Menù per il PRANZO della GRAMOLATURA DELLA CANAPA in autunno

Da Patiba @patiba1

Foto: E. Pasquali: Gramolatura della canapa, Bagnara di R. (Ra), ottobre 1953

Menù delle famiglie nobiliari ravennati di inizio ’900 (Romagna)

In Romagna, nel periodo autunnale, avveniva la lavorazione della canapa. La fase più importante era la gramolatura. Il nome deriva dall’attrezzo, la gramola per macinare le pannocchie, che veniva azionato a mano. La gramolatura era anche l’evento socialmente più atteso poiché, per tradizione, gli adulti lasciavano questa incombenza ai ragazzi, i quali ne approfittavano per parlare fra di loro e conoscersi. Nascevano anche nuovi amori. La gramolatura andava avanti fino a tarda notte. L’occasione era propizia anche per le proposte di matrimonio. L’espressione T’a m’ dé un sciaf ch’a t’ dagh un bés (dammi uno schiaffo che ti do un bacio) è associata a questi momenti, quando un giovane, entusiasta di stare vicino alla propria amata, scambiava il ‘no’ (schiaffo) per il tanto atteso ‘sì’. Le donne di casa eseguivano la cardatura e la filatura durante l’inverno. Wikipedia

Menù
Minestre
Malfattini o malfettini o mafrigoli asciutti con ragù di piselli
Pietanza
Zucchini ripieni
Polpette di trippa
Tortino di melanzane
Formaggio
di Romagna
Ricotta e di vacca
Frutta
di stagione
Dolce
Ciambella

  • Zucchine ripiene

Polpette di trippa
Trippa tritata e lessata grammi 350, prosciutto grammi 100, parmigiano grattugiato grammi, midollo di bue grammi 20, uova 2, un pizzico di prezzemolo e di noce moscata.
Cuocere il tutto con due cucchiaite di pane bagnato nel brodo o nel latte.

da “Cucinario di una vecchia famiglia nobiliare”: Menù per festività e ricorrenze con oltre 350 ricette raccolti in un cucinario di una vecchia famiglia nobiliare romagnola che il rampollo Giovanni Manzoni ha svelato in questo libro ricco di suggerimenti e leccornie. Tra le ricette più selezionate ben otto modi di fare i cappelletti romagnoli ed altrettanti per i tortellini bolognesi con tanto di brodo doc per palati fini. Da citare la polenta alla Manzoni che riporta gli antichi sapori nostrani, poi per sbizzarrirsi si può provare a cucinare altre ricette che si adattano a qualsiasi piatto ed accostamento di cibi. Lugo di Romagna 1985.

Folklore Romagnolo: I momenti principali dell’anno erano scanditi da usanze molto sentite dal popolo.

  • Febbraio: il 2 febbraio è il giorno della Candlóra (Candelora). Scrutare il cielo indicherà come sarà il tempo in primavera. Il proverbio dice: Madòna Candlóra, che neva o che pióva, da l’invéran a sem fòra; e se sta e’ sulatël, un gni è incora un msarël (Madonna Candelora, che nevichi o che piova, dall’inverno siamo fuori, se c’è anche un pallido sole, l’inverno durerà ancora un mese). La Candlóra è associata alla festa della Purificazione di Maria. In chiesa si benedicono le candele, che vengono distribuite alle famiglie,
  • Gli ultimi tre giorni di febbraio e i primi tre di marzo si fa Lôm a mèrz (luce a marzo) con l’accensione dei grandi fuochi (al fugarèn) per propiziarsi quel mese, caratterizzato da un tempo molto incerto. Alla fine della stagione fredda i contadini accatastavano in un ampio sterrato gli sterpi, i rami secchi e i resti delle potature. L’ultimo giorno di febbraio, da tutte le case si elevava un grande fuoco con il materiale bruciato. Se il fumo andava verso la collina era di buon auspicio (significava che i prodotti, abbondanti, avrebbero dato una mano ai montanari). Si faceva a gara a chi produceva il falò più alto di tutti Un’altra usanza propria del mese di marzo erano i Fuochi di San Giuseppe. Questi falò illuminavano le notti tra il 18 e il 19 marzo, in coincidenza con la data dell’equinozio. Anche questa celebrazione aveva intenti purificatori e propiziatori.
  • Marzo: a fine mese, attorno al 25 marzo (Madòna d’j garzòn) arrivava il momento della semina della canapa.
  • Maggio: Sânta Cròs (croci propiziatorie). Un mese dopo la Pasqua i contadini ricordavano la solennità della Santa Croce. La mattina del 3 maggio confezionavano, a digiuno, sottili croci di canna. Dopo avervi legato un ramoscello d’ulivo (benedetto la Domenica delle Palme), le piantavano in mezzo al campo per proteggere il raccolto, che era sulla via della maturazione, dalle intemperie. Il 3 maggio era ritenuto adatto anche per la tosatura delle pecore. Lo testimoniano alcuni detti popolari della Bassa: Par Sènta Crosa pigra tosa (Per Santa Croce pecora tosata) e Par Sènta Crosa ciàpa al tusur e tosa (Per Santa Croce prendi le forbici e tosa).

