Qualche giorno fa ho ricevuto un’email interessante. Ne ricevo molte a dire il vero da ragazzi che vogliono partire e mi chiedono consigli, da chi è già partito e mi racconta come sta andando, da chi è tornato e mi spiega il perché. E’ bello ricevere tutte queste e-mails. Perché io mi ritrovo in ognuna di esse. Nelle descrizioni, negli stati d’animo di chi è partito o tornato, nei dubbi (tanti) che vengono sollevati e nelle certezze (poche, ma buone ) che tutti quelli che hanno compiuto un’esperienza come la mia hanno acquisito.
Una di queste e-mail ha messo in luce un aspetto su cui forse non ho mai riflettuto abbastanza. Lo faccio adesso.
Giuseppe, il ragazzo che mi ha scritto, è laureato in ingegneria. E’ in Australia alla ricerca della felicità, come lo sono stata io e lo sono quelli che si trovano laggiù adesso.
Giuseppe fa il pizzaiolo per mantenersi DownUnder e si domanda, come tutti, se questo sforzo valga la pena. Se vivere in un paese diverso dal nostro può valere la pena di lavorare per un periodo in un ambito diverso, facendo cose completamente diverse, distanti anni luce rispetto a quello che si ha studiato e sognato per anni.
La mia risposta e’ sì. Certo che ne vale la pena. E qui mi rivolgo in particolare a tutti quelli che vivono la situazione che sta vivendo Giuseppe e che io ho vissuto a mia volta. Io sono giornalista e a Sydney facevo la cameriera. Altri miei connazionali che ho avuto occasione di conoscere laggiu’ facevano i lavori più disparati e completamente diversi dal loro percorso di studi: chi faceva la commessa, chi il barista o il centralinista. Tutti ragazzi arrivati con una o più valigie cariche di sogni e speranze.
Io, sopratuttto verso la fine del mio soggiorno astraliano, ho passato notti intere a chiedermi che senso avesse tutto questo, se quello che stavo facendo era giusto, se l’anno e mezzo passato a pulire i tavoli mi avesse portato qualcosa di nuovo.
Mi aveva arricchito come persona? Avevo imparato qualcosa di nuovo? Mi sarebbe servito in futuro?
Sì, sì e ancora sì. Avevo perso del tempo? No, nemmeno un secondo.
Lavorare in un ambito così lontano dal percorso di studi intrapreso, cosi diverso e forse meno qualificante è una delle ipotesi che più preoccupa chi si avventura in un paese straniero alla ricerca del proprio Eldorado.
E’ lo scoglio più duro, il boccone più amaro da buttare giù, perché prima di partire raccontiamo a noi stessi che siamo disposti a tutto pur di andarcene da questo paese, ma poi una volta che ci mettono una vassoio in mano e ci urlano di correre e muoverci in una lingua diversa dalla nostra, a migliaia di chilometri di distanza…be’, allora la prospettiva cambia.
Una volta superata questa barriera mentale del lavoro meno qualificante (sì è solo una barriera mentale, perché credetemi non c’è veramente niente di male a fare la cameriera e il pizzaiolo i primi tempi o anche di più…se poi guadagni un botto di soldi, direi che va benissimo!!) tutto il resto è in discesa.
Io mi sono sempre chiesta: ma se non avessi lavorato come cameriera in Australia, lo avrei mai fatto in Italia?
La risposta è no. Non lo avrei fatto. E’ un lavoro che si fa o in via professionale a livelli alti oppure da giovanissimi, magari per arrotondare la paghetta o pagarsi gli studi. Ma di solito chi si laurea (se possibile) finisce a fare lavori più o meno in linea con quanto ha giustamente studiato. E la nostra società è talmente pronta a giudicare e a criticare che anche se uno volesse provare per sfizio a fare il cameriere, rinuncerebbe subito per evitare l’etichetta del “povero laureato che fa il cameriere perchè non ha trovato lavoro”. Ma chi te l’ha detto? E se io voglio semplicemente provare per vedere com’è?? Ma che ti frega, cara società italiana?
All’estero tutti questi bei discorsi cadono. E più si è umili e diposti a mettersi in gioco, più facile e veloce sarà il nostro adattamento. Se tanto la prospettiva è quella di vivere in un paese straniero, lavorare il primo anno come barman o pizzaiolo non può che fare bene. Per la lingua (servire ai tavoli ti costringe a imparare l’inglese velocemente), per l’integrazione (tra clienti e colleghi finisci per conoscere un botto di persone) e per i soldini, che se non avete le mani bucate come la sottoscritta vi mettete da parte un bel gruzzoletto senza problemi
Insomma…tutta sta manfrina per dirvi di non abbattervi mai, quando siete all’estero…e tantomeno per una quisquilia come il lavoro…che certamente è importante ma non deve essere lo scopo principale della vostra esperienza. Tanto arriva quello che deve arrivare…se è destino che troverete il lavoro della vostra vita all’estero ci riuscirete, perchè metterete anima e corpo per riuscirci (ho imparato a mie spese che le cose nella vita si ottengono più facilmente quanto più ti impegni e ci credi per ottenerle….non cadono dal cielo e non sono mai dovute…MAI…)
Dovete fare i pizzaioli, i barman, i camerieri o i centralinisti per i primi tempi? E allora? Qual’è il problema? Non corrisponde ai vostri studi? Ma vi serve per mantenervi e intanto cercare un lavoro migliore? Sì? E allora fatelo, senza rimpianti, senza nervoso e senza ripensamenti!
