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Maze Runner – Il labirinto: ecco la “fantadolescenza” – La recensione

Creato il 09 ottobre 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

Il giudizio di Maurizio Ermisino

Summary:

In principio era Twilight. E la parola d’ordine è stata subito: Young Adult. È questo, gli adolescenti, il segmento del pubblico, il target a cui sono destinati una serie di romanzi in voga negli Stati Uniti e in tutto il mondo, e che il cinema ha preso sotto la propria ala per farne dei film “seriali” in grado di avvincere il pubblico e tenerlo incollato agli schermi uscita dopo uscita. È il concetto di “saga”, che ha il merito di portare avanti un prodotto attraverso più puntate, che dai libri seriali si è trasferito con successo al cinema permettendo alle produzioni una sicura fidelizzazione del proprio pubblico. Se Twilight è stato l’elemento scatenante (lanciando una serie di imitazioni che univano l’horror al sentimentale) la vera svolta è avvenuta con la saga di Hunger Games, prodotto molto più adulto e complesso, capace proprio per questo di allargare il target: dai giovani adulti fino agli adulti giovani. Fa parte della tendenza di Hunger Games anche questo Maze Runner – Il labirinto, tratto dai libri di James Dashner. È la storia di Thomas, che un giorno si risveglia in una radura e non ricorda niente, né come ci è finito ma nemmeno chi era prima. Gli rimane solo il suo nome, l’unica cosa che lasciano a lui e agli altri abitanti della radura, tutti adolescenti e tutti maschi come lui. Intorno a loro, un muro altissimo, al di là del quale c’è un labirinto. Pieno di creature, chiamate i Dolenti.

Come Hunger Games e Divergent, Maze Runner – Il labirinto è un’altra opera che fa virare le saghe Young Adult verso la fantascienza distopica, genere che, sin dai suoi capisaldi letterari (Philip K. Dick) per continuare con migliori esempi di rilettura del cinema (Blade Runner, Matrix) è stato essenzialmente destinato a un pubblico adulto. Possiamo dire che Hunger Games e i suoi successori abbiano contribuito a creare un nuovo genere, che potremmo chiamare “fantadolescenza”, fantascienza per adolescenti.

Maze Runner

Maze Runner – Il labirinto, però, parte da un presupposto diverso rispetto a Hunger Games. Se in questo c’erano temi adulti, come la dittatura e l’aspetto mediatico e propagandistico insisto in essa da sempre (Panem et circenses), affidati agli occhi di protagonisti adolescenti con cui il pubblico possa identificarsi, e in questo modo imparare (e magari andarsi a studiare cos’è stato il Nazismo…), Maze Runner – Il labirinto è intriso dei tipici interrogativi universali dell’adolescenza, che sono trasportati in un contesto adulto e distopico (un futuro ignoto in cui deve essere accaduto qualcosa) in modo da farli risaltare al massimo. La situazione da cui scaturisce il racconto di Maze Runner – Il labirinto può essere infatti considerata un’efficace metafora dell’adolescenza, di quella sensazione di trovarsi in un posto che non si conosce, di non aver (ancora) capito da dove si viene e dove si sta andando, di quei momenti in cui si è spesso tra persone dello stesso sesso, con l’altro sesso che è un mondo ancora tutto da esplorare e da vivere (qui una ragazza, all’improvviso, arriva). Un mondo dove ci si trova a far spesso parte di un branco, con maschi alfa (apparentemente?) più forti di te.

Ma allora, com’è questo Maze Runner? Alcuni gradini sotto ad Hunger Games e probabilmente un gradino sotto anche a Divergent, con cui ha in comune la divisione della comunità in sezioni “verticali” secondo la propria indole. La prima cosa che salta agli occhi è il carattere derivativo dell’opera: oltre che ai due modelli sopracitati, e alla storie de Il signore delle mosche, il film dell’esordiente Wes Ball deve molto anche al senso di attesa di The Cube, ma soprattutto della serie tv Lost, ai mostri di Alien, e così via. Rispetto ai due film di cui sopra paga alcuni personaggi disegnati in modo bidimensionale, e attori meno carismatici, oltre a un impatto meno passionale, più freddo. Ma la tensione narrativa fa sì che il film si lasci seguire, fino al buon finale. I nostri eroi (che ritroveremo nelle prossime puntate) forse sono liberi. Ma, come cantava Vasco Rossi, liberi da che cosa?

Di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net


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