Sono andato a Medjugorje nel luglio 2003. E per la verità ci sono andato senza neanche chiedermi se ciò che succedeva ogni mese in quel paese sperduto della Bosnia Erzegovina, dove un gruppo di veggenti asseriva di parlare con la Madonna, fosse riconosciuto o meno dalla Chiesa. In quel periodo collaboravo con il principale quotidiano cagliaritano e facevo quasi quotidianamente tre servizi al giorno correndo da una parte all'altra della città: uno per la politica, uno l'economia e uno la cronaca di Cagliari. A mala pena, con un figlio di appena tre anni e parecchie difficoltà economiche, riuscivo a racimolare cinque o seicento euro al mese per mantenere la famiglia. Per non scoppiare, a luglio di quell'anno insieme a mia moglie mi sono aggregato ad un viaggio organizzato a Medjugorje. Le emozioni di quel viaggio mi sono tornate in mente in questi giorni, ripensando alle parole di Papa Francesco che a Santa Marta ha - secondo alcuni - preso una posizione durissima contro le apparizioni che dal 1981 stanno convogliando milioni di fedeli nel paesino sperduto della Bosnia Erzegovina.
Il Papa contro i veggenti, ha titolato il Fatto Quotidiano, noto organo della Conferenza episcopale. Alla fede non servono i veggenti, gli ha fatto eco la cattolicissima Repubblica. E via titolando. Gli esperti "vaticanisti" di tanti giornali laicisti hanno interpretato le parole di Papa Francesco come una stroncatura della santa Sede alle apparizioni di Medjugorje e ai veggenti. Una stroncatura che confermerebbela posizione dei vescovi dell'ex Jugoslavia che, nell'aprile 1991, avevano decretato che " non è possibile affermare che a Medjugorje avvengano apparizioni o rivelazioni di carattere soprannaturale e che al clero e ai fedeli di tutte le diocesi è vietato partecipare ad incontri o celebrazioni pubbliche in cui sia data per scontata la loro attendibilità". Una posizione ribadita dalla Santa Sede anche lo scorso anno in una lettera indirizzata ai vescovi americani (una delle veggenti di medjugorje vive negli Usa)
In realtà più che criticare i veggenti, sembra che Papa Francesco, da buon pastore, a Santa Marta abbia esortato i fedeli a vivere la fede nella concretezza della vita quotidiana senza cercare fuochi d'artificio. Insomma abbia criticato il modo infantile con cui certi cristiani vivono la fede rincorrendo come farfalle qualsiasi effetto speciale.
Non ricordo se quel mio viaggio a Medjugorje, dodici anni fa, sia stato spinto dalla ricerca di qualche effetto speciale. Può darsi. Forse vedere che il sole improvvisamente si metteva a ruotare in cielo mi avrebbe dato qualche certezza in più. O forse no. Forse avrei voluto vedere anche io la Madonna. Parlarci. O avere il segno tangibile di una trascendenza che percepivo solo razionalmente. O forse, semplicemente, come tante altre persone volevo cambiare qualcosa che nella mia vita non andava bene, unendomi a quella marea di pellegrini che da tutto il mondo arrivavano nel paese della Bosnia Erzegovina per cercare il conforto di una Madre.
Medjugorje non è solo rappresentata dai veggenti che raccontano di ricevere i messaggi della Madonna il 25 o il 2 del mese. Medjugorje è soprattutto un clima di raccoglimento e di preghiera. E' un luogo in cui una marea di persone si converte e cambia la sua vita. E' un fiume di persone che ogni anno si riversano in quel paese sperduto alla ricerca di una risposta al senso della loro esistenza. Certo, tanti curiosi vanno lì perché vogliono vedere il sole che ruota, come forse ho fatto io dodici anni fa, ma la maggior parte di quell'umanità dolente fa quel viaggio per cercare il conforto di una Madre. Il suo abbraccio. Forse perché non ha neppure la forza di rivolgersi al Padre temendone la severità.
Medjugorje per molte persone è l'ultima occasione di abbracciare la fede. L'ultimo treno. Un viaggio della speranza per anime afflitte. E spesso quell'ultimo treno è rappresentato dal conforto di un sacerdote in grado di ascoltare e dare un consiglio. Di dare una mano a mettere un punto e ricominciare daccapo.
