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Silvio Milazzo fu un politico di una certa rilevanza per la Sicilia e non solo. Se ancora oggi si dice con parecchia approssimazione che la Sicilia è un "laboratorio politico", beh, qualche responsabilità ce l'ha proprio lui, l'esponente Dc di Caltagirone che nel 1958 lanciò una sfida al suo stesso partito con un'operazione che, semplicemente, è passata alla storia come milazzismo. Come molti "-ismi", anche questo termine porta con sé accezioni negative e controversie. Il 30 ottobre 1958 Silvio Milazzo fu eletto presidente della Regione Siciliana con i voti all'Ars dei partiti di destra e di sinistra, contro il candidato ufficiale indicato dai vertici della Dc, allora guidata da Amintore Fanfani.
Nel suo primo governo fece la mossa sorprendente: mise insieme esponenti del Pci e del Msi, comunisti e post-fascisti alleati "in nome dei superiori interessi dei siciliani", come dissero il segretario regionale comunista Emanuele Macaluso e il capogruppo missino all'Ars Dino Grammatico. Milazzo fu espulso dalla Dc e formò un nuovo partito, l'Unione Siciliana Cristiano Sociale (USCS), che ottenne 10 deputati all'Ars nelle elezioni regionali del 1959. L'esperienza del milazzismo finì presto: dopo le elezioni, il presidente Milazzo il 12 agosto 1959 formò un secondo governo, dove però non entrò più il Msi. C'erano le sinistre, i monarchici, i vertici di Sicindustria, allora guidata da Domenico La Cavera. Per non farsi mancare nulla, i tecnici di quel primo "laboratorio Sicilia" misero tra gli ingredienti pure esponenti vicini alla mafia. Scandali, tentativi di corruzione, compravendita di parlamentari (sì, stiamo parlando del 1959...), ecco come finì male l'avventura donchisciottesca di Silvio Milazzo.
La premessa è stata lunga, adesso bisogna spiegare perché penso a lui e alla sua operazione. Innanzitutto mi preme sottolineare che qualche anno fa don Mimì La Cavera ebbe a dire che il vero erede di Milazzo si chiama Raffaele Lombardo: il suo autonomismo, in fondo, altro non è che la prosecuzione di quella politica "in nome dei superiori interessi dei siciliani". Poi, e qui veniamo al punto, da qualche giorno in Sicilia è venuta fuori un'operazione che ha un certo sapore di milazzismo. La notizia è che al ballottaggio è arrivato il candidato del Movimento 5 Stelle Federico Piccitto, una boccata d'ossigeno in questo momento un po' complicato per la creatura di Beppe Grillo. E per provare a vincere, Piccitto rompe il tabù e per la prima volta il M5S si allea con altre liste. Primo e unico caso italiano. Alleanza con alcune liste civiche, ma poi a Piccitto è arrivato pure il sostegno – non rifiutato, a quanto pare – di Sel e La Destra. Cioè dei "comunisti" e dei "post-fascisti" (sto semplificando, lo so, ma le virgolette le hanno inventate apposta, ndr).
Due considerazioni. Beppe Grillo ha gridato all'inciucio, perché l'altro candidato, Giovanni Cosentini, già vicesindaco con il centrodestra, corre per Udc e Pd e si è apparentato con il Pdl. Tecnicamente, le larghe intese riproposte anche nell'estremo sud della Sicilia. Grillo certifica un dato di fatto, innegabile. Come è un dato di fatto che qualcuno tra i 5 Stelle comincia a guardare oltre. Forse troppo oltre...?
Quello che a Ragusa si fa al ballottaggio, invece a Messina non si è voluto fare al primo turno in ossequio alle rigide e indiscutibili regole del MoVimento. Renato Accorinti, il pacifista e storico leader No Ponte arrivato a sorpresa al ballottaggio, aveva chiesto al M5S di correre insieme, tanto il programma e le istanze erano molto simili. La risposta fu negativa, perché Accorinti aveva nella sua lista esponenti verdi, ex Idv, rifondaroli, persino autonomisti. Lui ha preso il 23%, la candidata grillina il 3.
Ah, per la cronaca, il sindaco della città di Milazzo, Carmelo Pino, già uomo di Forza Italia, nel 2010 è stato eletto al ballottaggio con l'apparentamento tra le sue liste civiche vicine al cosiddetto Pdl Sicilia di allora (l'ala vicina ai finiani e a Micciché), il Pd e gli autonomisti di Raffaele Lombardo. Un po' di sano milazzismo anche a Milazzo.
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