(>alla prima parte) Durante il vertice di Bruxelles del 28 e 29 giugno sono state prese decisioni importanti. Tra le altre, è stato approvato «l’accordo per la crescita e l’occupazione», che comporta contributi europei per 120 miliardi di euro. L’accordo contiene molte altre misure, tra le quali l’iniziativa per far sì che ogni giovane riceva, entro alcuni mesi dalla fine degli studi, un’offerta qualificata di lavoro, di tirocinio o di formazione, anche con contributi europei. I Tedeschi avrebbero voluto che il termine fosse fissato a 4 mesi, alla fine ci si è accordati sulla formula «alcuni mesi», ma l’idea c’è ed è accompagnata da altre azioni volte ad abbattere le barriere che ancora frenano gli scambi economici e di lavoro tra Paesi membri, a sostegno dell’occupazione giovanile. Poi, altre decisioni in merito al Tribunale europeo dei brevetti, alla situazione internazionale, all’allargamento dell’Unione al Montenegro e altre ancora.
E’ stato avviato il percorso verso l’unione bancaria e deciso di permettere al Fondo europeo di stabilità di acquistare i titoli degli Stati che faticano a finanziarsi sui mercati internazionali, perché la speculazione mantiene alti i tassi di interesse del loro debito pubblico (il cosiddetto «spread»), benché stiano facendo passi concreti di risanamento, come accade ad esempio all’Italia. Come noto l’idea è stata proposta dal capo del Governo italiano e ha suscitato non pochi malumori in Germania. E’ su questo punto che, durante le dichiarazioni della signora Merkel al Parlamento di Berlino, si sono levate le contestazioni più rumorose, aiutate dalla superficialità con la quale la decisione è stata annunciata dai media tedeschi. Per tutta la giornata, da radio, TV e giornali germanici il messaggio è stato: «Con questa decisione, Italiani, Spagnoli, Greci e Portoghesi potranno prendere in Europa soldi tedeschi senza alcun controllo».
Evidentemente non è questo il caso. E’ vero che non è prevista la sorveglianza della cosiddetta Troika (Unione europea, Banca centrale e Fondo monetario internazionale), come sta avvenendo per la Grecia. I meccanismi di dettaglio restano da definire, ma l’utilizzo del Fondo europeo di stabilità è giuridicamente legato all’attuazione vincolante dei requisiti fissati dalle Raccomandazioni nazionali di bilancio e stabilità, emesse recentemente nel quadro del programma «Europa 2020». Per usufruire del supporto europeo, gli Stati richiedenti dovranno concludere un patto giuridicamente vincolante che li impegna a rispettare i parametri stabiliti nelle Raccomandazioni, che prevedono anche la possibilità di controllo della Banca centrale e di intervento nelle politiche di bilancio in caso di inadempimento dello Stato contraente.
La Cancelliera tedesca ha indubbiamente dovuto flettere rispetto all’applicazione rigida dei principi dei quali è portatrice. Chi conosce la storia tedesca sa che a volte è bene che qualcuno, dall’esterno, segnali ai Tedeschi quando è ora di allentare la cieca e formale applicazione di principi che, oltre una certa soglia, rischiano di portare loro stessi all’autodistruzione.
Tuttavia, con il legame giuridico che condiziona gli aiuti europei all’attuazione delle Raccomandazioni di bilancio e stabilità, la Germania ha salvato il principio più caro alla signora Merkel: quello della «condizionalità» (Konditionalität). Ogni aiuto deve essere condizionato a impegni precisi da parte di chi viene aiutato e l’attuazione di questi impegni deve poter essere controllata. «Nessuna responsabilità solidale senza controllo» (keine Haftung ohne Kontrolle) e «nessuna solidarietà senza solidità» (keine Solidarität ohne Solidität): la solidità presuppone la competitività. Se tu non sei competitivo (cioè solido) e io ti impresto risorse, anziché migliorare la tua condizione diventiamo entrambi più poveri. Non sembrano principi di particolare cattiveria. Tutti noi, quando doniamo anche due soli franchi o euro via telefono per i terremotati, vogliamo essere certi che i nostri soldi non vadano persi in qualche calderone e vogliamo sapere chi controlla come vengono spesi, altrimenti ce li teniamo.
L’Italia, a questo vertice, ha senz’altro segnato un successo e fatto un grande passo verso il recupero della sua credibilità europea. Un salto di qualità notevole, se si pensa che solo pochi mesi fa dalle tribune internazionali sull’Italia si ridacchiava apertamente. Da ricordare anche che prima del vertice di Bruxelles questa volta non si è assistito a un solitario duetto tra Francesi e Tedeschi nelle brume di Parigi o Berlino, ma a un tavolo quadrilaterale a Roma che ha coinvolto anche Spagna e Italia, che non potevano più essere escluse a lungo dalle decisioni.
Il vertice ha dimostrato, se ve ne era bisogno, che le decisioni determinanti per una Nazione europea oggi si prendono a Bruxelles, piaccia o no. Gli equilibri del mondo di oggi non consentono altre vie. Per dialogare a livello europeo e su questi temi, chi rappresenta l’Italia, chiunque sia e di qualunque orientamento politico, deve disporre di competenza tecnica, credibilità personale e capacità negoziale, un mix non compatibile con il profilo dei parlamentari medi italiani (chiamati, con un alibi sempre meno sopportabile, «politici», come se non fossero lì perché vi è stata una maggioranza di popolo che li ha eletti).
Nella primavera 2013 il Sovrano italiano sarà chiamato a votare per rinnovare il Parlamento. Le sfide del presente richiedono persone capaci non di artifici verbali, ma di bene amministrare la cosa pubblica (res publica) con una visione prospettica ben salda nel concerto europeo e internazionale. Speriamo che il popolo sovrano, nell’urna, ce le metta, di qualunque partito saranno, o l’Italia resterà confinata in un ruolo di gregario che la Penisola, pur con tutti i suoi difetti, non merita. | ©2012 Luca Lovisolo