Questo post è una memoria personale che vorrei condividere con i “puri di cervello”: chi ci prova a essere tale sa cosa intendo; quanto agli altri, a quelli che affermano di essere gli unici autorizzati a trattare le divine cose, consiglio di lavarsi bene gli occhi prima e dopo la lettura di questo articolo. Se tra loro c’è qualche autentico cristiano, la pulizia degli occhi potrebbe favorire una visione più chiara del senso e del significato di essere “ano” di qualcuno o qualcosa.
Sul Messaggero.it del 22 ottobre leggo:
«ROMA – Si celebra oggi, per la prima volta, la memoria liturgica del Beato Giovanni Paolo II. Numerose le iniziative di preghiera in tutto il mondo per celebrare l’evento, in particolare a Roma e in Polonia.»
Alle preghiere ufficiali unisco la riflessione di un “Gentile” come me sintetizzata nel titolo: Luci e ombre, come quelle che si scorgono sul volto del Papa nella fotografia pubblicata.
Cominciamo con le luci, ma non quelle del circo mediatico che fanno di una persona un personaggio; è alla luce generata dal pensiero e dalle opere di Karol Wojtyla che rivolgo lo sguardo; alla luce che penetra in quei meandri dell’anima dove sonnecchiano le migliori qualità dell’essere umano.
Comincio dalla fine, così da soddisfare anche chi soffre di eiaculazione precoce: questo Papa dovrebbe passare alla storia non solo per quello che ha fatto ma anche per quello che non ha fatto: colmare la distanza della Chiesa da Dio.
Karol Wojtyla ha sconfitto il falso comunismo; ha rotto il giocattolo perverso di chi, sfruttando una bella idea di uguaglianza molto simile a quella cristiana, aveva costruito un sistema di potere che annichiliva l’intelligenza delle coscienze con minacce e persecuzioni; un sistema anch’esso simile a quello in uso nella Chiesa Cattolica dei “tempi migliori”. Ma non è la vittoria sul comunismo la luce più brillante che illumina la storia dell’uomo che ha cambiato il mondo: la sorgente del coraggio e della fiducia che ha saputo infondere negli oppressi dal potere criminale di un regime non sgorga dal Wojtyla politico e nemmeno dal Capo della Chiesa, anche se la storia ne autorizzerebbe l’ipotesi. La forza, oserei dire divina, che ha ispirato moltitudini di anime viene dal Wojtyla uomo che rischia la vita per ciò in cui crede e lotta in prima fila, affinché tutti abbiano la possibilità di scegliere in chi o cosa credere. Il resto, le sceneggiate accuratamente progettate dai media e dal marketing del Vaticano, non è roba da “puri di cervello” ma da coatti dello spirito. Il resto sono ombre: le stesse che sembrano corrucciare lo sguardo del pontefice fisso su un lontano ricordo. Forse è solo una mia impressione, ma mi pare d’intravedere nel suo sguardo una di quelle ombre che porto ancora acquattate dentro l’anima: eredità del mio passato che ho efficacemente confinato, almeno fino a quando il pensiero della morte imminente non le risveglierà. Sarà l’ultimo esame che la vita m’imporrà di sostenere, quello che opporrà il mio intento alle striscianti e ataviche paure che quelle ombre sanno infondere…
Quando ero molto giovane, forse troppo per le domande che mi ponevo, ho trascorso giorni, mesi, anni a pregare e studiare, mangiare (poco e male), dormire con un occhio socchiuso e svegliarmi con la voglia di vivere che diminuiva ogni giorno che passava. Il bisogno di capire il senso delle preghiere che recitavo, forse per compensare il vuoto generato dalla pubertà negata, aumentava di pari passo con la sensazione di essere prigioniero di una storia scritta da una mano ostile. Anche se al tempo del seminario non ne avevo consapevolezza, la coscienza che i frati predicassero in un modo e razzolassero in un altro modificò per sempre la geometria del mio sguardo. L’incoerenza dei gesti e dei comportamenti, la luce perversa che leggevo negli occhi di chi diceva di mettere Dio nella mia bocca, col tempo avevano dato profondità alla prospettiva da cui osservavo il mondo dentro e intorno a me. Erano solo le prime ombre del sospetto che Dio fosse stato sfrattato dal cuore degli uomini e che, quello di cui predicavano, fosse solo un falso venduto per vero.
Karol Wojtyla era un uomo troppo evoluto e intelligente per non essersi accorto che il Dio del perdono e dell’amore predicato da Cristo non abitava più a San Pietro da un pezzo; non posso credere che gli sia sfuggita la contraddizione tra la Buona Novella da offrire a chiunque, per quanto assassino, ladro o miscredente, e tutti i pesanti distinguo degli “avvocati” di Dio. Uno come Lui, non può non essersi accorto che sotto la porpora non c’era più traccia dell’amore dei veri cristiani: quello di Francesco d’Assisi e di pochi altri ai quali le parole servivano per testimoniare, per unire, non per separare e giudicare. Karol Wojtyla, dopo la caduta del muro di Berlino, avrebbe potuto radunare centinaia di milioni, miliardi di anime in una diretta televisiva e completare la sua opera liberando il mondo anche dal cattolicesimo: doveva solo riconoscere pubblicamente la natura meramente politica e sociale dei cosiddetti “Padri della Chiesa”. Poteva farlo ma non lo ha fatto; il perché forse è nascosto nell’ombra del pensiero che s’intuisce osservando il suo volto nella foto. Credo che la risposta si debba cercare nelle ragioni che lo hanno spinto a tenere in piedi la baracca, invece di demolirla e costruirne una nuova.
Uno di questi giorni cercherò di capire perché, quando penso a questo Papa, provo una sensazione di confuso alternarsi di luci abbaglianti e di ombre che si allungano verso il passato.
Forse continua…