamente sul lavoro musicale, non esiste altro, per nessuno. E, di nuovo, nonostante tutto, i Mayfield Four ce la fanno. Il 26 giugno 2001 esce Second skin. È un album più orientato verso l’hard rock rispetto al precedente, eppure troviamo di nuovo la stessa emotività e le stesse melodie leggiadre, che quasi paradossalmente si basano su una grande solidità della sezione ritmica. Difficile, probabilmente impossibile, scegliere il brano migliore dell’album, ma una menzione d’onore va a Summergirl, traccia conclusiva, una melodia lenta con un crescendo che raggiunge il culmine aiutato dalla voce di Kennedy, e che in una struttura simmetrica bilancia la iniziale ed esplosiva sinergia formato da Sick and wrong e Loose cannon. I tre partono per il tour, con l’aiuto di Alessandro Cortini (futuro Nine Inch Nails) come chitarra ritmica, in sostituzione di Craig Johnson. La band, però, arranca. Gli infiniti problemi che hanno tentato di tirare a fondo il gruppo nei suoi pochi anni di vita si stanno facendo sentire. I guai personali continuano, soprattutto per Kennedy, che si vede diagnosticata una forma di acufene. L’energia manca. E forse è anche qui che si nota la grandezza di una band: nella capacità di capire quando è ora di smettere, invece di trascinare avanti la propria carcassa morente in giganti e imbarazzanti tour mondiali come molti se ne vedono in giro oggigiorno. Ciò che dispiace è che un gruppo così promettente si sia trovato a prendere una decisione simile dopo appena sei anni di vita. Probabilmente con un maggiore sostegno da parte della casa discografica a questo punto potremmo parlare anche di un terzo, un quarto e magari un quinto album dei Mayfield Four, ma forse non conosceremmo gli Alter Bridge, felice seguito dell’esperienza musicale di Myles Kennedy. Fatto sta che, in un angolo del mercato musicale mondiale, ci sono due piccole gemme nascoste che tutti, almeno una volta, dovrebbero provare ad ascoltare. Anche solo per dare ai Mayfield Four quel riconoscimento che, in vita, non hanno potuto assaporare.
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Mayfield Four: peripezie di una band dalla vita troppo breve
Creato il 27 novembre 2014 da Retrò Online Magazine @retr_onlinePossono interessarti anche questi articoli :
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