Chiunque,di questi tempi, sfogli i giornali o accenda la tv, non può non accorgersi di quanto l’opinione pubblica corrente guardi con una preoccupazione al Medio Oriente e all’assenza di pace in quei luoghi.
E la preoccupazione così come i timori del peggio, che di necessità arrivano anche nelle nostre città attraverso i profughi, nascono dalle notizie per ciò che è accaduto e che ancora continua ad accadere, ad esempio, in Siria. Un Paese che, un tempo, era di grandi tradizioni e cultura. Oggi ridotto, purtroppo, per pura bramosia di potere da uomini stolti, a un’ autentica macelleria a cielo aperto. E, ancora, per i drammi umani (attentati improvvisi e imprevedibili- povertà irrisolte), che si continuano a vivere, nell’Iraq del prima e del dopo Saddam. Per le note difficoltà coabitative degli abitanti della striscia di Gaza con le loro complesse convivenze con il vicino Israele .E per lo stesso Libano, una realtà, che è martoriata da troppi anni ormai a causa di pesanti divisioni politiche e religiose.
In quei territori,in tutti, il sonno della ragione ha fatto di certo dimenticare il rispetto per la dignità dell’uomo ( penso in particolare ai tantissimi bambini innocenti uccisi dai bombardamenti, a donne che la legge e la cultura corrente consente di lapidare).
Ciò vuol dire che, quelli che noi, a casa nostra, chiamiamo diritti umani, laggiù sono soltanto delle parole “non senso”. E il futuro, il futuro di queste genti, pare essere esclusivamente un futuro di povertà e di morte.
Ora poiché così non può certo durare è necessario che da più parti ci si attivi perché una forma di dialogo si realizzi. E non importa se il processo sarà lungo, lento e graduale.
E dialogo significherebbe, soprattutto, convivenza pacifica anche con chi professa un credo differente.
Il nervo scoperto, insomma. La sofferenza vera.
Pertanto quella che, con termine tecnico ma rispondente, si chiama cooperazione interreligiosa, è quella per cui bisogna lavorare.
Questo genere d’ impegno l’ha fatto e lo sta facendo proprio da qualche mese a questa parte la Caritas Internazionale.
Ed è un impegno che merita davvero il plauso di tutti coloro che credono che la pace tra i popoli è possibile, nonostante i venti contrari che, in certe stagioni, a dispetto del bene, all’improvviso decidano di soffiare.
Per quanto i detrattori delle confessioni religiose, non importa quali che esse siano, imputano ad esse, alle religioni cioè, certe litigiosità, che si tramutano - essi sostengono- in guerre nefande, come abbiamo letto e leggiamo non di rado nella storia, e purtroppo oggi anche nelle cronache, necessita, comunque, mettere la parola fine a conflitti e a morti assurde e gratuite.
Ricostruire la pace per la convivenza umana è un dovere non più tramandabile. Pena l’implosione.
Tutto sta a trovare le modalità corrette e a non fare la nota politica dello struzzo o, peggio ancora, quella dei passeggeri del Titanic che, mentre la nave affonda pensano solo a farsi assegnare cabine migliori.
In sede di lavori dell’assemblea della Caritas, nello scorso settembre, a Roma, non sono mancate delle perplessità intorno ad un impegno di tale portata che, oltre che complesso ma non impossibile sul piano delle intese religiose (si pensi ai conservatori, che pur ci sono), è parso molto gravoso economicamente.
E questo proprio perché nelle aree di guerra dei diversi paesi le necessità, quelle che al momento emergono, sono tante e quasi tutte di enorme portata.
Per la Siria, ad esempio, qualcuno degli intervenuti al dibattito ha fatto notare che, soldo dietro soldo, considerata la stima effettiva dei danni, ci vorrebbe qualcosa come 80 miliardi di euro per avviare la ricostruzione e restituire dignità perduta alla gente .
Cioè poter arrivare a dare un’abitazione alle famiglie, una scuola ai bambini, un ospedale ai malati, costruire strade, ferrovie e quant’altro.
Quanto ai tempi di realizzazione poi, si è detto che occorrono almeno 25 anni. Poco più, poco meno.
Tutto questo, pur trattandosi di tempi lunghi, non deve scoraggiare e, infatti, non scoraggia chi ha deciso con convinzione di passare dalle parole ai fatti.
Infatti, le singole Caritas dei differenti Paesi non solo si stanno attivando in proprio e continueranno a farlo fino a raggiungere l’obiettivo prefissato ma, ciò che è più importante, si stanno coordinando tra loro e coordinando come Chiesa e con numerose altre associazioni religiose.
La sfida è ridare speranza. E’ riproporre giustizia lì dove essa è malauguratamente venuta meno.
E, giorni addietro, esattamente il 12 dicembre, anche Papa Francesco è ritornato a sottolineare la “difficile situazione” del Medio Oriente mettendola in relazione a una disumanità odierna imperante, che è non curante dei più elementari bisogni dell’uomo.
E lo ha fatto in occasione della visita di Ignace Youssif III Younan, patriarca di Antiochia dei Siri, ribadendo da parte di tutti l’imprescindibilità dell’urgenza di un sostegno solidale , morale, e naturalmente spirituale, alle comunità di Iraq e di Siria.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)