Con l’inoltrarsi della bella stagione andavano a maturare le coltivazioni.
I contadini erano impegnati nei seguenti lavori:

  • grano: mietitura e trebbiatura (batdùra);
  • granoturco: raccolta e sfogliatura delle pannocchie (sfujareja o spanucèda);
  • vite: vendemmia.

La battitura terminava per S. Lorenzo (10 agosto). Spesso il lavoro era accompagnato da canti popolari, appresi e tramandati oralmente. Finito il lavoro, la sera si faceva grande festa. La festa più caratteristica della campagna romagnola era quella della sfujareja, a settembre. Dopo la raccolta del granoturco o mais avveniva la spannocchiatura sull’aia. Era un evento cui partecipavano tutti i membri della comunità.

  • Agosto: avveniva taglio delle canne di canapa.
  • Autunno: avveniva la lavorazione della canapa. La fase più importante era la gramolatura. Il nome deriva dall’attrezzo, la gramola per macinare le pannocchie, che veniva azionato a mano. La gramolatura era anche l’evento socialmente più atteso poiché, per tradizione, gli adulti lasciavano questa incombenza ai ragazzi, i quali ne approfittavano per parlare fra di loro e conoscersi. Nascevano anche nuovi amori. La gramolatura andava avanti fino a tarda notte. L’occasione era propizia anche per le proposte di matrimonio. L’espressione T’a m’ dé un sciaf ch’a t’ dagh un bés (dammi uno schiaffo che ti do un bacio) è associata a questi momenti, quando un giovane, entusiasta di stare vicino alla propria amata, scambiava il ‘no’ (schiaffo) per il tanto atteso ‘sì’. Le donne di casa eseguivano la cardatura e la filatura durante l’inverno.
  • Novembre: Sân Martén (San Martino). L’11 novembre, ricorrenza del santo, è il giorno che chiudeva l’annata agricola. Si celebravano feste di ringraziamento a Dio per i doni della terra, Sân Martén, oltre a segnare la fine dei contratti agricoli, rappresentava anche l’inizio del ciclo invernale con la svinatura del vino nuovo, la raccolta delle castagne e la macellazione del maiale nelle aie. San Martino portava anche l’appellativo di Sân Martén d’j Bec (San Martino dei becchi). A Santarcangelo di Romagna si celebra tuttora la Fiera dei Becchi, famosa in tutta la Romagna. Un tempo l’11 novembre era riconosciuto giorno festivo anche dallo Stato.
  • A Natale si accendeva in tutte le case un grosso ceppo (e’ zoch) di tronco d’albero e lo si lasciava bruciare accanto al focolare. Il ceppo doveva ardere fino al giorno dell’Epifania. La sera del 5 gennaio le tavole venivano imbandite perla cena lauta dell’Epifania, che era di buon augurio per l’anno appena iniziato. Alla cena seguiva la veglia. La veglia non si svolgeva a stomaco vuoto, ma era interrotta da un pasto. Si mangiava una piadina dolce, ricca di conserva di frutta. Un’usanza di questo pasto notturno era la vintura (ventura, sorte). Dentro la piadina l’arzdora aveva messo una monetina (era questa la vintura). Poi la piadina era tagliata a fette e mangiata dai familiari. Chi si ritrovava tra i denti la vintura, era il “lovo”, il mangione della famiglia. Costui conservava gelosamente la monetiva, perché aveva il potere di un talismano.

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