Del mio viaggio a Medjugorje ricordo i militari serbi armati che erano saliti sul pullman per perquisirci. Perquisivano ogni pullman e ogni auto che andavano a Medjugorje cercando qualunque pretesto per bloccarli. Salvo poi accettare qualche banconota per lasciarli andare. Franco, la guida che ci accompagnava, ci aveva detto di non aprire bocca e aveva trattato con loro. Aveva perso tutti i denti a forza di botte, perché negli anni Novanta difendere quello che avveniva a Medjugorje, osteggiato sia dal regime comunista che dalla stessa diocesi, era veramente molto pericoloso. Ricordo gli insegnamenti pratici di Franco. Non poteva sopportare che durante la salita della collina delle apparizioni (il Podbordo) o su quella ancora più lunga del monte Krizevac che conduce alla Croce nella comitiva dei pellegrini ci fosse qualche furbo che prendeva la scorciatoia per arrivare prima degli altri. Sì perché, per quanto può sembrare strano, c'è sempre il furbetto che prende le scorciatoie per superare gli altri anche mentre sta facendo una processione religiosa.
Di quel viaggio a Medjugorje ricordo le file interminabili di persone per confessarsi nella spianata davanti alla parrocchia. Il dolore lancinante alle ginocchia, perché ad ogni stazione del rosario che si recita per arrivare sul Podbordo si stava inginocchiati sulle pietre appuntite. E la cocacola ghiacciata che ci hanno offerto quando siamo scesi dal monte Krizevac dopo una salita interminabile.
Non so se, come sostengono i "vaticanisti" di Repubblica e del Fatto Quotidiano, le parole pronunciate a Santa Marta da Papa Francesco siano il preludio di una clamorosa bocciatura delle apparizioni, visto che il Papa ha finalmente esaminato il dossier della commissione presieduta dal Cardinal Ruini. Per la verità sembra un po' strano, dato che la Santa Sede si pronuncia su questi fenomeni solo dopo che le apparizioni sono terminate.
Personalmente credo che quelle parole siano semplicemente un'esortazione pastorale ai fedeli a vivere la fede nella concretezza senza cercare sempre le novità. Perché la fede, oltre che gioia, è soprattutto sacrificio e impegno quotidiano. La critica di Papa Bergoglio non era rivolta ai veggenti, ma a chi è cristiano solo nella forma. Magari colleziona tutti i messaggi di Medjugorje ma poi nella sostanza cerca di scavalcare gli altri prendendo sempre la scorciatoia per arrivare prima.
Ecco perché, in attesa di una pronuncia sulla veridicità o meno delle apparizioni, sarebbe opportuno che la Chiesa prendesse per lo meno atto di quanto sta avvenendo a Medjugorje. Volgesse lo sguardo a quei milioni di pellegrini che arrivano lì non per semplice curiosità, ma per cercare di cambiare profondamente il corso della propria vita. Che ascolti il grido di quelle persone che spesso hanno bisogno del conforto di un sacerdote che le stia ad ascoltare. Hanno bisogno di quei sacerdoti che invece la Chiesa oggi invita a stare alla larga da quei luoghi.
Qualcuno negli ambienti vaticani auspica che - ben lungi da una stroncatura - l'intendimento di Papa Francesco sia invece quello di aprire a Medjugorje e superare la pluriennale ostilità del clero eliminando le norme emanate dai vescovi dell'ex Jugoslavia, palesemente ostili ai frati francescani che gestiscono la parrocchia, che anacronisticamente vietano sia al clero che ai fedeli la partecipazione ad incontri o celebrazioni pubbliche in cui sia data per scontata l'attendibilità delle apparizioni. Un atteggiamento, questo, più conforme al pensiero liberale al quale ci ha abituati Papa Francesco.
Io credo che, a prescindere dal giudizio sulle apparizioni e dalla ovvia prudenza che la Santa Sede debba avere per affrontare questo tema spinoso, Papa Francesco non possa e non voglia abbandonare i tantissimi pellegrini che ogni anno vanno a Medjugorje per cercare sinceramente la fede. Per il semplice fatto che sono parte integrante di quella chiesa ferita e dolorante che Bergoglio ha messo al centro del suo pontificato. Medjugorje per la Chiesa non è un problema, può essere una grande risorsa spirituale.