Perchè magari scoprite che impastare il pane o fare i cocktail non è poi così male….che stare in mezzo alla gente che magari ti ringrazia solo perchè gli hai sorriso può darti più soddisfazioni di quante immagini..insomma, quello che non si conosce o si stigmatizza per pregiudizio o partito preso…alla fine rischia di sorprendere.
Lo farete per qualche mese, un anno o magari di più e poi troverete il lavoro giusto. O magari fare il ristoratore vi piacerà così tanto che alla fine appenderete in un bella cornice la vostra laurea in informatica e vi aprirete una bella osteria in Australia o in qualsiasi altra parte del mondo!
Io ero arrivata con il pallino di fare la giornalista in Australia…ma più mi addentravo nel mondo della ristorazione e più mi immaginavo a dirigere ristoranti e bar da urlo…altro che giornalista! Studiavo tutti i menu, mi compravo i libri per imparare a fare quei dolci da paura tipo cupcake o banana bread e sognavo di aprirmi la mia pasticceria o ristorante in Italia, proponendo tutte quelle cose buone che mi sono gustata in Australia! Io ero arrivata addirittura a volermi aprire una cioccolateria in stile Max Brenner…avete presente? E ancora quel sogno ce l’ho, che credete…:-D
Poi certo, il destino ha voluto che riprendessi l’aereo e tornassi a casa. Ma non l’ho fatto per il lavoro. L’ho fatto per amore verso la mia famiglia che adoro e verso il mio paese per cui provo un sentimento che non riesco a spiegare. Lo potrei descrivere parafrasando il noto comico Giobbe Covatta che spesso, raccontando le nefandezze della nostra Italia, rimarca: “Accadono cose che mi fanno vergognare di essere italiano. Ma per fortuna lo sono”.
Tornando al discorso iniziale….noi tutti facciamo un salto nel buio quando saliamo su quel benedetto aereo che ci porterà in un’altra dimensione…e ci stiamo a preoccupare per il lavoro? Arriva, arriva. Non vi preoccupate. Ma non perdetevi il bello di questa esperienza preoccupandovi per qualcosa inutilmente. Siete in un paese nuovo, stupendo, interessante e così diverso da renderlo unico per voi. Godetevelo e non pensate troppo al lavoro superqualificato che sicuramente vi meritate, ma non mettetelo sempre in cima ai vostri pensieri, perchè rischiate di perdervi il bello della vita.
Semmai, e nell’attesa del grande evento, provate ogni mestiere. Tanto avete tempo per ritornare a fare il vostro che già conoscete bene. Provate a riparare tubi, a servire ai tavoli, a far lievitare un panetto che diventerà (si spera) una pizza, a fare un cappuccino come si deve (credete sia facile?) a servire tre piatti con due mani, ad aprire una bottiglia di spumante senza far partire il tappo verso il tavolo di fronte (come invece ho fatto io….)…provate a rispondere al telefono in due lingue diverse (la vostra e l’inglese) a prendere ordini da cinque tavoli in meno di un minuto e a servirli entro tre…provate, visto che siete all’estero, lontani dall’ingombrante società italiana che ci impone certi ritmi e stili, certi percorsi e certe tradizioni che spesso soffocano o tarpano le ali di giovani come noi che hanno voglia di cambiamento.
Siete lontani da tutto…nessuno vi vede. Buttatevi e vedete che succede. Vi stupirete di quanto anche il lavoro più umile possa cambiarvi come persone. E migliorarvi, senza dubbio. Non vi rende più umili. Al contrario, vi rende più forti. Sono lavori che ti mettono al contatto con il pubblico e ti permettono di scoprire lati delle persone, dalla casalinga al manager, che mai avresti scoperto da dietro una scrivania o in qualsiasi altro superposto a cui sei destinato. Facendo la cameriera ho conosciuto casalinghe con le contropalle e direttori di istituti finanziari meschini e deboli. Da come una persona beve il caffè o ordina la colazione si possono capire tante cose, credetemi!
Io nella mia vita adesso posso dire di aver fatto la giornalista in Italia e la cameriera in Australia.
A voi forse farà ridere. Io, al contrario, ne vado estremamente fiera.
La Maga in vena di sermoni….