E’ di questi giorni la notizia che il Tribunale di Roma ha respinto l’ennesimo ricorso di RTI – Mediaset contro Google, relativo alla responsabilità, in quanto gestore della piattaforma Blogger, per la pubblicazione, da parte di un utente, di streaming video relativi alle partite di calcio del campionato italiano di serie A e della UEFA Champions League.
Tale ordinanza è stata accolta come una netta vittoria della libertà di manifestazione del pensiero nei confronti del copyright: a leggere bene il provvedimento, però, emergono alcuni aspetti che sollevano forti perplessità.
Il Giudice, dopo la consueta ricostruzione dei fatti, illustra la normativa applicabile al caso, ossia il D.Lgs. 70/2003 che ha recepito in Italia la direttiva 2000/31/CE. In sintesi, questa normativa esclude la responsabilità del provider per fatti illeciti commessi dagli utenti, a condizione che egli non ne sia effettivamente a conoscenza e, in questa ipotesi, non si sia attivato per rimuoverli. Inoltre stabilisce che il Provider non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette e memorizza, nè ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.
Quanto, poi, al potenziale contrasto tra queste norme e quelle introdotte successivamente dalla direttiva 2004/48/CE – c.d. direttiva enforcement – sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, recepita in Italia con il D.Lgs. 140/2006, esso deve essere risolto nel senso che la direttiva enforcement lascia espressamente impregiudicata la direttiva 2000/31/CE. Pertanto le prescrizioni introdotte dal D.Lgs. 140/2006 devono essere applicate nel rispetto di quanto previsto dal D.Lgs. 70/2003.
Dopo aver chiarito il quadro normativo applicabile ad un generico ISP, il Tribunale di Roma precisa, però, che questa disciplina mal si attaglia al caso concreto. L’ordinanza continua, infatti, affermando che le attuali modalità di prestazione del servizio di hosting non sono più sovrapponibili a quanto tipizzato nella normativa comunitaria, in quanto i servizi offerti non si realizzano nella mera predisposizione del servizio tecnico che consente di attivare e fornire accesso ad una rete di comunicazione sulla quale sono trasmesse o temporaneamente memorizzate informazione messe a disposizione da terzi.
Il Provider, infatti, partecipa attivamente all’organizzazione della gestione dei contenuti immessi dai singoli utenti, predisponendo indicizzazioni e consentendo all’utente di accedere ai video “correlati”, organizzazione dalla quale trae anche sostegno finanziario in ragione dello sfruttamento pubblicitario connesso alla presentazione organizzata dei contenuti. Oltre a ciò, inoltre, il prestatore convenzionalmente si riserva il diritto di controllo, esclusione di contenuti, interruzione della fornitura, ove il servizio perda di convenienza economica o venga disatteso il regolamento contrattuale.
In questo modo, quindi, l’ordinanza in oggetto finisce con l’individuare una sorta di provider 2.0, a cui non si estendono le garanzie previste dalla direttiva 2000/31/CE. E il paradosso è che proprio quei meccanismi contrattuali e tecnici che gli ISP hanno previsto per prevenire gli abusi si ritorcono contro: infatti il Tribunali di Roma li considera come la prova del fatto che l’attività del provider non è “neutra” rispetto ai contenuti immessi in rete dagli utenti.
Ma perchè, allora, il provvedimento di inibitoria di Mediaset non è stato concesso? Semplicemente perchè nel caso di specie è emerso che al momento della notifica del ricorso, che precisamente e dettagliatamente denunciava la presenza di contenuti illeciti nel portale in contestazione ed integrava comunicazione idonea a far sorgere una responsabilità per condotta omissiva per il provider, in mancanza del rispetto degli oneri di attivazione previsti dalla norma, Google Inc. avesse già disattivato l’accesso al portale e ai contenuti contestati.
Stabilito questo, l’ordinanza affronta la seconda richiesta del ricorrente: Mediaset, aveva, infatti, chiesto ai Giudici di ordinare a Google di impedire, in futuro, la pubblicazione di ogni video relativo alle partite di calcio trasmesse sulle proprie reti.
Questa richiesta viene respinta, in quanto il controllo preventivo non è una condotta esigibile dal provider, dal momento che il giudice italiano non può porre uno specifico obbligo di sorveglianza in violazione del chiaro dettato comunitario. Inoltre si osserva che l’ISP non può essere assoggettato all’onere di procedere ad una verifica in tempo reale del materiale immesso dagli utenti – onere non esigibile in ragione della complessità tecnica di siffatto controllo e del costo.
In altre parole, quindi, il Tribunale di Roma conferma quanto sancito nella recente Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea a proposito della possibilità di realizzare un sistema di filtraggio delle comunicazioni elettroniche per prevenire attività lesive dei diritti di proprietà intellettuale.
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