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Messico e nuvole

Da Juliekohler @brideinblack
[...] Penso che ormai di vincere mi importa ben poco. Ripasso mentalmente momenti imprecisati di tanti anni fa: è una sequenza rapida e ben conosciuta - la mente che torna a ricordi idealizzati e perfetti, quando ogni cosa era diversa e io stessa ero un'altra persona e avevo solo sogni e speranze e non possedevo alcun piano di vendetta né di fuga. Non so se me lo sono solo immaginato, eppure voglio credere che ci sia stato un periodo della mia vita in cui sono stata una persona migliore di adesso.

Vuoto in un sorso quel poco che resta nel bicchiere. Sorrido ancora. Decido di arrendermi. La resa mi infonde un senso di pace; di liberazione, addirittura: la battaglia è terminata. Domani nella battaglia pensa a me. Sai, Luigi, per noi non ci sarà alcun domani. E ho aspettato la mia resa per così tanto tempo che ora è un sollievo. Tutto ciò che mi resta sono solo poche parole - spade taglienti - la mia grande occasione per dire qualcosa che ti spiazzi, che ti faccia sentire l'inutile cretino che in fondo sei sempre stato. Eppure, adesso, non riesco a trovare niente di adatto da dire - le mie mani sono vuote, non brandiscono nulla - non posso farti alcun male.
Sorrido per un altro secondo, stavolta in modo impercettibilmente più triste. Infine, sparo - non proiettili - parole che neppure io tra qualche tempo ricorderò: Mi sa che questa era l'ultima occasione. E che ce la siamo giocata maluccio.

Mi alzo lentamente, dico Ciao, esco senza voltarmi e non ho rimpianti. Soltanto, avrei voluto godermi ancora per un po' quel tramonto sanguinolento intorno a noi: sintesi perfetta di tutta questa storia, metafora ironica di cosa eravamo insieme, e anche da soli - se proprio devo dirla tutta.

Alti e bassi.

Ancora quella voce. La sua voce. Smetterò mai di ascoltarla?

Come siamo arrivati qui? Intendo dire, il telefono strillava Messico e nuvole, ho guardato lo schermo e c'era un Luigi che vi lampeggiava sopra colpevole. Ho risposto. Senza pensarci un attimo. Sì, ho risposto. E poi, senza che me ne rendessi conto, siamo arrivati ad Alti e bassi.

Buonasera, Jules. Come stai?

Sto benone, ho mentito. E tu?

Alti e bassi.

Nessuno dei due accenna al finale di sei mesi fa, quasi ce lo fossimo sognato.

E riecco la nostra commedia. Due attori da soap opera regionale. Il solito cannovaccio dei due trentenni pieni di se stessi e di tutto ciò che potrebbero desiderare, a parte l'amore, ovviamente. Troppo scontato stare assieme noi due. Sarebbe soltanto una scopata e dopo perderei interesse per te. Quanto dolore ho provato, quando me lo disse - tanto tempo fa.

Io non sono l'uomo della tua vita e tu non sei la donna della mia vita. Disse anche questo. E aveva ragione, per giunta.

Eppure, siamo ancora qui. Nonostante le frasi ad effetto, nonostante Alessio (ma poi, Luigi ha mai saputo di me e Alessio? Di lui che mi dormiva addosso, delle canzoni dei Wilco, delle promesse presto scivolate tra le dita?). Nonostante io e Luigi non saremmo mai stati abbastanza l'uno per l'altra, nonostante tutte le scuse di questo mondo, siamo ancora qui. Io sul divano rosso, con addosso uno dei pigiami antistupro che mia madre mi regala ad ogni compleanno, Neil Young che si strugge attraverso lo stereo, il telefono appoggiato a un orecchio. Luigi nella sua camera che non ho mai visto, vestito chissà come, mentre ascolta chissà cosa, il telefono appoggiato a un orecchio.

Telefonate finte, infarcite di banalità e bugie, sono il meglio che ci resta. La necessità di trovarci ancora non dipende da ciò che possiamo dirci o fare. A lui basta sapermi dall'altra parte della cornetta: la nostra affinità di spirito e di ambizioni e desideri instilla in lui l'illusione di essere meno solo. Magari, è un po' così anche per me, altrimenti adesso non starei a sentirlo respirare attraverso la cornetta.

La parola fine l'ho già scritta e la scriverò ancora, ne sono certa, per cancellarla con disinvoltura la volta successiva.


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