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Da Signorponza @signorponza

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Contrariamente al pensiero comune non ho passato l’estate a Formentera bensì ho trascorso questa bizzarra stagione tropicale tra i vagoni umidi della metro milanese e la mia calda sedia dell’ufficio. Non ho scritto molto negli ultimi mesi perché a volte, anche se so che può sembrare incredibile, anche al sottoscritto piace tacere. Oggi torniamo in grande stile con la rubrica, diciamolo, più amata di questo blog, quella dove racconto tutto quello che mi è successo dalla pubertà ad oggi senza tralasciare dettaglio alcuno. Parliamo di quanto fosse faticoso senza social network rimediare una scopata trovare l’amore, e anche di come a volte fosse più semplice riuscirci quindici anni fa che adesso. Prima di lasciarvi con il post di oggi vi ricordo che qua trovate i precedenti, in caso ve li foste persi per strada.


Quando avevo quattordici anni c’era una sola cosa che desideravo con tutto il mio cuore: il motorino. Dopo il concerto delle Spice Girls quello era il mio sogno più grande, il desiderio più ardente che bruciava dentro di me, purtroppo mia madre non era della stessa opinione e del motorino nemmeno l’ombra. Dovevo fare qualcosa, dovevo architettare un piano malefico per entrare in possesso di un mezzo di trasporto a due ruote, non potevo rimanere l’unico sfigato ad esserne privo. Mi dovevo appellare a quella parte della famiglia abbiente e opulenta, quella con un cuore grande e generoso che non diceva mai di no, in altre parole la nonna. Non potevo però limitarmi a chiederle di regalarmi un motorino, perché sarebbe stato sintomo di normalità farlo e io normale non lo sono mai stato, ormai avevo quasi sedici anni e dopo due anni passati a vedermi sfrecciare davanti la gente ero stufo e decisi di commettere un gesto estremo. Un allegro lunedì pomeriggio di inizio settembre mi presentai presso la sua banca, feci la fila alle casse e una volta arrivato allo sportello pretesi di avere libero accesso al conto corrente di mia nonna perché mi servivano assolutamente i soldi per comprare il motorino. La cassiera, completamente esterrefatta dal  mio ardire, si mise subito in contatto con mia nonna che, al telefono, non sapeva più dove nascondersi dalla vergogna. Credo di avere ancora il segno dei ceffoni che mia madre mi diede quella sera, ma il giorno dopo, tornato da scuola, avevo il mio motorino in giardino. Non era niente di che ma mia nonna me lo aveva comprato perché non poteva sopportare l’idea che io andassi in giro a dire che la mia famiglia non sopperiva alle mie necessità. Era usato e, cosa più importante, truccato a tal punto da fare facilmente gli 80 km/h. Non avevo la minima idea di come si guidasse ma l’Italia era un paese stupido all’epoca e chiunque poteva salire in sella a due ruote e seminare il panico per le strade. Il nome poi mi segnò per tutta la vita: mentre gli altri si tenevano stretti i loro Malaguti io cavalcavo con orgoglio il mio Gilera STALKER, che col senno di poi non potevo trovare motorino migliore di quello. Allego contributo fotografico trovato sul web del mio bolide d’altri tempi, così mi potete immaginare che passo i semafori rossi con la mia maglietta della Space Trip arancione fluorescente mentre i vigili urbani tentano invano di fermarmi.

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La parte divertente di tutta questa storia, se non contiamo il tentativo di rapinare mia nonna direttamente dal suo conto corrente, è la benzina. Fare benzina era complicato per me, una pratica oscura con cui mai presi confidenza, nemmeno in futuro con la macchina. Siccome all’epoca non c’era la crisi a me bastavano cinquemila lire per andare in giro per la città una settimana, così tutti i lunedì mi recavo dal benzinaio vicino casa a fare cinquemila di rossa. Un giorno l’incantesimo si spezzò: il solito benzinaio era chiuso per lutto e la mia spia della riserva brillava già da un giorno, mi vidi costretto quindi ad andare altrove e servirmi al self service, una tragedia. Ero in terza liceo e la cosa che sapevo fare meglio nella vita erano le versioni di latino, non avevo idea che la differenza tra la benzina rossa e quella verde non fosse solo estetica. Nessuno si era premunito di dirmi che non si poteva scegliere il colore della benzina a piacimento ma che il colore indicava effettivamente un tipo diverso di prodotto. Ça va sans dire che scaricai nel serbatoio una quantità necessaria di benzina verde per far esplodere qualcosa all’interno del motorino, e dopo poche centinaia di metri rimasi in panne. Niente paura, tirai fuori il mio Nokia 5110 e in un fiume di lacrime chiamai mio padre. Dopo qualche ora di smanettamento mio padre scoprì la mia passione per i colori della benzina e mentre cercava di spiegarmi che non è come il gelato che scegli quello che ti pare, io piombai in una depressione senza fine. Nei giorni seguenti mi reacai dal benzinaio, colpevole di avermi attratto con tutti quei colori sgargianti, e gli chiesi se potesse fare qualcosa per aiutarmi. Salvatore, il benzinaio,  aveva circa vent’anni, capivi che era siciliano guardandolo anche solo per due secondi: capelli neri come il carbone e carnagione scura come un africano. Bello come due schiaffi in faccia e gentile come un generale delle SS, mi colpì subito e ne fui chiaramente attratto. Cercai di spiegargli la situazione senza fargli capire che ero un rincoglionito, e dopo estenuanti richieste mi propose di passare a vedere il motorino a casa pur di non sentirmi più parlare. Io e la mia ingenuità lo guardammo armeggiare con il motorino per mezzo pomeriggio e alla fine quello, non chiedetemi come, ripartì. Feci salire Salvo, ormai eravamo in confidenza, a casa per lavarsi e bere un bicchiere d’acqua sperando che mi possedesse con tutte le sue forze. E invece niente, una grandissima delusione. Da quel giorno però andai solo da lui a fare benzina perché era il mio eroe, aveva rimesso al mondo il mio bambino. Pochi giorni dopo, sempre al self service, mi capitò un’altra sventura: la macchinetta mi mangiò diecimila lire. Non so se rendo l’idea, ma diecimila lire per un ragazzo di sedici anni erano come mezzo stipendio per un trentenne al giorno d’oggi. Mi misi quindi ad aspettare Salvo che aprisse la stazione di servizio e gli raccontai l’accaduto. Lui, visibilmente in collera e di pessimo umore, mi disse di aspettarlo dentro la pompa di benzina dove stava la cassa. Sappiamo tutti dove voglio arrivare.

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Entrò e chiuse la porta, un brivido mi percorse la schiena. Mi ridiede le diecimila lire e abbassò le veneziane della finestrella che dava sui distributori.


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